di Ferdinando Boero
Inorriditi dalle leggi razziali e dal razzismo, tendiamo a ritenere che le razze siano un costrutto culturale che non corrisponde a realtà: siamo tutti uguali. L’Istituto Superiore di Sanità nega la validità della parola “razza” riferita agli umani, e parla invece di etnie o di popolazioni. A questo punto dovremmo cambiare l’articolo 3 della Costituzione, che dice: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La Costituzione riconosce l’esistenza delle razze. Un riferimento dovuto, ovviamente, all’onta per le leggi razziali, in cui si stabiliva che non tutti fossero uguali davanti alla legge.
Egregio Professor Boero, ho casualmente letto il suo articolo nell’ambito del Blog de Il Fatto Quotidiano e devo ammettere che ciò che ho letto ha suscitato in me non poche perplessità. Non essendo io registrato al servizio online del Fatto né avendo intenzione di registrarmi, lascerò quindi qui i miei commenti, peraltro consapevole del fatto che molti prima e dopo di me scriveranno cose simili.
Innanzitutto, non mi pare corretto sostenere che le razze siano cadute in discredito a causa delle vicende politiche del Novecento, tali da rendere “inorriditi” gli estensori della Costituzione e di altri documenti simili e coevi.
Come Lei ovviamente ben sa, la comunità scientifica ha infatti ritenuto le classificazioni razziali inadeguate soprattutto in quanto esse sono categorie vaghe e poco utili per orientarsi nella diversità umana: già Darwin ironizzava sulle profonde discordanze tra gli elenchi di “razze” che circolavano tra gli studiosi, secondo i quali il numero di razze oscillava tra una manciata di gruppi razziali fino a svariate decine di supposte “razze”umane.
Utilizzando i risultati della genetica delle popolazioni, si è inoltre appurato come la diversità tra membri di una popolazione può essere maggiore rispetto a quella che intercorre tra gruppi diversi. Io, italiano “bianco” posso essere geneticamente più simile a un Masai di quanto detto Masai lo sia rispetto al suo vicino di casa, pur appartenente allo stesso gruppo.
Ovviamente, Lei può benissimo chiamare razze le diverse manifestazioni della diversità umana, ma mi pare che tale uso linguistico non abbia grande vantaggio se si vuole indagare adeguatamente tale diversità (oltre che essere compromesso a causa di tragici avvenimenti politici).
Le razze d’altronde sono dei costrutti sociali non perché inventare di sana pianta, ma perché siamo noi umani a selezionare i tratti pertinenti perché le classificazioni, che rimangono quindi aperte a una pluralità si diverse categorizzazioni.
Un esempio con i cani, che Lei pure cita spesso: perché trattiamo tutte le colorazioni del mantello del Labrador Retriever come se ricadessero all’ interno della stessa categoria razziale ma abbiamo creato ex novo la razza del Pastore Svizzero per potervi inserire Pastori Tedeschi a pelo bianco, non previsti dallo standard di razza ufficiale? Se le razze dei cani sono così mutevoli e problematiche (come lo sono d’ altronde le sottospecie in biologia, spesso controverso a livello classificatorio), perché dovremmo dare grande importanza a tali classificazioni, che servono più a titolo descrittivo che come etichette scientifiche? E cosa ci dice che persone con tratti somatici differenti assomigliano più a due razze diverse (come Golden Retriever e Labrador Retriever) e non a variazioni interne a una “razza” (come Labrador di colori diversi)?
Un ulteriore problema è invece di natura storica. L’ argomento per il quale le razze esistono in quanto la Costituzione le cita esplicitamente è vecchio, poco originale e ampiamente discusso da diversi esperti in materia, che ricordano ormai da anni come tale termine sia stato scelto per rendere esplicita l’ opposizione alle leggi razziali fasciste, usando un termine che era immediatamente e dolorosamente familiare ai cittadini dell’ epoca.
Si può ovviamente opinare che tale manovra terminologica sia oggi desueta e non più necessaria, ma bisognerebbe almeno conoscere l’antefatto e il contesto da cui essa è derivata.
Il termine etnia è d’altronde usato a sproposito come sinonimo di razza, pur significando ben altro (una identità di gruppo di matrice socioculturale, linguistica e storica, non biologica), perciò non sarebbe nemmeno opportuno utilizzare a sproposito tale termine, come purtroppo si fa spesso nel nostro Paese, per ignoranza o velleità di “correttezza politica” superficiale (o entrambe).
Si potrebbe richiamare il caso angloamericano, dov’è il termine “race” indica la presunta razza biologica senza avvallarne l’ esistenza ma riconoscendo che essa è un criterio di classificazione operante a livello sociale che necessita di una parola per essere descritto (fosse anche solo per criticare discriminazioni e ingiustizie che colpiscono su base non etnico-culturale bensì proprio razziale). Ma anche questa scelta lessicale andrebbe ben argomentata (io ritengo che vi siano buoni argomenti sviluppati da “race philosophers” americani che mostrano convincentemente come si possa usare la categoria senza caricarla di pensiero razzista).
In ogni caso, tali termini non andrebbero usati con leggerezza e soprattutto non andrebbero letti solo attraverso la lente della biologia, quantomeno se si vogliono evitare letture superficiali, parziali e poco raffinate