Cancellare la memoria inutile per dare spazio a quella necessaria

Forse gli uomini che attraversano questo tempo rassomigliano drammaticamente al personaggio di Borges.

Sono sovraccarichi di una memoria senza qualità, insidiati da una quantità smisurata di memoria prodotta da un mondo turbinante, frenetico, multiforme, sommersi da un flusso di immagini e di rappresentazioni sovrapposte, disarticolate, senza nesso, confuse, indistinguibili. Gli strumenti della tecnologia inglobano tutto, conservano tutto, ripropongono continuamente scaglie di memoria,  ritagli che spesso non hanno più contesto. Qualche volta costringono al ricordo.

Ma gli uomini hanno bisogno di dimenticare, di aprire spazi nelle loro memoria, perché i ricordi che rimangono abbiano la possibilità di radicarsi, di diventare indispensabili, essenziali, di farsi struttura sulla quale realizzare la condizione del presente, configurare occasioni di futuro.   

La condizione del dimenticare è un processo naturale: un ricordo lascia il posto ad un altro, quello più consistente a quello che ha una consistenza minore. Un volto, una voce, un luogo, un’esperienza, una circostanza che costituiscono una maglia della rete della memoria, ad un certo punto si dissolvono o comunque si indeboliscono, si sfilacciano, lasciando il posto ad una nuova maglia di memoria, ad un altro volto, un’altra voce, altri luoghi, esperienze, circostanze. Alla dissolvenza di un ricordo corrisponde l’intensità di un altro, ad un distanziamento un’approssimazione. Probabilmente chi studia la memoria è in grado di dire se siamo noi che volontariamente o involontariamente  ci allontaniamo dai ricordi o se siano essi che si allontanano da noi. Forse chi studia la memoria è in grado di dire  in che modo e in che misura noi si resti fedeli ai ricordi e quanto i ricordi rimangano fedeli a noi.

Potrebbe anche essere che talune volte noi perpetriamo un tradimento nei confronti dei ricordi oppure che siano essi a tradirci. Forse istintivamente ci orientiamo verso la seconda ipotesi, siamo più disposti a pensare che siano i ricordi ad essere infedeli. Gli uomini dimenticano, dunque. Forse quello che ricordano è molto meno di quello che dimenticano. A volte ricordano quello che vorrebbero scordare e scordano quello che vorrebbero ricordare. A volte ricordano il lontano e non il vicino, a volte ricordano il vicino e non il lontano.  Ma gli uomini non vorrebbero dimenticare niente. Vorrebbero poter ricordare tutto.

E’ questo il motivo per il quale   prima hanno inventato la letteratura, la cui sostanza si fonda sulla memoria, e poi  la Rete: per poter recuperare quando vogliono tutti i ricordi che vogliono, per potersi pensare come dei. Non potendo ricordare tutto, hanno inventato qualcosa che riesce o potrebbe riuscire a farlo. Così i ricordi si impigliano nella Rete, coesistono indiscriminatamente, separatamente, frammentariamente, e compaiono   nel preciso istante in cui si digita un nome, una data, un luogo. La Rete ricorda ogni cosa. Non cancella nulla. Non dimentica nulla. La sua memoria incombe, assedia.   

Così la natura dell’umano retrocede; scompare o comunque si riduce quella dimensione di soggettività, di intimità, di irripetibilità  della memoria che si realizza quasi esclusivamente attraverso la rielaborazione del ricordo. Forse scompare anche il senso autentico, sostanziale, della memoria che talvolta si può ritrovare soltanto nella lotta disperata con le onde silenziose e insidiose dell’oblio.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 24 marzo 2024]

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