Il sacro

di Gianluca Virgilio

Voglio raccontare la storia dei funerali di mio cugino Antonio, morto un po’ di anni fa. Antonio aveva all’incirca venticinque anni quando fu preso da un tumore che lo portò a morte dopo molte sofferenze. Il compianto fu grande, come sempre accade quando muore un giovane, che avrebbe avuto tutta una vita davanti a sé. Quando muore un giovane sentiamo che è la stessa possibilità di vivere che è negata da una forza oscura e malvagia contro cui nulla possiamo. Genitori disperati, parenti affranti, amici sgomenti. Tutta Corigliano d’Otranto non parlava d’altro.

Il corteo funebre partì da casa alle tre del pomeriggio, con grande partecipazione di popolo, per percorrere la strada principale del paese. Fu nella pubblica piazza che avvenne qualcosa che non mi aspettavo: lungo la via che separa in due parti la villa comunale, a destra e a sinistra, s’erano schierati, a distanza di cinque metri l’uno dall’altro, una ventina di giovani che dovevano avere la stessa età di Antonio, ognuno dei quali recava in mano, agitandola, una bottiglia di spumante, che stappò al passaggio del feretro portato in spalla a turno da quattro di loro, lasciando cadere per terra il contenuto inutilmente sparso. Non so più quale saluto quei giovani urlarono nella strada silenziosa, dove solo potevi udire il calpestio della processione e un pianto sommesso che si confondeva con le preghiere dei partecipanti. Io ero nel corteo insieme ad Ornella e ai miei cugini e in quel momento sentii che un fremito attraversava i corpi, un gelo accapponava la pelle e stordiva gli animi dei presenti. La sensazione non era soltanto mia, ma di tutti i convenuti.

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