In primo piano si afferma l’immagine di un intellettuale dinamico, in grado di misurarsi con una complessa e policentrica geografia di ambienti culturali, corrispondenti alle capitali ideali di quella “repubblica delle lettere” richiamata in precedenza. In ordine: l’asse pavese-milanese nella Lombardia neoclassica; la Firenze di Vieusseux e del cenacolo raccolto attorno all’«Antologia» che fu latore di aspirazioni libertarie di stampo filellenico, in concomitanza con la rivoluzione greca del 1821; la Venezia della connazionale salonnière Isabella Teotochi Albrizzi. Un itinerario ricostruito nelle sue traiettorie segmentate, negli spostamenti a volte tortuosi da una città all’altra, nelle singole dimore, più o meno durevoli, ma pur sempre giustificate dalla funzione mediatrice in campo letterario che veniva accreditata all’erudito greco. A legittimare la fama di Mustoxidi era, soprattutto, l’affidabilità delle sue consulenze linguistiche in quanto «grecista provetto» (p. 37), al cui ingegno il diciassettenne Leopardi volle consacrare, senza conoscerlo, la dedica del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.
La possibilità di attingere a un numero cospicuo di lettere, rispetto alla dotazione di cui si disponeva in passato, ha fornito (lo si è già detto) elementi inediti, fugato ipotesi di lavoro fallacemente attendibili, chiarito alcuni retroscena suscettibili di facili travisamenti. L’ossatura della monografia di Scardicchio acquista, insomma, solidità strutturale principalmente, ma non solo, dai documenti epistolari.
Se tralasciamo i testi delle missive (inedite e non) intercalati nella narrazione critica affidata ai singoli capitoli, un vero tesoretto di inediti lo custodisce l’Appendice al volume (alle pp. 153-178), ove si raccolgono tre florilegi di sei pezzi ciascuno (tre di Mustoxidi e altrettanti dei rispettivi corrispondenti), selezionati dai carteggi intrattenuti con Giovan Pietro Vieusseux, Felice Bellotti e Isabella Teotochi Albrizzi, per un totale di diciotto lettere. Gli interlocutori prescelti esemplificano tre momenti, i più decisivi, dell’attività letteraria del corcirese, rinviando rispettivamente alle città di Firenze, Milano e Venezia: indiscussi «centri nevralgici della geografia culturale ottocentesca» (p. 153).
Un ritratto dinamico e originale di Mustoxidi, con le sue predilezioni, declinate alla graduale presa di coscienza della propria missione intellettuale, emerge già nel primo capitolo, incentrato sulla feconda sintonia ideologica con Vincenzo Monti, di cui fu allievo in quel di Pavia. La saldatura fra la classicità greco-latina e la tradizione nazionale, la visione “patriottica” di Dante, la vocazione divulgativa del magistero letterario proprie di Monti cementarono quel sodalizio. Perché il romagnolo trovò nel giovane Mustoxidi un apologeta del proprio indirizzo linguistico anticruscante, sul fronte della «polemica ingaggiata contro gli accaniti detrattori toscani» (p. 13), e un occhio linceo più acuto del suo, sul piano critico,in occasione dell’allestimento della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca,. Trovò insomma un ausilio fidato, capace di «assumere le vesti del consigliere diligente» (p. 31), nel cantiere della traduzione dell’Iliade, i cui suggerimenti miravano a «contenere l’esuberanza del poeta che sfociava sempre in soluzioni sovrabbondanti, suscettibili di opportuni sfrondamenti» (p. 33). Trovò, sempre in lui, un alacre «intermediario in funzione della pubblicizzazione d’oltralpe della [sua] versione» (p. 17) del poema omerico, che aveva riscosso il plauso di Fauriel. Laddove la penuria documentale creerebbe ostacoli (è il caso della perdita di gran parte del carteggio tra lo stesso Fauriel e Mustoxidi, dalla cui collaborazione nacque la celebre silloge degli Chants populaires de la Grèce moderne, 1824), la disamina di Scardicchio prosegue senza smagliature e ci introduce con vivo impatto nei milieux romantici di Parigi, di Ginevra e di Milano, che certo non lasciarono il corcirese indifferente.
Del soggiorno a Firenze (dal 1804) acquista rilievo l’amicizia con il tragediografo Giovan Battista Niccolini, alla cui «disposizione filellenica» (p. 49) Mustoxidi offrì un rimarchevole contributo, ma soprattutto la frequentazione del Gabinetto Vieusseux, il cui frenetico animatore «promuoveva con favore le opere ispirate alla civiltà greca» (p. 51), da fervido sostenitore della causa filellenica quale egli era. Dal suo punto di vista, al cospetto del moto greco, le questioni linguistiche «anziché perdersi nella mera erudizione dovevano smuovere le coscienze» (Ibidem). Pertanto, riteneva che i ragguagli di un nativo come Mustoxidi non potevano che impreziosire il dibattito culturale, che si espandeva ulteriormente nelle righe del carteggio da lui intrattenuto con il corcirese, documentato nel volume di Scardicchio mediante nuove acquisizioni.
Fulcro della monografia è il cap. III, dedicato alla fitta rete di scambi intrecciata da Mustoxidi nella Milano napoleonica, cuore pulsante del neoclassicismo italiano. Dall’aggregazione al circolo dei classicisti di Giovanni Paradisi all’inserimento nel prestigioso salotto Trivulzio, si seguono le orme di un letterato infaticabile e sempre più coinvolto in un ampio ventaglio di questioni e situazioni, nonché animato dalla disponibilità ad ampliare i propri orizzonti intellettuali. Accanto agli incontri con il classicista Felice Bellotti e con il grecista Luigi Lamberti, si definiscono altresì i termini del solido rapporto con il marchese Trivulzio, che apprezzava «il counseling filologico» (p. 74) del corcirese, così come la destrezza con cui riesumava codici e fonti rare nel corso dei consueti scavi archivistici. Da questo quadro, forse per la prima volta, esce ridimensionata l’incidenza della breve liason di Mustoxidi con Costanza Monti, dal momento che si percepisce un ardore più solerte verso la patria d’origine. Fu quello l’ancoraggio interiore realmente difeso da Mustoxidi, ma senza indulgenza alcuna al fanatismo. Anzi, la distanza, nel suo caso, si convertì in opportunità, al fine di maturare «una lettura meno ‘epidermica’» (p. 86) degli eventi rivoluzionari che stavano investendo la Grecia, sì da esercitare e implementare la propria caratura di intellettuale cosmopolita. Una grecità che viene anche confrontata nel libro con quella “compressa” (secondo Tommaseo) di Foscolo, con estensione del discorso al ruolo che doveva ricoprire il letterato ottocentesco tra indipendenza, aspirazione alla gloria e vocazione pedagogica. I rapporti con Foscolo, intiepiditisi negli anni fino al punto di non ritorno causato dall’irriverente allusione a Mustoxidi contenuta nell’Ipercalisse (1816), si inscrivevano in una polifonia dialettica tra intellettuali di matrice ionica, che includeva anche altri rappresentanti della comunità greca di Venezia.
E nella città lagunare si conclude l’itinerario di Mustoxidi tracciato nel volume. Ancorché vi gravasse un’atmosfera di costernazione, seguita alle delusioni del trattato di Campoformio (1797), Venezia agevolò l’integrazione di Mustoxidi nella colonia greco lì di stanza e grazie al suo florido tessuto culturale favorì il rilancio della sua attività di erudito e di antichista grazie anche alla presenza di connazionali a lui vicini quali Emilio De Tipaldo, Mario Pieri, Antonio Papadopoli e Isabella Teotochi Albrizzi. Per giunta, nel 1821, di fronte alla sollevazione ellenica, «lo spirito di appartenenza alla propria comunità si fece così prepotente che lo indusse a partecipare attivamente ai destini della patria oppressa» (p. 114). Del dotto letterato, sommerso dalle carte o colto nella «sua dolce inerzia» (I. Teotochi Albrizzi, Ritratti, Pisa, Capurro, 1826, p. 89), si rileva pure una sorprendente attitudine all’impegno umanitario a favore dei rifugiati greci, sostenuto anche a costo di finire nel mirino della gendarmeria austriaca. Il confronto con Cesarotti, l’amicizia con la Teotochi Albrizzi e il rapporto altalenante con Tommaseo arricchiscono, insieme alla nota polemica ingaggiata con Cicognara sulla provenienza della quadriga della Basilica di San Marco a Venezia, un affresco che, a ben guardare, non si riduce a una asettica delineazione del cursus honorum di Mustoxidi, ma lo interseca con quei nuclei di aristocrazia letteraria, fluttuanti fra tradizione classica e modernità europea, che avrebbero conferito alla letteratura dell’Italia Unita un originale sincretismo di gusti e di tendenze.
[“Oblio” XIII, 47, 2023]