«Hai convinto il pubblico e ti meriti tutto. Mi hai coinvolta. Ora sei il mio Toticchio cinico e sprezzante, il mariolo adattato alle tenebre del mondo. Simpatico.»
«Il personaggio doveva essere simpatico, se no addio spettacolo.»
«Devi esserti divertito a metterti nei panni del diavolo.»
«È risaputo che sia il diavolo ad avere la più chiara visione delle cose. È utile ascoltarlo qualche volta.»
«Le antiche scritture infatti riportano la convinzione che sia intelligente. Si tramanda tuttavia di una sua intelligenza inferiore a quella delle donne.»
Lui si fermò a cingerla in un abbraccio. La baciò sul collo sentendo il suo profondo respiro di risposta ma quando cercò le labbra lei si difese.
«Sono contenta di non ritrovarmi in nessuno dei tuoi personaggi femminili. Così posso tranquillamente ritornare nella realtà.»
«Perché parli così?»
Lei fermò i passi. «Cala la tela anche sulla nostra storia.»
Fu silenzio fino a quando entrarono nel primo bar aperto sulla loro strada. Lei era incerta su cosa ordinare, confusa. Lui volle solo un calice di vino bianco, seguito con la stessa richiesta. Un terzo calice fu diviso. Usciti, già ridevano. Attraversarono la porta antica. I vicoli del centro storico erano deserti. Si trovarono soli sul bastione panoramico a guardare giù le barche sonnolente.
Gaia si scoprì a barcollare. Soti la sorresse strettamente tra le braccia appoggiandosi di schiena al muro di protezione.
«Lanterne spente questa sera» disse lei. Il sorriso bruciava sulle labbra socchiuse. Aveva la faccia di chi cerca il sonno ma anche una carezza per affrettarlo.
«Tu, Gaia, sei la mia luce.»
Lei reclinò la testa abbandonandosi. Difficile calcolo del tempo trascorso.
Una coppia saliva verso di loro. Non badarono finché non fu sentita chiaramente la voce allegra di Sofia che si accompagnava con Alberto. Si sciolsero dall’abbraccio. Gaia ebbe un tremito. Di giorno si sarebbe visto il suo rossore.
«Immaginavamo che foste qui» disse la ragazza quando fu alla giusta distanza.
Come se i due sopraggiunti non si fossero meravigliati di niente fu tra loro e la signora uno scambio di commenti sullo spettacolo, di promesse di futuri incontri. Un corrispondersi tenero tra le due donne come tra madre e figlia. Soti rimaneva muto a consegnare sfrangiati ricordi alla debolissima aria che veniva dal mare. Il promesso sposo saldo come un monumento. Diverso da tanti giovani parolai e supponenti. Un genio anche a non portarla per le lunghe, a chiudere permettendo al futuro suocero e alla signora che riprendessero l’idillio notturno.
«E adesso cosa penserà tua figlia?» chiese Gaia quando furono di nuovo soli.
«La cosa più semplice.»
«Domani sarà tuo compito farle capire che mi stavi solo un po’ coccolando.»
«E che altro?»
«Hai osservato la loro espressione mentre si chiacchierava? Per loro è evidente che siamo nello strascico dell’avventura indiana. Poi io a Roma ritorno segretaria nell’ufficio di mio marito. Tu sei il direttore di biblioteca quaggiù.»
Lui tornò ad abbracciarla.
«No, Soti. Tu mi fai da scorta con la tua macchina così vedi dov’è la mia villetta, però in casa c’è mio figlio. Mi ha seguita quaggiù per incontrare le amichette dell’estate. Ascolta, è tutta la sera che volevo chiedertelo. Ho con me una copia delle chiavi. Ti dispiace se la consegno a te? La mia vicina, che andava di tanto in tanto ad arieggiare e a innaffiare le piante del giardino, ora va al nord a vivere con la figlia. Ti prendi questo incarico? Così hai modo di telefonarmi e informarmi dopo ogni tempesta di vento e pioggia.»
«Aspettando il tuo ritorno.»
«Da cara amica.» Lei aprì la borsetta per consegnargli le chiavi. «Lasciami libera, Soti» aggiunse mettendogli una mano sul petto. «Ho provato una paura devastante a teatro. Come una morsa che blocca il respiro. Non ha aiutato il ridere per la commedia. Quella paura non è andata via. La mia colpevolezza l’ho letta sul viso di tua figlia e di Claudia.»
Lui cercò di abbracciarla e baciarla.
«Lasciami libera, Soti. Lasciami, ti prego. Sono stata felice per molto tempo. Come se il nostro viaggio stesse continuando. Non mi dispiaceva che ti limitassi ad inviarmi singole fotografie del paesaggio indiano ed io, lo sai, rispondevo nello stesso modo, anche in significative ore notturne. Vivevo nella certezza che, dopo aver dato prova di continuare a pensarti, avrei finalmente sentito la tua voce al telefono. In casa ad ogni suo squillo correvo. Sono stata brava a mascherare la mia irrequietezza a marito e figlio. Allora progettavo di venire quaggiù senza avviso. C’è sempre la mia casa al mare da aprire. Sarei corsa a trovarti in biblioteca. Per un prestito di libri, chiaro. No. Sorpresa vera. Ti avrei aspettato per strada davanti all’edificio. Sul lungomare. Poi è giunta la festa delle lanterne. L’ho vissuta come un inaspettato seguito del viaggio.»
Lui allentando l’abbraccio bloccò la mente come per non voler comprendere il senso di altro discorso che lei avesse aggiunto. L’avrebbe lasciata parlare. Parlare forse fino a contraddirsi. Gli dei benigni del pantheon indiano che un tempo avevano risposto alle sue preghiere concedendogli di amarla sotto il loro cielo, di fondersi con lei nel fluire cosmico della vita adesso gli porgevano soltanto le chiavi dell’amicizia, sollievo di angosce e solitudini. Era inutile cingere di nuovo a sé Gaia ma il gesto partì involontario. La baciava sfiorandole ogni parte del viso, con le mani furiose cercandole il seno, con la follia che abbatte il filo della ragione.
«Perché fai così?» lei implorò. Cercava ma inutilmente di intercettare il suo sguardo.
«Sono le potenze della terra a volerlo» lui rispose nella cieca ostinazione.
«Sulla terra sta per giungere l’inverno, Soti. Lasciami, lasciami libera. Domani sera mi troverò ad affrontare altro. Tu riesci a costruirti in mente i contorni del mio domani sera?»
Lui si sentì senza riparo. Gli parve di essere spinto da mani impazzite e di precipitare dall’alto giù sugli scogli. I demoni che dalle nubi srotolano storie sui destini degli uomini erano davvero troppi per poterli affrontare.
«Lasciami, ti prego» insistette lei portando il dorso della mano agli occhi. Tornata a dominarsi riprese: «Sono l’aiutante nell’ufficio di mio marito e madre, ma mi comporto come una sedicenne. A quell’età vuoi gridarlo al cielo quando ti senti corrisposta. Hai capito cosa intendo dire. La felicità non può essere clandestina. E la felicità mia e tua fu per qualche giorno agli occhi di tutti. Ma erano per me estranei e provvisori compagni. Il viaggio, una parentesi, uno squarcio della tela concessa dal destino, un nuovo colore del nastro che va scorrendo nella tua vita. Lo vivi nella memoria moltiplicandone la durata, continuando a vedere quel colore. Poi il ripresentarsi di quella illusione: le nuove lanterne e la grande emozione stasera con il tuo teatro, le tue fantasie rese vive. Tu adesso devi immaginare lucidamente dove sarò, con chi ritornerò domani a quest’ora alla vita di sempre.»
Soti avvertiva come ormai staccati con lei tutti i contatti con i quali un tempo si accompagnavano le parole. Un corpo palpitante era stretto a sé per l’ultima volta. Si sorprese che lei non forzasse per sciogliersi e quasi più volte frenasse il desistere di lui.
«Trova una scusa. Non partire domani. Posso immaginare lo scenario dei tuoi prossimi giorni, ma non posso pensare che domani tu sia lontana da me. Una notte e un giorno per riflettere. Ci ripenserai una volta a casa e deciderai in piena ragione se venire a vivere con me per sempre. Io posso aspettare. Un mese, due mesi, un anno, quanto tu vuoi. Ma stai con me questa notte, stai con me ancora domani.»
«Smetti, smetti. Tu sei libero e provi per me un sentimento reale di felicità e di festa. Per me invece è reale l’impossibilità di abbandonare un’altra persona anche se tanto cambiata negli anni. Lasciami, Soti. Seguimi solo fino a casa.»
Con la tenerezza si mescolava in lei un sentimento di rabbia.
«Tu piaci alle donne. Corri, corri a graffiarle con i sogni. L’ho capito il tuo desiderio indicibile, nella commedia.»
«Indicibile?»
«Sì, per l’amica di tua figlia, la Claudia che nel tuo sogno turbato si chiama Clodia. Corri da lei. Se la trovi ferita non ti dispiacerà di perdere me.»
Gaia sta sbagliando dirigendosi sulla litoranea. Forse è quella che conosce meglio. Allungherà rispetto ad un tragitto interno e veloce fino a casa sua. Il rischio per chi fugge come per chi insegue è che sia già domani, che la mente si avvii all’oblio di ieri. Soti deve decidere ed agire. Basterà lampeggiare con i fari quando saranno a poche centinaia di metri da un posto particolare che lui conosce. Lei si fermerà a ciglio strada. Per poi seguirlo. Non si negherà. Soti con la destra afferra le chiavi avute in consegna e che ha lasciato sul sedile a lato. Chissà perché lì. È come se accarezzasse la guancia, le spalle, le ginocchia di lei seduta al suo fianco. Bisogna decidere entro pochi minuti. Il luogo in vista del mare dove la condurrà con una deviazione è a quest’ora buio e solitario. Vi fanno da schermo una vecchia torre, un muro a secco, piante alte. È familiare a lui per i tanti ritorni vagabondi nell’arco degli anni. Si fermerà lì con la donna che adesso fugge ma per farsi raggiungere. “Mi accompagni” ha detto. Allora sarebbe necessario telefonarle per convincersi anche solo dal tono di voce di un ripensamento. Oh Soti smemorato! E non fu un gesto impulsivo per il quale lei ha ceduto sulla fine del viaggio? Questa scissione della mente deve finire presto. Lei sfreccia davanti a lui che tallona a cinquanta, cento metri. Incrociano macchine e sono sorpassati. Eccola! Inevitabile come in ogni situazione di incertezza. Gaia ha levato una mano per fargli segno che va tutto bene. Un saluto è un saluto, ma anche un invito. Già. Perché modifica continuamente la velocità? Un segno di pena e di addio. Ora sotto i limiti, ora li supera da paura. Al verde dei semafori è lenta. Gli stop appena li rispetta o riprende sgommando. Furiosa, forse piange. Una fuga per seminarlo. È arrabbiata. Al telefono potrebbe mentire sulla distanza da casa. Soti continua a tenere le chiavi nella mano destra, anche se impegnata al volante e alle marce. Perché consegna a lui la casa quando potrebbe rivolgersi a qualche altro proprietario vicino? Non esclude futuri incontri. Di ritornare in vacanza da sola. No. Adesso lui lampeggerà e lei si fermerà. Meglio proporre la deviazione in campagna piuttosto che verso il mare che accenderebbe romantiche parole di addio. Meglio il recinto sicuro del campo dove non si accontenteranno dei soli baci. E lui sentirà, ritroverà l’interezza morbida, calda del corpo di Gaia. Adesso deve solo decidere ed agire. Sarà un ordine e non una tiepida proposta. Basterà lampeggiare. Altro che irresoluto. Furia di desiderio. Non deve cadere nell’errore. Niente romantici discorsi. Le schiuderà la bocca con lunghi baci, la colmerà di carezze ardenti. Esplorerà, accarezzerà ogni parte sensibile di lei. Niente parole per convincere. Null’altro che frenesia violenta. Giungeranno in soccorso i poeti del verso sensuale, i premiati e sboccati narratori e in terza schiera gli ironici filosofi. Oh i sottili a combattere sull’arena della non contraddizione! Soti non può lasciar andare Gaia così delusa dopo la confessione dell’amore incredulo. Sì, in principio fu la parola, anzi il lampo fotografico, ma poi la parola diventò peccato e i lampi vampe ripetute sulla carne. Il cedimento ultimo fu e sarà ancora silenzio, respiro. Nella follia di passione la loro storia potrà girare come vuole, dritta, storta. Ecco come si rimanda una decisione definitiva. Soti, sbrigati a lampeggiare. Il tempo rotola mentre il pensiero rischia di evocare situazioni dolorose. Gaia si sta già rassegnando ad essere presa dal marito. Ad essere presa come abitudine, come fiore reciso. Tu aspetti che la sua mano si levi per un altro segnale? Ma può essere che lei rida di quanto tu sei stupido. Come hai potuto chiederle di trasferirsi a vivere con te se il suo corpo non l’hai legato a te con catene?
Senza lasciare le chiavi Soti afferra il telefono dal cruscotto. Dovrebbe premere per la chiamata. Non lo fa ancora. Lei rifarà quel cenno con la mano. E intanto lui può raccogliere tutto il suo coraggio. Dopo il viaggio in India questo è il passaggio di una storia che non deve rimanere inconclusa.
Sa di sbagliarsi. Oggi il tempo scorre veloce in confronto con gli anni della giovinezza. Allora non c’era rapporto stretto tra sesso e amore. I due angeli però oggi si sono di nuovo incontrati. Adesso se non si decide a lampeggiare imiterà il frate francescano Alfonso Aloisio rassegnato a vagheggiare questa e quella, Sofia e Claudia. Il frate vive per vocazione in un universo politeistico. Ma via, via. Invece Gaia è stata sua e questa è storia. Gaia, non una dea del cielo si riverserà all’abbraccio su questo sedile. Basta aspettare qualche minuto prima del bivio. Una proposta intempestiva leverebbe difese. Si tratta di utilizzare con accortezza il tempo ristretto che la vita adesso concede, dopo che per lungo tempo ha insegnato ad adattarsi, a vivere senza più sogni. È un fatto che lui abbia le chiavi di una dimora secondaria di questa donna che fugge. Ciò è significativo al punto che lui potrà permettersi atti di violenta e tenebrosa passione. Ne è sicuro mentre adesso stringe tra le dita sia le chiavi che la levetta del lampeggiante. Aiuterà Gaia a liberarsi da tutto ciò che la fascia, a mostrargli ancora le sue belle forme. Ciò che immagina come delirio alla prova della realtà non sarà che sovrana calma. Pace totale e non questo pazzo fuoco a inseguire.
Per farsi coraggio nel suo proposito di essere deciso, di contrastare iniziali difese e accettare rimproveri chiama a raccolta i ricordi della grande sera indiana, con Gaia ad assediarlo, prima splendida allo sguardo ammirato di tutti e dopo colma di fantasiose allegrezze per lui solo. Le immagini indugiano nella memoria seguendo un lungo interminabile filo. In salwar kameez e nuda. Nuda e in salwar kameez. Basta un lampeggio che non comporta alfine granché di audacia. Come un flash fotografico. Un ritratto e un possesso. Come una volta. Docile al suo desiderio e al suo impeto. Una eternità come una lunga narrazione che a un certo punto spezza la collana del tempo e fa rotolare per terra i suoi grani in tutte le direzioni.
22
Il tredici dicembre, un sabato, sul primo buio tornava verso casa a piedi e con un sacchetto piccolo di spesa. Non molti acquisti perché sua figlia era in viaggio per qualche giorno con Alberto. Dalla mattina piovigginava e nel quartiere si stavano susseguendo brevi interruzioni dell’illuminazione pubblica. Con l’ombrello aperto si teneva rasente ai muri cercando di non farsi inzaccherare dalle auto di passaggio e stava attento a non scivolare sui basoli bagnati delle strette vie interne senza marciapiede. Queste erano sufficientemente risparmiate dal vento che invece stava colpendo con forza sul lungomare. Si contemplava solitario camminatore in una semioscurità limitata dagli edifici come da quinte di palcoscenico. Pochi anni ancora e certamente la scena si sarebbe aperta al suo passeggio con i nipotini. Il luogo sarebbe tornato vivo, come una volta, quando vi conteneva tutte le persone a lui legate da affetto. Spostava l’ombrello per sollevare la testa verso il piano superiore degli edifici osservando come le imposte delle finestre fossero quasi tutte chiuse. Abitazioni per lo più vuote, come vuoti in quella stagione erano molti centri storici dell’entroterra e gli agglomerati di costa. Davanti a questo paesaggio invernale in lui una vista interna allargava a strade e piazze nuovamente affollate. Avrebbe visto impegnati figlia e genero oltre che nel lavoro sicuramente nella partecipazione culturale e politica sicché il suo cuore sarebbe tornato a pulsare in sintonia con la vita intorno.
Svoltato nell’ultimo tratto, cioè nel vicolo tra la sua abitazione e il convento, vide sul cancello del[A1] chiostro Claudia Valletta che sotto l’ombrello parlava al citofono. Distinse poi una tonaca e il segno di entrare.
L’Aloisio riceveva per colloqui e confessioni anche la sera di Santa Lucia? Che c’era di strano? Lucia, una santa senza festa di piazza, non concedeva eccezioni agli appuntamenti del religioso.
Voglio controllare quanto dura l’intrattenimento, si disse sentendo saltargli il cuore e, salito in casa, stette a luci spente davanti alla finestra della sua camera dalla quale vedeva una maggiore sezione dell’ambulacro del chiostro. Sperava che vi comparissero insieme ragazza e frate per capirci qualcosa dai gesti o anche dal solo modo di congedarsi. Non si era svestito, né tolte le scarpe. Aveva paltò e ombrello pronti per scendere le scale e correre dietro a Claudia quando avesse riattraversato il cancello. Qualcosa intorno al trovarsi di lei in zona avrebbe dovuto trapelare dalle risposte.
La pendola suona le sei, poi il quarto. Una donna che dal camminare sembra anziana si avvicina al cancello. Esita, poi entra. Un buon segno. Affretterà il misterioso intrattenimento. Le sei e mezza. L’intrusa torna fuori e, riaperto l’ombrello, se ne va. Soti è fuori di ragione. Qualsiasi scusa è buona. Non sa quale, ma la troverà. Si porta nel vano di ingresso, indossa il paltò e afferra l’ombrello. Chiude e si precipita per le scale. Esce in strada e gira nel vicolo in direzione del cancello del chiostro che varca senza esitare. Si immobilizza sotto il primo volto. La luce spettrale del portico lascia in ombra l’aiuola con le sue piante. Può aspettare anche in questo corridoio deserto perché avrebbe la buona giustificazione di aver visto prima e di voler salutare l’amica di sua figlia. Quando da una porta nell’infilata del muro pieno di epigrafi e bassorilievi spunta una tonaca lui le va incontro. Doveva essere il frate che aveva accolto Claudia.
«Aspetto una signorina a colloquio con padre Alfonso.»
«Sarà questione di minuti» risponde l’altro guardando l’orologio. «Il padre dovrà prepararsi per la messa.»
Soti ringrazia ed esce. Aspetterà all’angolo di casa, posto non sospetto. Ma intanto vede le macchine parcheggiate per tutta la lunghezza del marciapiede fin dove lui riesce ad allungare lo sguardo. Altre, una dietro l’altra, passano schizzando coloro che dalla propria sono scesi per dirigersi verso il portone della chiesa. Dalla parte del mare il cielo è una parete scura che a tratti si apre con i lampi mostrando le nuvole nere che visitano altri paesi della costa. Piantato tra vicolo e strada deve tenere l’ombrello aperto che può servirgli come schermo per non farsi vedere sotto la luce dei lampioni e nel caso decidesse di fuggire o di inseguire.
D’improvviso da sotto il coperchio plumbeo del cielo scattano rintocchi di campane. Sono come colpi sferrati contro le sbarre della gabbia nella quale è venuto a chiudersi. Allontanarsi non serve perché dappertutto è un flagello di vento e acqua. Lo convince all’immobilità la santa che dalla sua nicchia sulla facciata della chiesa chiama le anime a un incontro in luogo protetto, odoroso di incenso. Soti deve difendersi dalle gocce che rimbalzano sulle pietre chiare.
Sono le sette meno dieci. Vede finalmente Claudia uscire e aprire l’ombrello. Viene nella sua direzione come se l’avesse visto. Non è così. Ha solo evitato pozze d’acqua. Torna a rasentare il muro, svolta sulla facciata della chiesa per entrarvi.
Dietro il suo schermo Soti aspetta di riprendere a respirare normalmente poi è deciso a seguirla. Superato il portale e una delle antiporte del vestibolo sui primi metri è già tra i fedeli che assisteranno in piedi alla messa. Si sposta pian piano educatamente, non ostacolato nei suoi tentativi di esplorare intorno. Se Claudia lo vede, sicuramente penserà a qualche messaggio urgente. Chissà. In lei dubbio, affetto sincero per il padre della sua amica la porteranno ad avvicinarsi a fronte alta e si libererà dal consesso mistico di quella sera d’inverno. Infilerà con lui l’uscita. Se Soti riesce a individuare una capigliatura biondo ramata cercherà di spostarsi in modo da essere visto. Ma la gente è veramente tanta. Lui intanto ascolterà l’omelia di padre Alfonso che nella piega del discorso, nel tono di voce potrebbe tradire emozioni troppo recenti, ancora non calmate.
Cambia idea tornando lentamente indietro. Esce di chiesa e si ferma sulla porta. Pensa che non riuscirebbe a rinchiudersi in casa, né vuol raggiungere il circolo Atena. Sta lì. Non c’è una ragione per non aspettare Claudia. Se stasera è sola può succedere che accetti l’invito a un bar. Come è andata a un incontro col religioso potrà anche dialogare con lui confrontando consigli diversi su qualche problema che l’assilla. E poi c’è sempre la domanda innocente sulla decisione del padre di concludere con le foto indiane e se si prepara il commento con la voce della ragazza. Adesso si è calmato, pensando che incontrerà più semplicemente una giovane forse immalinconita in un giorno di malintesi con un corteggiatore. Soti potrà forse anche scherzare chiedendole di confessare anche a lui le strategie di tormento a danno del suo schiavo d’amore. Adesso poi che non è più frenata dalla presenza costante e dal giudizio severo dell’amica Sofia… Ma ecco che attraverso le antiporte non ben chiuse giunge la voce di Alfonso quando più e quando meno distinta. Non si intende il senso del discorso. Sulla strada passano macchine veloci.
Finalmente si leva il brusio di una preghiera. Un battente si apre.
È sola. Ha abbandonato. Al vederlo lì che l’aspetta è presa da sconcerto, da terrore. Non dice nulla. Lo supera di un passo. Sul limite della porta è incerta se deve aprire l’ombrello.
«Claudia,» le dice Soti quasi alle spalle «mi hai visto prima in chiesa? Mi dispiace se sei uscita prima per me.»
Lo fulmina. «Mi dici perché mi insegui?»
Inseguirla? È via di testa? Allucinata da shock sentimentale lo sta scambiando per un’altra persona? Non riconosce più la sua voce? No, lo ha visto bene e non può definire inseguimento il trovarsi qui per caso.
In Soti il circuito del pensiero salta per troppa tensione. In pochi istanti deve dare più risposte. Ma una sola è vera. Voleva lei. Tace.
«Proprio perché ti ho visto sono uscita» lei aggiunge.
Cioè per fuggire in tempo.
Lui si è tradito a cercarla in un luogo insolito, non accontentandosi più delle normali occasioni di incontro. Claudia sapeva di piacergli senza essersi mai allarmata e, facile a lusinghe, ha ricambiato sempre con oneste manifestazioni di affetto. Divertita davanti al sentimento di un uomo maturo e consapevole di un gioco pericoloso.
«Ero sotto casa a parlare con dei conoscenti, ho visto che entravi in chiesa e pensavo di aspettare per salutarti a messa finita.»
«Perché volevi salutarmi?»
La frase era stata detta con chiarezza. Non inseguirmi. Non cercare nulla in me. Sei impazzito? Cosa direbbe di questa persecuzione mio padre, l’amico tuo? E tua figlia? Ti meriteresti un ceffone dall’uno e dall’altra.
Una follia per lui sperare di sorprenderla in un momento di solitudine, di malinconia vilmente ipotizzando un cedimento che la conducesse ad ammettere una passione ricambiata e con molti sforzi tenuta a freno.
Essere salutata da Soti sulla porta di una chiesa è adesso per lei una situazione oltremodo imbarazzante. Sta cercando di sistemarsi la sciarpa blu di seta sopra il piumino bianco. La sua faccia è cerea, terribile. Ma cosa le sta succedendo? Forse è sotto effetto di farmaci. Avrebbe potuto far finta di nulla e accettare diplomaticamente con un sorriso la motivazione della volontà di un saluto. Potrebbe perdonargli subito questa stupida leggerezza che ha la sua causa nei passati rapporti con una figura familiare. Col tempo si sarebbe guardata dal manifestargli confidenza.
Soti sente mancargli il respiro a trovarsi con una donna improvvisamente estranea, nemica dopo anni di amicizia, di presenza in casa e soprattutto dopo la convinta e brillante interpretazione di una parte teatrale scritta per lei.
«È da un po’ che non ci si vede.»
«Ed è un motivo per cercarmi qui?»
La voce le si strozza in gola. Forse sta avvertendo un danno più grave del fastidio di essere inseguita come preda, cercata in modi contorti. Soti deve affrettarsi ad uscire dalla situazione incresciosa che lui stesso ha creato. Claudia dialoga in segreto col frate e si estasia della sua voce nel rito della messa. Ora teme di essere spiata ed esplode. Altro che psicofarmaci!
«Non ti inseguo. Sparisco se vuoi che non ti incontri in questi luoghi. Non accorrevo per salvarti da cadute mistiche. Mi sono arrabbiato con i vostri padri spirituali, ma non li ho mai derisi. E poi nessun pericolo in chiesa!»
«Pericolo in chiesa?» lei riesce a dire.
Il frate l’uomo pericoloso?
Lei potrebbe prenderlo in giro alla vecchia maniera ma trema di insofferenza. La frase è impastata. Non intromettersi nei suoi rapporti con il padre spirituale. È impiantata sulla soglia come a trattenere le lacrime più che ad attendere spiegazioni. Apre e chiude due volte l’ombrello ma quasi senza la forza di muovere il primo passo e sparire. Un forte rimprovero è già inflitto a Soti proprio in quel soffermarsi gelida. Forse sta cercando il coraggio di dire qualcosa di ben più terribile, di proferire una accusa ancor più grave.
Quest’uomo, padre di un’amica, è uno sciocco molestatore mosso da desideri disonesti non più trattenuti solo a causa di uno scoppio di gelosia avendola vista uscire dal chiostro in ora e giorno insoliti. Lui ha scoperto una amicizia particolare che doveva restare segreta.
Soti è impigliato in complessi fili di pensiero. Cerca di afferrarne i capi che lo riportino su un piano di realtà.
«Ti chiedo scusa. Desideravo salutarti, ma volevo anche ascoltare il frate. Al circolo Atena abbiamo dialogato con grande sincerità. Ero curioso di sentirlo quando si rivolge ai fedeli.»
«Non fingere di non aver capito. Sono arrabbiata con te.»
Capito cosa? Dunque insiste. C’è nell’uso del tempo presente un senso che indica una durata. L’accusa di non capire andrebbe oltre questo spiacevole incontro.
Un fulmine attraversa la mente dell’uomo. Allora è altra la causa della reazione scomposta. Soti ha finto per lungo tempo di non leggere nelle sue provocazioni, nelle sue battute una scusabile debolezza. Adesso si è tradito scioccamente pensando di farla venire allo scoperto e lei terrorizzata alza rabbiose difese.
Fosse così, dovrebbe stringerla nella morsa di un abbraccio. Qui e subito. Folli entrambi. Rapirla prima che la gente esca di chiesa.
Sono occhi di ferocia e di passione i suoi? Di rabbia e d’amore le lacrime? Ma no. È lui il fuori di testa. Padre della sua amica Sofia, distanti stagioni della vita. Deve ridiscendere sulla terra. Altro che portarsela via.
Deve tornare al tono scherzoso abitualmente usato.
«Arrabbiata con me da molto tempo?»
Se lei sorride negando allora è salvo. Quindi niente fuochi sconvenienti ma soltanto deplorevoli incomprensioni. Può essersi comportato male con lei senza rendersene conto. È complice con Sofia per averla trascurata dopo la comparsa di Alberto. Per certi versi è vero. La figlia è presa dai nuovi impegni e i rapporti di amicizia vengono rallentati col rischio di rompersi. Vecchia storia. È da tanto che non viene invitata a casa o fuori. Nessun festeggiamento per il suo trionfo a teatro nel personaggio di Clodia. Non si intravedono repliche.
Bisogna lasciarla dire. Nella rabbia può nascondersi una volontà di ripristinare vecchi affetti. Con la stessa tristezza stizzita può essersi presentata al frate. È in cerca di conforto in un momento di solitudine, di interregno alla sua maniera. Se non una risposta di spiegazione lui si aspetta il gesto che nega, il sorriso che riconcilia.
Non compare.
«Claudia, sei libera di arrabbiarti quanto vuoi, basta che io sappia il perché.»
«In quale lingua posso essere capita? Non devi inseguirmi. Non starmi dietro.»
Tornava con linguaggio crudo sull’accusa. Allora era un suo nascosto dolore. Provava una potente angoscia a sentirsi sorvegliata negli incontri con l’Aloisio, in una relazione che doveva restare segreta. Per il dottore del sacro non era semplice lasciare il convento e cercarsi un lavoro. Né lei aveva i mezzi sufficienti per una convivenza e neppure il coraggio di abbandonare i propri vecchi per sistemarsi altrove. Ci si adatta a incontri clandestini.
Soti, alquanto tranquillizzato che l’ordine era di non starle dietro a spiarla, e guai a rivelare qualcosa a papà Marzio, stava per dirle che avrebbe tenuto per sé ogni segreto che venisse a sapere. Anzi a questo punto delle cose, per giunta e per dispetto, poteva anche dirle che sì, davvero era stato morso dalla gelosia ma il sentimento, una volta raffreddato sotto cieli aperti, era svanito.
Il cuore tuttavia dettava l’incontrario e la testa rimaneva rovente mentre Claudia, continuando a pestare la soglia, si mostrava incerta se aprire l’ombrello e andarsene oppure dirgli apertamente che lui non si sognasse di seguirla ancora. Eppure non potevano separarsi così. Una chiacchierata distesa avrebbe chiarito tutto. Restava confermata la splendida amicizia. E il frate? Ma sì, il solito padre confessore, se vuoi di tipo moderno cui si raccontano delusioni e disincanti ma anche vendette e perfidie. E doveva smetterla una buona volta papà Soti di far le ironie sui padri spirituali.
E un fulmineo dubbio. Se una ragazza così ha ancora bisogno di sostegno da parte di un uomo di religione deve essere un imbecille quel giovane con il quale lei andrebbe a chiudere un interregno. Non merita, l’idiota, la fortuna di tanto splendore tra le sue braccia.
«Claudia, se vuoi proviamo a raggiungere un bar dove si può parlare meno provvisoriamente che sulla porta di una chiesa.»
Lei muove lo sguardo intorno prima di rispondere.
«No. In un bar ci vedono. Salgo su da te.»
Un colpo d’ascia squarciò il petto di Salvatore Pasina.
23
Oltre la mezzanotte. Stette a guardarla dalla finestra mentre si allontanava sotto la pioggia, seguendola col pensiero una volta scomparsa nel buio sul lungomare. Quindi tornò a sedersi sul divano come se l’incontro non si fosse concluso ed altro dovesse ancora essere detto e altro ripetuto. Vi si levò subito nel tremito di abbracciare un’ombra ripercorrendo gli spazi della casa nei quali si erano mossi. Ogni passo era sempre più pesante mentre la memoria tentava di ricostruire ogni parola, ogni sosta, ogni intervallo di silenzio. Non restava che abbandonare a scena ormai chiusa un vuoto che rendeva difficile il espiro. Il ritorno alla normale attività della mente era possibile solo in una fuga all’esterno senza meta.
Fu fuori paese in direzione sud sulla strada di costa. Guidava più lentamente di quanto già consigliassero il bagnato e la serie ravvicinata di curve. Si sarebbe fermato in uno dei soliti slarghi verso la scogliera, con il finestrino dal suo lato sottovento, abbassato ad ascoltare il fragore delle onde e a fissare il nero della notte. Un modo per rinsavire, per vincere la resistenza dei sensi bloccati sull’accaduto. Seguire fili tesi in direzione di un passato più che possibile lontano.
Al bivio verso la sua campagna decise invece di svoltarvi ma per impegnare di proposito un percorso più lungo verso l’entroterra. Da escludere l’apertura del casolare in pieno restauro. Avrebbe sistemato l’auto sotto la tettoia per rimanere nel suo rifugio mobile a dormire. Non c’era un gran freddo con l’aria tempestosa di scirocco. Riconosceva ogni muretto, ogni fila d’alberi. Fosse stata una notte di luna chiara avrebbe guidato a fari spenti. Si teneva su stradine strette purché percorribili senza rischio di graffiare le fiancate contro rovi e sterpaglie. Stava passando per alcuni tratti di campestri che alla festa delle lanterne avevano interessato la camminata notturna. Risentiva la chiara voce di Claudia in mezzo al coro delle amiche, quel tono di provocazione che già si era manifestato insistente nell’avventura indiana. Allungò il braccio come per stringerla a sé. Di ritorno dalla spiaggia gli era accanto su quel sedile a strofinarsi le gambe irritate da piante spinose. Una immagine che da non molti minuti ritornava nuda.
Nel solitario andare aveva l’impressione di poter guarire, che in lui non agisse più quella sorta di febbre delirante.
Fermarsi per interrogare. Ritrovare ricordi che non ferivano. Scongiurare il permanere della malattia della quale scopriva la lunga durata. Si fermò su uno spiazzo erboso che portava all’ingresso di un podere. Non c’erano ostacoli che impedissero di scorgere fari in avvicinamento sì da poter rimettere in moto e allontanarsi in fretta. La pioggia cadeva leggera e discontinua. Col finestrino aperto delle gocce raggiungevano gomito e spalla. Le zone chiare nel manto di nuvole offrivano una luce sufficiente per vedere intorno.
Non potrai più pronunciare il nome di Claudia. Lascialo cadere qui tra i sassi e i ciuffi d’erba. Era tra voi un ridere infinito, una tempesta di vento che invigoriva bloccandosi contro il tuo e il suo muro di difesa. Era l’alternarsi giocoso di dominio e dipendenza. Fino alla tensione insostenibile in una sera di solitudine. Non la vedrai mai più a casa tua e neanche frequentarsi con tua figlia.
L’auto rimandava le scosse del vento come pensieri che si impigliano in correlazioni oscure, non ragionevoli. Tornavano a sovrapporsi ualchwQ
il senso di colpa provato sulla porta della chiesa e lo stato di maggiore follia vissuto dopo. Portò la mano alla chiave per avviare il motore. Accese i fari.
Prima, su in casa tua era quasi sempre Claudia a parlare.
Cambia meta. In uno dei giorni precedenti di brutto tempo ha messo con intenzione nel portaoggetti dell’auto le chiavi consegnategli da Gaia. Andrà a controllare. Sarà curioso di vedere gli interni. Dall’arredamento capirà di più sulla sua proprietaria. Potrà anche decidere di fermarsi a dormire su un divano. Utilizzerà il plaid che ha con sé. Domani pulirà da foglie secche tutto intorno nel giardino. Le manderà delle foto.
Ritorna sulla strada costiera. Supera nella notte deserta una dopo l’altra zone boschive e a macchia giungendo ad un abitato e al bivio che lo porta in salita fino alla villetta. Eccola, esposta in zona panoramica da dove possono vedersi in basso i punti luce dei lampioni sulla curva della litoranea. Decide di lasciare l’auto all’esterno non convinto di restarci per molto. La costruzione ha i suoi angeli custodi: due vecchi ulivi, un gigantesco pino, una palma. Si guarda intorno. Quando inserisce la chiave per l’apertura elettrica il cancello si apre con un allarmante stridio. Niente di che preoccuparsi. Non ci sono vicini che a quest’ora possano sospettare. Attraversa il vialetto con la siepe dietro la quale spuntano rami spogli. Sulla porta infila la seconda chiave.
Il battente si apre come ad una spinta d’aria.
Appare nella luce del vano d’ingresso.
«Dovevo venire di giorno non nell’ora delle ombre.»
«Ti avevo detto quando?»
Rafforza il vento. Si sente il cigolio di una persiana.
Un abbraccio. Siedono in sala sul divano.
«Le tue mani sono calde, Soti. Hai la febbre? Accendo il caminetto. Devi aver preso freddo. Ti preparo una bevanda calda.»
Le troppe domande che Gaia ha fretta di rivolgergli la obbligano a un continuo andare e tornare con un oggetto alla volta. Sul tavolino tazza, biscotti, tovaglioli.
«Allora? Le ragazze? Tua figlia?»
«Sofia vive in una immersione di luce.»
«Tra lei e lo sposo parola e senso non collideranno.»
«Fortunata mia figlia. Lei non conoscerà una vita di urti e schianti.»
«E Claudia?»
«Claudia.»
«Lei sì tra urti e schianti?»
Accanto al camino c’è un secchio con della legna. Soti si offre per l’accensione. Si china anche lei posando un ginocchio sul tappeto. L’elasticità della maglia esalta le curve mentre il levarsi delle fiamme va schiarendo tutta la figura.
Lui ricorda di avere nel bagagliaio dell’auto delle pigne raccolte dai suoi alberi.
«Gaia.»
«Sì.»
«Ho delle pigne in macchina.»
«Un dono che stavi dimenticando.»
Lui esce e si ripresenta con la cesta.
«Oh ma sono tante!»
«Il profumo invaderà tutta la casa.»
«Passeremo la notte solo ad aprirle, Soti?»
«Allora solo tre. Le restanti aspetteranno il tuo ritorno.»
«Come vuoi, tre.»
«A ricordare la cerimonia del fuoco al campo tendato in riva al Gange.»
«Le tue tre donne intorno al fuoco?» È pensosa, avvolta nei bagliori rossastri. «Non manca il sole del primo mattino?»
«Sei luna e sole.»
Lei riprende l’inquieta giostra. Apre cassetti ed ante. Si piega o si leva sulla punta dei piedi. Si accosta all’ospite ritornato ad accomodarsi sul divano ma sta provvisoria sul bordo. Solo il tempo per ricevere una fuggevole carezza sulle ginocchia. La maglia si ritrae. Lei la blocca, quindi si riallontana a controllare la chiusura della persiana che il vento sembra voglia aprire. Va alla sorveglianza delle pigne adoperandosi con la paletta a tenerle alla giusta distanza dalle fiamme.
«Raccontami allora di Claudia. Mi pareva che io scatenassi la sua gelosia. Fa la carina con te quando rimanete soli senza tua figlia intorno? Mi si rivolgeva solo per osservare qualcosa di ridicolo in te.»
«Ma tu sai quanti uomini la amano?»
«Dimmi di quelli che soltanto la desiderano. Di questi mi parli prima.»
«Chiunque, giovane o vecchio che la incontri per strada.»
«Vai a quelli che la amano allora.»
«È arrabbiata con me per la presentazione delle foto in parrocchia. Adolescenti irrequieti e quattro vecchi ad assistere in parrocchia. Un venti minuti in tutto con breve introduzione del frate sulla tradizione del Kumbh Mela. Poi mezz’ora di video di missionari. Ho ragione di pensare che quegli anziani e quelle anziane non abbiano capito nulla ed anzi si siano confermati in un geloso orgoglio per le loro tradizioni religiose occidentali.»
«Delle tue tre donne chi compariva?»
«Solo tu con la macchina fotografica a fissare il variopinto paesaggio. Quindi scatti frontali come in uno specchio.»
«Vale a dire verso di te.»
«Verso di me vale a dire.»
«Contrariamente agli ingenui spettatori tu hai visto nella composizione voluta dal frate una volontà di contenderti una dea del panteon indiano.»
«Penso sia così.»
«Motivo per Claudia di arrabbiarsi con te. Il lasciarla escludere dal numero delle divinità è imperdonabile.»
«Combino disastri maggiori. L’ho sorpresa recarsi in convento e poi a messa dal frate.»
«Ahi! Ad ardere nel fuoco dell’inferno tu l’hai sorpresa. Furiosa con te.»
«Sapeva che ho sempre sospettato delle intenzioni del dottore teologo su di lei come su mia figlia. Mi ha confessato che da tempo si consiglia sull’intenzione di lasciare il paese per un lavoro ed una compagnia teatrale altrove.»
«L’avrà ben scongiurata, l’uomo!»
«Avrà ben tentato più volte. Ha ragione ad infuriarsi con me perché a suggello di tal situazione c’è il suo personaggio in commedia. Adesso tutti la vedrebbero in quella maschera che le ho dato. Incosciente, leggera. La bella facile preda.»
«Io dovrei crederti?» Si riavvicina al camino. Con la paletta rigira le pigne. «Allora hai davvero il delirio da febbre. Non le importa che gli uomini la ricordino nella maschera se poi li affascinerà come persona. Risolva, se c’è, il conflitto tra il personaggio e la sua interprete. È stata brava come attrice. Tu l’hai voluta aperta e dolce in confronto alla sorella rabbiosa e sarcastica. Mi hai detto che eri felicemente sorpreso del suo porsi in modo convincente oltre il tuo testo. Padre Alfonso le avrà giustamente consigliato di seguire la sua inclinazione e abbandonare i decrepiti spiriti della sua terra. Quindi non ti credo. Se dici che è arrabbiata con te è soltanto a volere irridere ad una tua non più segreta passione.»
Il profumo di resina si sta diffondendo per la casa.
Gaia si scosta dalla fonte ormai alta di calore. Il viso è accaldato. Sono comparse leggere rughe sulla fronte.
«Gaia.»
«Sì.»
«Dov’è finita la tua salwaar kameez azzurra?»
«Oh che domanda. Mi vuoi vedere con quella? La conservo qui con la collana dei semi magici per qualche sera estiva di festa. Vado a prenderla ma se mi cambio sono poi ridicola a tremare di gelo.»
«Eri bellissima.»
«La indossavo la sera che in albergo il gruppo jazz suonava I surrender, dear di Harry James. Ricordi?»
«Quando siamo finiti in camera mia.»
«Ero alquanto bevuta e mi hai fatto sbagliare camera.»
«Ti fingevi euforica per incoraggiarmi ad essere audace. Fino a quando non ti ho baciato in ascensore.»
«Una tenerezza risolutiva.»
«Hai continuato nella finzione anche quando ho cominciato a sfilarti la bella veste. Non volevo procurare strappi o danni alle cuciture.»
«Veramente eri tu a non saper fare.»
«Stesa sul letto e a sfuggirmi di qua e di là. Un dispetto calcolato.»
«Certo che sì. Vuoi che cedessi così facilmente?»
«Io provavo a sfilarla. Ti rigiravi ridendo da pazza.»
«Per forza ridevo. All’inizio volevo sfidare la tua impazienza, il tuo precipitare le cose ma dopo per aiutarti. Tu però mi ingarbugliavi la camicia intorno alla testa e alle braccia. Mi hai costretta a liberarmi da sola quando con un colpo di genio hai lasciato a mezzo l’impresa superiore cercando di liberarmi dei meno complicati pantaloni.»
«Intanto la camicia a nodi e ricami non è stata danneggiata.»
«Oh i nodi e i ricami! Più attenzione all’involucro che al contenuto. Ma senti. Tu da bambino eri più interessato alle caramelle o alla carta? Mangiavi anche quella?»
«Mettimi alla prova adesso.»
«Cercherò di trovare una caramella. E indosserò l’abito magico. Ma quando sarà calda tutta la casa.»
Gaia punta verso la cucina. I piedi vanno avanti ma si volge a guardarlo finché non supera la porta.
Uno scoppiettio con crollo di ciocchi ardenti e alte scintille la obbliga a riafferrare la paletta.
Soti accorre. «Lascia fare a me. In questo modo avvampi. Come potrei allora abbracciarti?»
«Hai mani non resistenti alle alte temperature?»
Riprende a far la spola per le stanze occupata nella preparazione del semplice quanto ormai misterioso ristoro. Ogni movimento nel prendere o abbandonare un oggetto non pare dettato da uno scopo se non di giocare alle distanze con l’ospite della notte, di allungare il tempo tra domanda e risposta, nella giostra di pensieri.
Fuori soffia forte il vento.
«Gaia.»
«Sì?»
«Smetti di danzarmi intorno.»
«Perché?»
(fine)