di Rocco Orlando
L’patite da virus E (HEV) è una malattia che colpisce prevalentemente il fegato ed è causata da un virus HEV, identificato per la prima volta nel 1997 nei suini. Trattasi di un virus RNA, e si stima che nel mondo ogni anno circa 20 milioni di persone acquisiscano l’infezione, con oltre tre milioni di sintomatici e 600.000 decessi.
Nei Paesi in via di sviluppo si verificano diffuse epidemie causate dall’acqua e da alimenti contaminati, nonché dal contatto persona-persona. Nei Paesi occidentali per lungo tempo è stata considerata come malattia legata ai viaggi nelle zone endemiche, ma negli ultimi anni sono stati segnalati casi autoctoni in individui che non avevano mai viaggiato nelle zone endemiche; e si è quindi riscontrato che questi casi erano legati al consumo di carne poco cotta o cruda o non sufficientemente stagionata di animali quali maiale, cinghiale, cervo, coniglio contaminati dal virus. L’aumento di questi casi autoctoni ha spinto l’EASL (European Association Study of the Liver) nel 2018 a redigere delle linee guida nelle quali si raccomanda di testare il virus a tutti i soggetti con sintomi compatibili con epatite, indipendentemente dalla storia di viaggi.
Anche i casi sporadici sono legati all’ ingestione di acqua contaminata. Il Prof Alessio M. G. Aghemo, responsabile dell’Unità Operativa Epatologica dell’Humanitas University di Milano, sostiene che “Il 5-15% dei maiali è contaminato dal virus dell’epatite E. Nel nostro Paese si tende a non mangiare carne di maiale cruda: gli insaccati sono a minore rischio in quanto hanno un periodo di stagionatura che preserva da possibili contagi”,e ancora: “Vanno evitate quelle forme di salumi crudi spalmabili tipiche di alcune regioni come Lazio, Marche e Abruzzo, che sono le zone con maggior numero di casi di epatite E; il 55 % delle persone intervistate dice di aver consumato carne di maiale, il 18% carne di cinghiale”. Tuttavia, non ci sono dati certi sulla possibile eliminazione del virus con la stagionatura.