Una presenza del rito si nota già nella cultura rinascimentale (da Leonardo da Vinci a Leon Battista Alberti a Giovanni Pontano), ma è nel Seicento che si rivolge una specifica attenzione a questo fenomeno. In quel periodo si afferma una concezione “magica” della natura di cui era convinto sostenitore il gesuita tedesco Athanasius Kircher, che riteneva vero il veleno del ragno e attribuiva una funzione terapeutica alla musica proprio per via delle “corrispondenze” occulte esistenti fra le varie parti dell’universo. Anche per il medico e scienziato Giorgio Baglivi, nato a Ragusa ma leccese d’adozione, che pure distingue tra un tarantismo vero e uno falso (il “carnevaletto” delle donne), l’unico antidoto contro la malattia era costituito dalla musica e dalla danza.
Col Settecento c’è un cambiamento di paradigma e il fenomeno del tarantismo viene esaminato alla luce della ragione. Il più noto rappresentante di questa corrente di pensiero è il medico Francesco Serao, segretario dell’Accademia delle Scienze di Napoli, il quale contesta le tesi di padre Kircher e le credenze popolari e ritiene il tarantismo un fenomeno di origine psichica, non tossica, attribuendolo alla natura “malinconica” dei pugliesi.
Ma esiste anche un uso traslato della tarantola da parte di trattatisti politici e predicatori, per cui lo stellione o falangio di Puglia diventa metafora ora della fraudolenza, ora dell’ambizione, ora dell’invidia. Un aspetto molto originale della ricerca di Sisto è costituito dall’esame delle illustrazioni contenute nelle opere sul tarantismo, in quanto la tarantola ha avuto una notevole fortuna iconografica. E anche in questo caso le immagini sono sempre collegate all’interpretazione del fenomeno e alle cure che sono proposte dagli autori per la guarigione della malattia.
Colpisce la diffusione del dibattito sul tarantismo messa in luce nel quarto saggio. Esso infatti si sviluppa in tutte le province pugliesi, da Lecce a Taranto, da Brindisi a Bari e Foggia, essendo tutte interessate in vario modo al fenomeno, nonché in altre regioni italiane e anche all’estero. Nel Novecento, infine, l’immagine della tarantola compare anche nei testi di alcuni dei maggiori poeti italiani, da Ungaretti a Montale, da Cardarelli a Luzi, ma anche in scrittori e scrittrici stranieri. E proprio un poeta, Salvatore Quasimodo, è l’autore del controverso commento del documentario di Gianfranco Mingozzi, La taranta, del 1962.
La seconda parte del volume di Sisto contiene un’ampia antologia di testi di numerosissimi autori (letterati, storici, predicatori, viaggiatori, italiani e stranieri, medici, naturalisti, musicologi) che hanno offerto testimonianze più o meno preziose sul fenomeno del tarantismo in un ampio arco di tempo. Si va infatti dalla metà del XIV secolo, con un brano del medico padovano Guglielmo di Marra, fino al Novecento. Ogni brano è preceduto da una puntuale nota dell’autore che fornisce le informazioni necessarie per una lettura più agevole dei testi.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia, 20 marzo 2024]