di Antonio Errico
In un’esistenza impastata di scrittura, prima o poi viene sempre il tempo che le parole rassomigliano alle rughe, prendono la stessa natura dei dolori, hanno il sorriso delle gioie vissute, diventano come i colori delle stagioni, come i sapori che hanno i ricordi, si fanno esperienza bellezza passione, assorbono il ritmo di una preghiera silenziosa, di un canto sommesso, di una speranza segreta. Così è il libro di Roberto Vecchioni che esce per Einaudi in questi giorni con il titolo “Tra il silenzio e il tuono”. Centosettantuno pagine di vita vera, concreta. Sua. Uno sprofondamento della memoria. Un transito dentro i giorni che vengono e che vanno. Uno sguardo fiondato all’orizzonte. Tutto quello che accade intorno, che accade dentro, si strige nelle frasi, nelle parole. Non vorrei dire di che cosa parla Vecchioni in questo libro. Forse sarebbe semplice. (Forse). Forse la struttura non è complessa. (Forse). Ma ci sono libri che non sopportano sinossi. Questo libro non la sopporterebbe. Si deve leggere. Perché nel libro c’è tutto quell’uomo che ha valicato gli ottanta, che ha visto acqua tumultuosa passare sotto i ponti, ma che guarda ancora il mondo con lo stupore di un’infanzia, che guarda negli occhi il tempo con la razionalità fantasiosa del poeta, che si entusiasma per la bellezza delle creature, che si indigna per la bruttezza dell’ignavia, che non nasconde sotto il mantello nessun amore. Nel libro c’è l’intellettuale lucidissimo e il sognatore ad occhi aperti e chiusi. Ci sono i suoi dolori senza rimedio e i suoi fantasmi buoni e i suoi sbalordimenti e le illusioni, le delusioni. C’è Roberto e c’è Vecchioni: uno dei migliori cantautori d’Europa, che da quarant’anni sale e scende dai palchi ma che ogni volta ha paura, anche se sa che quelle generazioni che lo stanno a sentire gli vogliono bene. Forse è proprio per questo che ha paura.