Manco p’a capa 189. Riscriviamo l’articolo 3 della Costituzione


Ritenere che le razze ci siano per gli animali (ad esempio i cani) ma che il concetto non valga per gli umani sancisce un concetto di superiorità della nostra specie, rispetto alle altre. Se così fosse, la Costituzione sarebbe da correggere, visto che, anche se in positivo, si rivela razzista, riconoscendo l’esistenza delle razze.
Visto che, come diceva l’antropologo Bracardi, l’uomo è una bestia, credo che non ci sia nulla di errato nel parlare di razze umane. Chiamarle etnie è una foglia di fico lessicale.
Il concetto biologico di specie è uno dei più “operativi” tra quelli che definiscono cosa sia una specie. Appartengono alla stessa specie individui in grado di dare origine a prole feconda. Mi spiego meglio. Due specie affini, appartenenti allo stesso genere, possono dare origine a ibridi. Proverbiale l’incrocio tra un asino (Equus asinus) e una cavalla (Equus caballus): il mulo, con caratteristiche intermedie tra le due specie. I muli maschi sono invariabilmente sterili, ma le mule possono occasionalmente riprodursi con asini o con cavalli. Questo significa che le due specie sono molto simili, tanto da essere ascritte allo stesso genere, Equus, ma sono abbastanza diverse da non produrre prole feconda, pur potendo produrre ibridi.
Se prendiamo i cani, invece, sono tutti potenzialmente interfecondi. Certo, se cerchiamo di far accoppiare una barboncina con un alano le cose si complicano, ma un barboncino con un’alana potrebbe avere successo, anche se non so se l’esperimento sia mai stato fatto: roba da dottor Mengele. A parte gli impedimenti fisici dovuti alle dimensioni, però, i cani possono tranquillamente accoppiarsi tra loro e la prole è fertile: i bastardi di solito vivono più a lungo e sono più svegli dei cani di razza “pura”.
Cani e lupi sono la stessa specie (Canis lupus) ma per il cane si riconosce una sottospecie (familiaris) il che, però, non impedisce che cani e lupi si accoppino e che abbiano prole feconda. I cani non riconoscono differenze di razza: sono tutti la stessa specie.
Noi facciamo altrettanto. Le razze umane possono accoppiarsi tra loro e spesso la prole prende il meglio dei genitori, se questi sono molto diversi. Mentre gli accoppiamenti tra consanguinei tendono a impoverire geneticamente la prole, lo scambio di geni tra individui della stessa specie con caratteristiche diverse “migliora” la prole.
Un altro concetto di specie si basa sul riconoscimento: appartengono alla stessa specie gli individui che si riconoscono come tali, soprattutto nelle scelte naturali di accoppiamento. Questo concetto si applica in modo ambiguo alla nostra specie, visto che, culturalmente, abbiamo sviluppato comportamenti di segno opposto. Ci sono quelli che parlano di “contaminazione” e che stigmatizzano, quindi, il mescolamento. Questo atteggiamento è tipicamente razzista. Altre/i, invece, sono attratti/e dagli opposti. La biologia dà ragione ai secondi: mescolarsi fa bene.
L’articolo 3 pone altri problemi: se una religione prevede la mutilazione genitale delle femmine, e il loro matrimonio con persone molto più grandi di loro, mentre sono ancora bambine, che facciamo? Come la mettiamo con le religioni che accettano la poligamia? Quanto all’opinione politica… allora chi è di opinione fascista o nazista deve sentirsi discriminato?
E poi… i “cittadini” sono ovviamente i detentori di cittadinanza italiana. Come la mettiamo con chi non ha la cittadinanza? Ovviamente ci sono norme che stabiliscono come questa si possa attribuire a chi non la possiede per nascita da genitori italiani. Come sarebbe rivoluzionario questo articolo se invece di “cittadini” ci fosse “persone”, usando il termine utilizzato per definire lo “sviluppo della persona umana”. La parte finale parla poi di partecipazione di tutti i “lavoratori” all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Da pensionato, in teoria non lavoro più e non sono un lavoratore. E come la mettiamo con chi non lavora per menomazioni di qualche tipo? E gli studenti? Ho avuto parte attiva nel cambiare l’art. 9 che parlava solo di paesaggio e ignorava la natura. Ma in questo caso… mi affido alla clemenza dei costituzionalisti.

[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 17 marzo 2024]

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1 risposta a Manco p’a capa 189. Riscriviamo l’articolo 3 della Costituzione

  1. Riccardo Cravero scrive:

    Egregio Professor Boero, ho casualmente letto il suo articolo nell’ambito del Blog de Il Fatto Quotidiano e devo ammettere che ciò che ho letto ha suscitato in me non poche perplessità. Non essendo io registrato al servizio online del Fatto né avendo intenzione di registrarmi, lascerò quindi qui i miei commenti, peraltro consapevole del fatto che molti prima e dopo di me scriveranno cose simili.
    Innanzitutto, non mi pare corretto sostenere che le razze siano cadute in discredito a causa delle vicende politiche del Novecento, tali da rendere “inorriditi” gli estensori della Costituzione e di altri documenti simili e coevi.
    Come Lei ovviamente ben sa, la comunità scientifica ha infatti ritenuto le classificazioni razziali inadeguate soprattutto in quanto esse sono categorie vaghe e poco utili per orientarsi nella diversità umana: già Darwin ironizzava sulle profonde discordanze tra gli elenchi di “razze” che circolavano tra gli studiosi, secondo i quali il numero di razze oscillava tra una manciata di gruppi razziali fino a svariate decine di supposte “razze”umane.
    Utilizzando i risultati della genetica delle popolazioni, si è inoltre appurato come la diversità tra membri di una popolazione può essere maggiore rispetto a quella che intercorre tra gruppi diversi. Io, italiano “bianco” posso essere geneticamente più simile a un Masai di quanto detto Masai lo sia rispetto al suo vicino di casa, pur appartenente allo stesso gruppo.
    Ovviamente, Lei può benissimo chiamare razze le diverse manifestazioni della diversità umana, ma mi pare che tale uso linguistico non abbia grande vantaggio se si vuole indagare adeguatamente tale diversità (oltre che essere compromesso a causa di tragici avvenimenti politici).
    Le razze d’altronde sono dei costrutti sociali non perché inventare di sana pianta, ma perché siamo noi umani a selezionare i tratti pertinenti perché le classificazioni, che rimangono quindi aperte a una pluralità si diverse categorizzazioni.
    Un esempio con i cani, che Lei pure cita spesso: perché trattiamo tutte le colorazioni del mantello del Labrador Retriever come se ricadessero all’ interno della stessa categoria razziale ma abbiamo creato ex novo la razza del Pastore Svizzero per potervi inserire Pastori Tedeschi a pelo bianco, non previsti dallo standard di razza ufficiale? Se le razze dei cani sono così mutevoli e problematiche (come lo sono d’ altronde le sottospecie in biologia, spesso controverso a livello classificatorio), perché dovremmo dare grande importanza a tali classificazioni, che servono più a titolo descrittivo che come etichette scientifiche? E cosa ci dice che persone con tratti somatici differenti assomigliano più a due razze diverse (come Golden Retriever e Labrador Retriever) e non a variazioni interne a una “razza” (come Labrador di colori diversi)?
    Un ulteriore problema è invece di natura storica. L’ argomento per il quale le razze esistono in quanto la Costituzione le cita esplicitamente è vecchio, poco originale e ampiamente discusso da diversi esperti in materia, che ricordano ormai da anni come tale termine sia stato scelto per rendere esplicita l’ opposizione alle leggi razziali fasciste, usando un termine che era immediatamente e dolorosamente familiare ai cittadini dell’ epoca.
    Si può ovviamente opinare che tale manovra terminologica sia oggi desueta e non più necessaria, ma bisognerebbe almeno conoscere l’antefatto e il contesto da cui essa è derivata.
    Il termine etnia è d’altronde usato a sproposito come sinonimo di razza, pur significando ben altro (una identità di gruppo di matrice socioculturale, linguistica e storica, non biologica), perciò non sarebbe nemmeno opportuno utilizzare a sproposito tale termine, come purtroppo si fa spesso nel nostro Paese, per ignoranza o velleità di “correttezza politica” superficiale (o entrambe).
    Si potrebbe richiamare il caso angloamericano, dov’è il termine “race” indica la presunta razza biologica senza avvallarne l’ esistenza ma riconoscendo che essa è un criterio di classificazione operante a livello sociale che necessita di una parola per essere descritto (fosse anche solo per criticare discriminazioni e ingiustizie che colpiscono su base non etnico-culturale bensì proprio razziale). Ma anche questa scelta lessicale andrebbe ben argomentata (io ritengo che vi siano buoni argomenti sviluppati da “race philosophers” americani che mostrano convincentemente come si possa usare la categoria senza caricarla di pensiero razzista).
    In ogni caso, tali termini non andrebbero usati con leggerezza e soprattutto non andrebbero letti solo attraverso la lente della biologia, quantomeno se si vogliono evitare letture superficiali, parziali e poco raffinate

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