di Salvatore Carachino
(continuazione)
21
C’era da aspettarsi l’intenzione della compagnia di festeggiare in casa di qualcuno facendo anche mattina. Sarebbero fioriti i commenti. Ripetizione di battute del testo, forse di intere scene con variazioni personali a far montare l’allegria. Scontata la presenza dell’autore.
«Andiamo via, Gaia, cerchiamo un bar ancora aperto. Prima che io debba rifiutare inviti. Scappiamo.»
Quasi che la fuga equivalesse ad un annuncio.
«Abbandoni?»
«Ho te.»
«In passeggiata.»
Ormai isolati dagli ultimi gruppi in uscita dal teatro ascoltavano solo il rumore dei loro passi sul marciapiede ombreggiato dagli alti pini. La sera di ottobre tiepida e senza vento li immergeva in una leggera umidità odorosa. Dalle strade laterali ricompariva la luna, vincente sul succedersi dei lampioni. Avanzavano come se lo spazio intorno fosse ristretto, limitato, nel desiderio di raggiungere il grande, il vasto e senza confine.
«Dove vuoi portarmi?»
«In albergo a passare la notte.»
«Hai anche lasciato detto quale a tua figlia?»
«Certo. Così sentiremo cantare sotto la nostra finestra.»