Epatite da virus C. Come va lo screening del sommerso?

     A T° ambiente il virus vive dalle 16 alle 72 ore circa, a differenza del virus B che rimane positivo fino a sei mesi. A temperature negative il virus C può rimanere pericoloso per anni. Il periodo di incubazione varia da due settimane a sei mesi, nel corso dei quali i sintomi possono risultare assenti o aspecifici.

     L’epatite C una volta era chiamata non A-non B in quanto il virus e il quadro clinico non presentavano le caratteristiche della forma da virus A e virus B, quindi si parlava di epatite da virus che non era né A né B. La malattia è chiamata anche epatite silenziosa in quanto la forma acuta decorre in modo asintomatico e quindi il soggetto rimane all’oscuro della malattia per decenni sino a quando, dopo molti anni dall’infezione, il quadro clinico esordisce con sintomi talvolta severi della cirrosi o dell’epatocarcinoma.

     Si stima che solo il 20-30% delle persone infette da virus C lo elimini spontaneamente e quindi l’80-70% dei soggetti passi in fase cronica. Il 20-30% dei soggetti con epatite cronica va incontro a cirrosi epatica nell’arco di 10-20 anni e nell’1-4% dei casi evolve in epatocarcinoma. L’evoluzione della malattia dipende da alcuni fattori come la carica virale, l’alcolismo, la co-infezione con il virus B (HBV), con il virus D (HDV), con il virus dell’immunodeficienza umana (HIV), diabete, obesità, età del paziente al momento del contagio, sesso. La progressione è più frequente nel maschio rispetto alla donna in età fertile e in premenopausa, mentre con la menopausa la progressione nei due sessi si equipara (gli estrogeni rallentano il processo di fibrogenesi epatica). La giovane età al momento dell’infezione e il genere femminile tendono a far progredire molto più lentamente la malattia. Il virus C nella donna raddoppia il rischio di sterilità, comporta una menopausa precoce e aumenta l’incidenza degli aborti. E questo facilita la progressione verso la cronicizzazione della malattia.

     La malattia si trasmette per via parenterale attraverso il contatto diretto con sangue, emoderivati e trapianto di organi; l’introduzione nel 1990 dello screening universale obbligatorio per anti- HCV per sangue ed emoderivati ha quasi azzerato il rischio del contagio nei Paesi occidentali, mentre in quelli in via di sviluppo le trasfusioni di sangue ed emoderivati rappresentano attualmente il principale mezzo di contagio del virus HCV. L’uso di droghe per via venosa oggi rimane il principale fattore di rischio per l’acquisizione di HCV nei giovani che in genere si infettano con i genotipi 1a e 3; questo tipo di trasmissione, anche con il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie (ad esempio, uso di siringhe monouso) resta al momento attuale la via maggiormente responsabile nella trasmissione del virus HCV. I tossicodipendenti possono contrarre il virus HCV anche con l’uso inalatorio di sostanze (sniffare) attraverso la condivisione di cannule e altri materiali da inalazione e il contatto con le mucose nasali di sangue infetto: non è noto, comunque, il quantitativo minimo necessario per la trasmissione, ma sicuramente sono necessari altri fattori come la carica virale e la co-infezione HIV. Importanti sono le ferite da aghi, specie tra operatori sanitari; si pensa che l’ago sia il maggior responsabile, ma questo può contenere una quantità così piccola di sangue che, anche se annovera particelle virali, non riesce ad infettare, in quanto è necessaria una certa carica virale. Dipende anche dal tipo di ago, per esempio quello chiuso si associa a minor rischio rispetto a quello cavo; infine, dipende dalla profondità della puntura: quella più profonda è più pericolosa.

     Importanti sono la concentrazione del virus e la quantità dell’inoculo. Se le concentrazioni virali sono basse, occorre una maggiore quantità di sangue in modo da avere un inoculo sufficiente per avere l’infezione. Via di contagio è l’esecuzione di piercing e tatuaggi con strumenti riutilizzati e non sterilizzati (importante è farli in un ambiente regolamentato). I liquidi biologici (saliva, lacrime, urine, liquido seminale e liquido ascitico) contengono piccolissime quantità di virus. La via sessuale è rara, ma non nulla e diventa più probabile quando c’è coinfezione con HIV; il sesso orale è a basso rischio, in quanto il virus contenuto nella saliva è in quantità trascurabili, però è sempre possibile se ci sono lesioni in bocca o gengive sanguinanti che rendono più facile la trasmissione del virus attraverso il contatto con sangue infetto. Allo stesso modo il sesso anale può danneggiare la mucosa del retto e rendere più facile la trasmissione di HCV attraverso il contatto con sangue infetto. Nei rapporti sessuali con partner fisso senza co-infezioni sessualmente trasmissibili, non è necessario il preservativo e nei rapporti che non implichino lesioni delle mucose o contatto con sangue infetto. Nelle coppie discordanti (se uno dei due partner soffre di epatite cronica HCV- RNA positiva e l’altro è negativo) il rischio di trasmissione sessuale del virus non è nullo, ma è talmente basso  da rendere vantaggioso l’utilizzo costante del profilattico. Per i rapporti sessuali con partner multipli si consiglia l’uso del profilattico, anche per evitare il rischio di contrarre altre malattie sessualmente trasmissibili. Evitare con i soggetti affetti da epatite HCV pratiche sessuali traumatiche per le mucose tali da generare ferite e perdita di sangue: in queste situazioni si consiglia l’uso del profilattico, inoltre evitare l’uso promiscuo di sex toys. Se il padre è HCV positivo il nascituro ha maggior rischio di contrarre l’infezione se anche la madre è positiva per HCV. Se il padre presenta sperma con HCV in caso di fecondazione assistita viene utilizzata la tecnica del lavaggio dello sperma per eliminare le particelle virali. Tuttavia per la trasmissione sessuale sono importanti altri fattori come la carica virale, la durata della relazione e quindi il numero di anni di esposizione, i comportamenti sessuali: ad esempio il sesso fatto durante il periodo mestruale incrementa la trasmissione del virus. La coppia maritata da oltre 20 anni ha un basso rischio di trasmissione dell’HCV (0.4-0.6%), Infine, prima di affermare che la via sessuale è la via di trasmissione del virus HCV nell’ambito di una coppia, bisogna escludere le altre possibili cause di contagio in ambito familiare.

     Altra via di trasmissione è quella intra-familiare, detta parenterale inapparente, dovuta all’utilizzo promiscuo di oggetti per l’igiene personale, specie quelli appuntiti e taglienti. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole incremento delle infezioni da virus C genotipo 4 (che è quello prevalente nel Nord Africa) in aree del Mediterraneo dove era precedentemente considerato raro, come Spagna, Grecia, Francia e soprattutto in Italia. Questo è dovuto ai flussi migratori provenienti dall’Africa, ma anche all’aumento dei viaggi (turismo, lavoro, ecc.) verso questo continente. Inoltre, il genotipo 4, prevalente nei maschi, è più resistente alla terapia antivirale ed è frequentemente associato a cirrosi ed epatocarcinoma. Il grande anziano che si è infettato quando ancora non si conosceva il virus, è un potenziale alto trasmettitore; egli ha bisogno di familiari che lo accudiscano o di una badante o di una infermiera nelle case di cura. E poiché dopo una certa età, a causa delle tante malattie senili, nell’anziano si fanno terapie iniettive o sottocute o intramuscolari, c’è il rischio, per chi li cura, di pungersi con aghi per iniezioni o per prelievi necessari per loro. Quindi gli anziani e gli over 85 sarebbero un serbatoio del virus C, anche perché per l’epatite HCV più elevata è l’età, più alto è il tasso di infezione.

     Inoltre, la terapia con antivirali non prevede limiti di età e il trattamento antivirale è l’unico modo per eradicare il virus nella popolazione. Pertanto, se portatori del virus C, trattiamo gli anziani anche per ridurre il rischio che l’infezione venga trasmessa al personale che si prende cura di loro (familiari, personale sanitario, assistenziale o badanti).

     Il virus HCV non può essere trasmesso attraverso cibi e bevande, abiti e biancheria, un bacio, un colpo di tosse e uno starnuto, con la vicinanza fisica e il contatto con una persona infetta (stretta di mano, abbraccio), bicchieri, posate ed altre stoviglie, l’aria di un ambiente condiviso con una persona malata da virus C, gli oggetti in generale, tranne quelli per l’igiene personale, l’utilizzo della stessa toilette, piscina, sauna, palestra; quindi non c’è alcuna ragione per evitare un amico con epatite C. In questi casi l’esposizione del sangue infetto avviene sulla cute integra; se sulla cute ci sono ferite o tagli, le lesioni vanno coperte.

     A differenza dell’epatite A e B, non basta contrarre l’epatite C una volta sola nella vita per avere l’immunità permanente: è infatti possibile reinfettarsi con un genotipo diverso da quello contratto precedentemente o contrarre lo stesso genotipo dopo averlo debellato con la terapia. La trasmissione madre-figlio è del 6% e dipende soprattutto dalla carica virale della madre: quanto più alta è la viremia tanto più alto è il rischio di trasmissione al figlio; ma ricordarsi che la trasmissione della malattia al figlio può essere trasmessa anche se la concentrazione del virus circolante è bassa.

     Anche la co-infezione con HIV e la tossicodipendenza attiva o pregressa sono fattori che favoriscono la trasmissione madre-figlio. Non sembra esserci alcuna differenza se il parto avviene per via vaginale o per cesareo. L’infezione viene trasmessa nella maggior parte dei casi al parto, quando maggiore è il rischio di commistione tra sangue materno e fetale. È possibile anche la trasmissione intrauterina, testimoniata dalla possibilità di HCV-RNA in alcuni neonati alla nascita. L’allattamento al seno per i nati da madre HCV-RNA positiva non è controindicato, in quanto la quantità di virus eliminato con il latte è minima; anzi l’allattamento al seno è consigliabile in quanto attraverso il latte la madre passa al figlio anticorpi prodotti in risposta a infezioni, vaccinazioni, contenuti nel sangue e che poi passano nel latte proteggendo il neonato da altre infezioni. L’allattamento va però temporaneamente sospeso in caso di capezzoli con ragadi o sanguinanti.      Altra via di trasmissione del virus HCV è quella congiuntivale con lo spruzzo di sangue infetto nell’occhio.

     La diffusione del virus HCV ha toccato il massimo di intensità tra gli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta del Novecento, solo successivamente si è registrato un declino dell’incidenza di infezione per le migliori conoscenze sulle vie di trasmissione, la diffusione di materiale medico monouso e l’innalzamento dei livelli igienico-sanitario. Nonostante tutto nei Paesi occidentali nel 40% dei pazienti con infezione HCV non si identifica alcun fattore di rischio.

Quadro clinico

     Dopo il periodo di incubazione, l’infezione primaria in genere decorre in modo asintomatico; le forme acute sono benigne e la forma fulminante è estremamente rara. I sintomi della forma acuta consistono in  dolori articolari, debolezza, nausea, mancanza di appetito, che sono sintomi aspecifici e che possono essere scambiati per sintomi influenzali. Questo comporta una non corretta interpretazione, una mancata diagnosi, una mancata possibilità di intervenire quando il danno non è ancora progredito, oltre che impedire la messa in atto di opportune misure di prevenzione personale e per i familiari.

     In genere, l’infezione acuta cronicizza, e questa forma cronica nella maggior parte dei casi rimane asintomatica, ma nel corso degli anni porta a cirrosi prima compensata, poi scompensata. La cirrosi nell’1-5% dei casi evolve in epatocarcinoma. L’intervallo tra il momento del contagio e l’evoluzione della malattia dipende da vari fattori come la carica virale, alcolismo, co-infezione da virus HIV o da virus B e HDV, presenza di diabete, età del paziente al momento in cui contrae l’infezione e il sesso.

Diagnosi

     Prima si fa la ricerca nel siero degli anti HCV: se questo test è positivo bisogna tenere conto che la sua positività non distingue un pregresso contatto da una infezione in atto; allora si fa la ricerca dell’HCV-RNA: se questo è positivo vuol dire che il soggetto ha l’infezione in atto; se il soggetto anti HCV positivo è HCV-RNA negativo vuol dire che ha avuto un contatto con il virus ed ha sviluppato anticorpi. Ma tra il momento del presunto contagio e la comparsa degli anticorpi esiste un intervallo che va da uno a sei mesi, e questo viene chiamato finestra. Se si fa un test anti-HCV in questo periodo può aversi un test falsamente negativo, pur in presenza del virus, ed è il caso dei soggetti immunocompromessi.

     La determinazione dell’HCV-RNA è utile per dimostrare che un soggetto è infetto, tenendo conto del fatto che l’HCV-RNA compare nel siero entro pochi giorni dall’infezione; anche questo test potrebbe dare un falso negativo in quanto inizialmente la carica può essere tanto bassa da essere al di sotto dei livelli di rilevamento. Quanto al periodo della finestra, esso varia da soggetto a soggetto ed anche in base al test utilizzato per la loro rilevazione. Oggi esistono test molto sensibili come quelli di terza e quarta generazione, che riducono notevolmente il periodo di finestra a circa una settimana dal contagio. Importante è determinare il genotipo che potrebbe essere indicativo di una prognosi di malattia e del tipo di risposta alla terapia: i tipi 1 e 4 erano definiti difficili da trattare, mentre il 2 e il 3 erano ritenuti facili da trattare. Importante è determinare la quantizzazione dell’HCV-RNA prima della terapia, nel corso del trattamento, al termine e sicuramente dopo 12 settimane dalla fine del ciclo di terapia per valutare la eventuale risposta. Si parla di risposta virale sostenuta, se la negatività dell’HCV persiste dopo la 12a settimana dalla fine del trattamento. Per la determinazione degli anticorpi anti-HCV si possono usare dei test rapidi di cui esistono due tipi: uno, comunemente conosciuto come “pungidito”, consiste nel prelievo di una goccia di sangue capillare, il campione di sangue viene analizzato in tempo reale e il risultato viene comunicato in pochi minuti. L’altro test rapido viene effettuato sulla saliva. È un test non invasivo, eseguibile in tempi rapidi (20 minuti) in qualsiasi contesto. Il test richiede il digiuno assoluto da almeno 30 minuti e non lavare i denti 15 minuti prima di effettuarlo. In caso di test salivare anti-HCV positivo bisogna fare il test ematico con la ricerca dell’HCV-RNA.

      Se un operatore sanitario si punge, si fa subito il prelievo rapido (ematico o salivare) e, se questo risulta positivo, si fa l’HCV-RNA; in caso di positività vuol dire che il paziente era già infetto dal virus C; se invece il test rapido è negativo, la persona va controllata a 1, 3, 6, 12 mesi dal sospetto contagio.

     Importante è eseguire gli esami di funzionalità epatica come transaminasi, gamma-GT, bilirubinemia totale e frazionata, profilo proteico. Utile è l’ecografia epatica per la ricerca dell’HCC e fondamentale è il fibroscan per stabilire la presenza o meno di fibrosi/rigidità epatica.

 Screening

     In assenza di un vaccino, l’eliminazione dell’HCV si può avere con i nuovi farmaci e l’adozione di norme igienico-sanitarie per la prevenzione primaria volta ad impedire la trasmissione del virus. Ma la cosa importante da fare è identificare i portatori cronici asintomatici di HCV, che sono la maggior parte dei soggetti infetti. Quindi, bisogna andare alla ricerca delle persone che non sanno di essere infette, e cioè quegli individui che hanno contratto il virus prima che si diffondesse la cultura dei presidi sanitari usa e getta. Insomma, scoprire il sommerso.

     Nel maggio del 2016 l’OMS approva la strategia per il settore sanitario globale, denominato Global Health Sector Strategy (GHSS), sull’epatite virale, fissando al 2030 l’obiettivo per eliminare l’infezione e la malattia HCV correlata, considerata minaccia per la salute pubblica mondiale. L’ OMS invita tutti i Paesi a raggiungere questo obiettivo. L’Italia, considerata il Paese con la più alta incidenza dei contagiati dell’infezione HCV e dalle conseguenze della malattia cronica del fegato, aderisce al richiamo dell’OMS e si impegna nel trattamento dei pazienti con HCV cui segue una notevole riduzione dei casi di cirrosi scompensata ed epatocarcinoma, e tutto questo con risparmio economico.

     Nel 2020 al programma dell’OMS avevano aderito, tra i Paesi a più alto reddito, Australia, Canada, Francia, Germania, Islanda, Italia, Spagna, Svezia, Svizzera Regno Unito. Successivamente, hanno aderito Austria, Paesi Bassi, Malta, Corea del Sud e Giappone, con l’intento di eliminare il virus entro il 2040, poi si sono aggiunti Arabia Saudita e Taiwan impegnandosi ad eliminare il virus entro il 2050; altri 27 Paesi, compresi gli Stati Uniti, non dovrebbero raggiungere l’eliminazione prima del 2050.

     La prof. Kondili ed altri (2022) dice: “In Italia c’è un sommerso di oltre 280.000 soggetti che non sanno di aver avuto l’epatite (in quanto asintomatica) e circa 100.000 persone con malattia epatica cronica sintomatica, in cui la patologia o non è stata diagnosticata o è stata diagnosticata ma non curata”. Il mezzo per raggiungere l’obiettivo dell’OMS è lo screening per l’infezione da HCV, economicamente sostenibile per il SSN, focalizzando l’attenzione su gruppi ad alto rischio come i carcerati, i pazienti dei SerD (Servizi per le Dipendenze) ed i nati tra il 1948 e il 1988. Kondili e colleghi dicono che gli studi PITER (Piattaforma Italiana per lo studio delle terapie delle epatiti virali), nata nel 2014 e coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) e la Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), hanno riportato che la più alta prevalenza dell’infezione potenzialmente asintomatica si trova nella coorte 1948-1988: l’infezione nelle fasce di età più anziane si considera esaurirsi naturalmente, anche senza strategie di screening mirate; al contrario, le persone nate dopo il 1988, che non presentano fattori di rischio, non hanno prevalenza rilevante di HCV nella popolazione generale.

     Si è deciso di eseguire uno screening graduato agendo per prima sui gruppi ad alto rischio e sui nati tra il 1969 e il 1989 (età con più alta prevalenza dell’infezione non nota e più a rischio di trasmissione dell’infezione) per passare poi, nel 2023, ai nati tra il 1948 e il 1968 prima che la loro malattia progredisse. Lo screening per l’epatite C in Italia era stato previsto già alla fine del 2019, in quanto il nostro Paese, insieme ad altri Stati, si era già incamminato per raggiungere l’obiettivo di eliminazione dell’HCV. Il 30 dicembre 2019 arriva il decreto-legge n. 162 riguardante il test di screening per l’epatite C, test convalidato con modifiche nella legge n.8 del 28 febbraio 2020, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 febbraio 2020, con la quale venivano stanziati 71,5 milioni di euro per il biennio 2020-2021 al fine di avviare lo screening.

     Con decreto 14 maggio 2021 il Ministero della Salute definisce i criteri e le modalità operative; la pandemia Covid-19 allunga i tempi e il 27 luglio 2022 viene emanato un documento sulle “Linee di indirizzo nazionale ai percorsi diagnostico-terapeutici ed assistenziali per l’infezione da virus C”, documento di Intesa tra Governo, Regioni e Provincie Autonome. Lo screening riguardava i nati tra il 1969 e il 1989 e gli stranieri temporaneamente presenti sul territorio, i detenuti (indipendentemente dall’età e dalla nazionalità) e i soggetti in cura presso i SerD (indipendentemente dall’età, dalla nazionalità e dal tipo di patologia di base). Si era scelto uno screening graduato, e cioè iniziare con i soggetti nati tra il 1969 e il 1989 e poi passare a quelli nati tra il 1948 e il 1968, in quanto questa strategia di screening graduato ha prodotto il profilo costo-efficacia più favorevole in Italia verso il raggiungimento degli obiettivi dell’eliminazione del virus C.

     Il programma di eliminazione dell’epatite C è quello di rilevare il sommerso (i pazienti infetti non noti) e far emergere i casi sommersi vuol dire portare i nuovi farmaci ai pazienti inconsapevoli di aver contratto la malattia e che da una parte continuerebbero a rappresentare un serbatoio di nuove infezioni e dall’altra sarebbero esposti alle gravi conseguenze che possono derivare dall’infezione da HCV, nonché gli alti costi dell’assistenza che fanno dell’infezione HCV una patologia sociale.

      La giunta regionale pugliese, con delibera del 2 agosto 2022 istituisce la “Cabina di Regia” regionale per lo screening del virus HCV. La Regia stila il piano diagnostico, terapeutico, assistenziale (PDTA), approvato dalla giunta il 18 febbraio e pubblicato nel Bollettino Ufficiale Regione Puglia N.24 del 13 marzo 2013. L’assessore alla sanità pugliese, Dr Rocco Palese, ha inviato un messaggio ai partecipanti al corso di formazione ECM dal titolo “ Diagnosi e trattamento dell’epatite C nel paziente con disturbi da dipendenza”, organizzato per il 22 giugno 2023 a Lecce in occasione della 5a tappa di Hand (H= hepatitis; a = addiction; n = network; d= delivery), e riferisce che in Puglia sono state approvate le linee guida per il piano di prevenzione delle epatiti con una delibera della giunta regionale nella seduta del 18 gennaio 2023 e che tale decreto è stato pubblicato nel Bollettino Ufficiale Regione Puglia N.24 del 13.03.2023.

    E ancora l’assessore dice che si sta cercando di “recuperare ritardi nell’avvio alle attività, accumulati a causa della pandemia da Covid-19” e ancora “il piano diagnostico, terapeutico, assistenziale (PDTA) potrà “essere operativo a regime dal prossimo settembre” […]  “in Puglia sarà sottoposto a screening oltre un milione di persone”, ricordando che “lo screening degli anticorpi del virus HCV è essenziale per individuare le infezioni da epatite C ancora asintomatiche e misconosciute o dette sommerse e la necessaria immediata presa in carico dei soggetti positivi da parte delle strutture specialistiche ed iniziare il più presto possibile la terapia prima che l’infezione possa determinare conseguenze irreversibili”.  

      Il 10 luglio 2023 la Giunta della Regione Puglia, con delibera n. 971, approva l’aggiornamento del PDTA. A livello nazionale lo screening aveva avuto, con il decreto del 16 dicembre 2022, una proroga fino al 31 dicembre 2023. Ma, considerando le inadempienze di diverse regioni colpite dagli strascichi del Covid-19 e da altre contingenze, si auspicava una ulteriore proroga di altri due anni ed un allargamento delle popolazioni coinvolte, rivolgendosi non solo ai nati tra il 1969 e 1989, ma anche alle classi tra il 1948 e il 1968, in cui si può annidare il virus, e il ritardo dello screening per questi soggetti porterebbe ad una progressione della malattia HCV correlata. Farli prima significa riduzione dei danni del fegato, riduzione dei decessi e questo porterebbe a una riduzione delle spese per il SSN di oltre 60 milioni di Euro rispetto ad eventuali diagnosi tardive.

     Il 29 dicembre 2023 arriva il decreto di proroga, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale N.44 del 22 febbraio 2024, per lo screening nazionale gratuito per la eliminazione del virus HCV fino al 31 dicembre 2024. Lo ha detto Roberto Calderoli, ministro per gli affari regionali e le autonomie; notizia sperata, ma non scontata, ma ora si attende una ulteriore risposta sull’argomento della fascia di età sulla popolazione, e cioè fare lo screening ai soggetti nati tra il 1948 e il 1968.

Terapia

     Nei primi anni il trattamento era basato sull’interferone per le sue proprietà antivirali e immunostimolanti e inizialmente usato in mono-terapia con una efficacia inferiore al 40% . L’aggiunta di Ribavirina aumentava l’efficacia del trattamento. Nel 1997 veniva introdotto l’interferone peghilato che aveva migliori caratteristiche cinetiche e permetteva, in combinazione con Ribavarina, di passare dalle tre iniezioni settimanali ad una alla settimana migliorando soprattutto l’adesione del paziente; tuttavia questo trattamento dava benefici nel 50% dei pazienti trattati. In realtà, la terapia risultava efficace nell’80-90% dei malati con genotipo 2 e 3 e solo nel 50% di quelli con genotipo 1. Inoltre, questi due farmaci erano mal tollerati e comportavano significativi effetti collaterali come sindrome simil-influenzale, calo dei globuli bianchi e delle piastrine per inibizione midollare, infezioni, depressione. Tale approccio fino al 2011, quando furono introdotti i primi antivirali ad azione diretta (AAD) usati inizialmente in combinazione con interferone peghilato e Ribavirina ottenendo una migliore risposta virologica specie nel tipo 1 in pazienti non mai trattati o che non avevano avuto una risposta sierologica, ma gli effetti collaterali erano gli stessi.

     Dal 2014 sono disponibili nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (AADs), che hanno permesso di abbandonare l’interferone e che sono risultati altamente efficaci e con effetti collaterali lievi e in gran parte trascurabili. Questi farmaci, che garantiscono la guarigione nel 99% dei pazienti trattati, interferiscono direttamente e in modo specifico con certe proteine virali necessarie per la replicazione del virus; sono farmaci sicuri e tollerati anche per i pazienti anziani o con altre patologie. La terapia dura 8-12 settimane e si parla di risposta virologica sostenuta se il virus non è più rilevabile dopo la 12a settimana dalla fine del trattamento, e per questi pazienti l’infezione può essere considerata eradicata. Questi trattamenti con due o più farmaci in combinazione hanno migliorato la qualità di vita dei pazienti ed hanno ridotto la trasmissione del virus HCV.

     Nel tossicodipendente in trattamento sostitutivo con metadone o buprenorfina, stabilizzato da 6 mesi si hanno ottimi risultati. Brevi ricadute di tossicodipendenza non devono far interrompere la terapia antivirale, mentre la ripresa continuativa della tossicodipendenza si correla con l’insuccesso terapeutico dovuto o ad un possibile sviluppo di resistenza ai farmaci antivirali o al rischio di reinfezione, in quanto una pregressa infezione, risoltasi o con terapia o spontaneamente, non conferisce una protezione immunologica. Oggi ci vuole un approccio terapeutico più allargato alla popolazione, indipendentemente dal grado di patologia raggiunto, e cioè l’approccio non è “ti curo perché sei malato, ma ti curo per non diffondere la malattia”. Il prof. S. Brillanti, gastroenterologo dell’Università di Siena, dice: “L’infezione HCV correlata non deve essere vista solo come causa di epatite, poiché si tratta di un’infezione con interessamento e coinvolgimento sistemico: linfoma, diabete, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, depressione ecc, sono le patologie con incidenza significativamente maggiore nei soggetti HCV positivi rispetto ai controlli HCV negativi, e la probabilità di morte per cause non epatiche è quasi il doppio rispetto ai soggetti HCV negativi, a dimostrazione di come l’infezione da HCV possa essere causa di gravi patologie non legate al fegato e di grande impatto sociale”. E ancora afferma: “La terapia antivirale tempestivamente avviata ha un ruolo anche nella prevenzione delle complicanze extraepatiche dell’infezione; la terapia antivirale, una volta eradicata l’infezione, può prevenire gli outcome non legati al fegato”.

Profilassi

     Non esiste un vaccino. Il rischio di infezione HCV, detta post-trasfusionale, da trasfusioni di sangue ed emoderivati, oggi è stato quasi azzerato nei Paesi occidentali da quando nel 1990 è diventato obbligatorio lo screening (ricerca di anti HCV) sui donatori e sulle sacche di sangue ed emoderivati; nei Paesi in via di sviluppo le trasfusioni rappresentano ancora una modalità di contagio. Il contagio intra- familiare è possibile, e in questo tipo di trasmissione i veicoli sono gli oggetti di uso personale (forbici, rasoi, spazzolini, tagliaunghie, ecc.) usati promiscuamente. L’assunzione di droghe per via parenterale con scambio di siringhe, la promiscuità e le abitudini di vita dei tossicodipendenti sono le cause della diffusione dell’HCV tra questa categoria. Gli strumenti con cui vengono fatti i piercing, i tatuaggi, l’agopuntura, interventi odontoiatri, se non sono opportunamente sterilizzati, possono fungere da vettore di infezione. Per una donna con epatite cronica HCV-RNA positiva in buon compenso funzionale, senza malattie concomitanti o complicanze ostetriche, la gravidanza non è un rischio di aggravamento della malattia epatica. Non è necessario partecipare allo screening se si è già in cura per l’epatite C, o se si fanno regolari controlli o se si è donatori periodici di sangue e derivati. E a proposito dei detenuti e della prevenzione e cura nelle carceri è opportuno ricordare quanto scriveva la giornalista S. Palazzo su “Il sussidiario.net” del 28 marzo 2017, in occasione del Convegno tenutosi a Viterbo nel 2017 sul progetto Enehide, programma di iniziative rivolto alla comunità carceraria per la salvaguardia di tutti e la lotta contro la diffusione del virus HCV: “L’epatite C evade dal carcere: pochi controlli nei penitenziari: così diventano focolai. Il carcere può diventare un luogo facile di contagio e ancora un aspetto non trascurabile della questione riguarda proprio il ritorno in libertà: in questo modo la malattia, infatti, evade dal carcere e in mancanza di tutela si crea una catena di contagi tra detenuti, parenti, personale della polizia penitenziaria e popolazione in generale”.

     Epatite C e dentista, ci sono tre possibilità: da paziente a paziente, dal dentista al paziente, dal paziente al dentista: il dentista deve chiedere di che patologie è affetto il paziente che, nel caso di epatite, deve dirlo, ma alcune volte non lo dice o perché si dimentica o non lo sa perché non ha mai fatto esami specifici o non lo dice per vergogna. È importante incoraggiare le persone a sottoporsi al test di screening attraverso la comunicazione relativa alla consapevolezza della malattia, dei suoi rischi, dei comportamenti a rischio, l’efficacia dei nuovi trattamenti; la comunicazione dovrebbe stimolare la partecipazione attiva e generare cambiamenti dei comportamenti nei soggetti coinvolti. Infine, per sensibilizzare le persone sul tema delle epatiti, nel 2008 venne l’idea di istituire la giornata mondiale per la lotta all’epatite, ma si realizzò nel 2010 durante la 63a assemblea mondiale della Sanità.

     È stata approvata dalla OMS e dagli Stati membri e stabilisce il 28 luglio di ogni anno come giorno di celebrazione della giornata mondiale per la lotta all’epatite; la prima volta è stata il 28 luglio 2011. È stato scelto il 28 luglio perché è il giorno in cui si commemora anche la nascita di Baruch Blumberg (1925-2011), il biochimico statunitense insignito del premio Nobel (1976) per aver scoperto il virus dell’epatite B (1963) e sviluppato il primo vaccino (1980). Ogni anno c’è uno slogam per la celebrazione di questa giornata e nel 2023 è stato “One life, one liver” (una vita, un fegato) per ricordare che la salute del fegato è fondamentale per la salute umana. Infine, nel 2020 il premio Nobel per la Medicina è stato assegnato agli scienziati Harvey J. Alted, Michael Houghton, Charles M. Rice che, con le loro scoperte decisive, hanno portato all’identificazione del virus dell’epatite C. Controllate che il vostro barbiere, il vostro estetista, manicure, pedicure e dentista sterilizzino tutto il materiale pungente e tagliente. Nell’ambiente di lavoro il personale infetto deve rispettare le norme igienico-sanitarie, utilizzare solo prodotti personali, coprire tagli ed abrasioni presenti sulla cute. Non esistono portatori sani di epatite C, ma pazienti portatori cronici del virus C; chiamarli portatori sani non è corretto, è una definizione equivoca perché l’infezione cronica virale è uno stato di malattia, anche se una piccola parte può sviluppare un severo danno progressivo del fegato; la maggior parte ha lievi danni al fegato e non sviluppa cirrosi o epatocarcinoma. La lotta contro l’epatite C è una lotta infinita: le persone trattate e guarite hanno replicato comportamenti a rischio, reinfettandosi contando sul fatto di avere oggi una terapia antivirale in grado di curare la malattia, non sapendo che una nuova esposizione al virus potrebbe tradursi in una reinfezione. L’ostacolo principale per l’eliminazione dell’epatite C sono le persone che vivono per anni con il virus senza sapere di averlo.

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