Sulle possibili origini greche del topònimo Galatina (parte seconda)

L’Italia vittoriosa nelle vesti di Atena (particolare del Monumento ai caduti di Torquato Tamagnini, Galatina, 1927).

Ecco. Due simboli potenti – Athena, per noi latini Minerva, e la Civetta – entrambi greci, che caratterizzano la città di Galatina, per cui sorge spontanea l’intuizione che essa possa avere avuto la sua origine etimologica nella lingua greca. A supportare tale ipotesi, insiste l’immagine dell’attributo più importante della divinità, anticamente giustapposto dai galatinesi sullo stemma civico. Oggi lo stemma civico della Città vede la Civetta sovrapposta, ma più spesso sottoposta, alle Chiavi di San Pietro decussate. Si sa, che tra gli ottomila e passa Comuni italiani, solo la città di Galatina ha il privilegio di avere le Chiavi di San Pietro decussate (incrociate o addossate secondo la raffigurazione della Croce di Sant’Andrea: una d’oro l’altra d’argento). E sappiamo pure che solo la Città del Vaticano, a partire dal XIV secolo, come simboli della Chiesa cattolica, ha avuto il privilegio di raffigurare emblematicamente le Chiavi di San Pietro decussate, il cui significato indica l’impegno che Gesù Cristo lasciò all’apostolo Pietro di custodire le chiavi del Regno dei cieli, quindi della Cristianità.

È vero pure che in Italia e nel resto d’Europa ci sono altri enti e associazioni varie (per la verità non molte) che hanno come simbolo sui propri stendarti la Civetta, ma nessuno di essi ce l’ha in modo così chiaro come Galatina. In Europa esiste la città di Digione (nella Borgogna), la cui Chiesa di Notre-Dame, del XIII sec. ha, unica nella sua architettura gotico-francese, sulla parete esterna della Cappella, in un contrafforte, una civetta scolpita, considerata dai suoi abitanti il vero simbolo cittadino. Secondo un’antica credenza, chi l’accarezza con la mano sinistra, cioè la parte dove c’è il cuore, esprimendo un desiderio, questo verrà esaudito. Però si tratta solo di credenza popolare.

A proposito di credenze popolari e di superstizioni, Antonio Antonaci, nel suo più importante libro sulla città, Galatina. Storia & Arte (Panìco, Galatina, 1999).scrive che:

«la pluralità di toponimi attribuiti a Galatina ha dato origine a non poche ingenue leggende ed errori storici, ai quali hanno dato corpo fino ad oggi contaminazioni di matrice religiosa e di credenze popolari, alimentate da un immaginario esuberante, che ha schiacciato la storia. Al lume, invece, della storia, il quesito sull’araldica comunale rientra nel suo alveo naturale, liberato da ogni corpo estraneo ed ingombrante./ La prima affermazione certa che si possa fare è che Galatina non ebbe un suo stemma, almeno fino alla metà del sec. XVI. Nessun documento scritto lo fa sapere. Neppure quella grande Biblia pauperum che è costituita dagli affreschi di S. Caterina d’Alessandria, dove confluiscono stemmi d’ogni specie e formato, dà il minimo cenno d’uno stemma cittadino. Le chiavi decussate in un affresco della parete destra della navata destra (vicino all’altare di S. Francesco) non indicano lo stemma civico, bensì quello degli Orsini del Balzo, Gonfalonieri di Santa Romana Chiesa’» (v. a p. 28).

A dare l’indicazione ad affrescare le chiavi decussate nella Chiesa di S. Caterina d’Alessandria fu Urbano VI, una volta eletto papa. Quelle chiavi si trovavano già raffigurate sul suo “scudo” personale. Si ricorda che egli era prigioniero a Nocera, e da lì fu liberato dai Galatinesi guidati da Raimondello Orsini del Balzo [v. Silvio Arcudi: «Clavium insigna oppido Divi Petri Galatinorum concessa sunt a Pontifice Urbano VI, ob Britannorum direptionem, quam intulit ibi» (Le insegne delle chiavi furono concesse a San Pietro dei Galatini dal Pontefice Urbano VI, per la vittoria riportata sui Britanni).

Ecco perché nella navata destra, nei pressi dell’altare di S. Francesco, c’è il grande affresco con un maestoso S. Bartolomeo, e accanto a lui quelle insegne.

Antonio Antonaci fa poi un’attenta ricerca sulla raffigurazione della Civetta sui differenti monumenti della città. Ne individua 18 (v. pp. 30-33): Eccone alcuni:

Il Sedile di Galatina.

            «Il più antico stemma è quello che si trova scolpito sul frontespizio del Sedile (o Palazzo di Giustizia e amministrativo) […] di fronte alla torre dell’Orologio […] Esso è in alto, al centro, ed è indicato dalle classiche chiavi decussate, con i congegni in alto rivolti all’esterno e gli anelli legati da un cordone. Risale agli inizi del Quattrocento e si richiama all’arme personale di Raimondello Orsini del Balzo” (p. 30). Sotto le chiavi decussate, vedo un vuoto con la pietra scorticata, segno che lì c’era la civetta. Divelta in quale epoca, e da chi, e perché? Sulle chiavi decussate come simboli dell’arme di Raimondello, ho già detto. Esse non sono il simbolo dell’arme personale di quel personaggio. […] Sul frontespizio della chiesa madre, lungo tutta la prima trabeazione, ripetuta per ben otto volte, s’impone come una sequenza filmica tridimenzionale l’arme civica (chiavi e corona), visibile da qualsiasi punto ci si ponga sulla piazza maggiore e sulle vie che vi confluiscono. È una composizione che rientra nel più bel contesto scultoreo del Barocco leccese [Quindi a cavallo del Cinque-Seicento]./ In questo stesso contesto si nota, al centro della grande finestra collocata sul frontespizio della stessa chiesa madre, lo stemma civico nel quale si vede, per la prima volta, insieme con le chiavi e la corona, anche la civetta, nonché una corona più grande, che sormonta tutto lo scudo. È della seconda metà del Seicento e, più precisamente, del periodo in cui operava a Galatina l’arcivescovo di Otranto, Gabriele Azardo de Santander […]/ Del 1654 è lo stemma civico che si trova nella chiesa di S. Biagio (antica abazia olivetana), nel primo arco laterale a destra, vicino all’attuale vestibolo. È scolpito (corona e chiavi) sulla tomba dell’abate Gaspare Frattasi, olivetano (1600-1654). Non è raffigurata la civetta. Tuttavia, in quella stupenda chiesa, la civetta è presente, sia da sola che duplicata, una a destra e l’altra a sinistra, nei pedritti del maestoso arco della zona presbiterale, un raffinato ricamo in pietra leccese della fine del Cinquecento. […]/ Corona, chiavi non legate e civetta coronata si notano nello stemma scolpito nel fastigio della chiesa madre. L’emblema scolpito risale alla fine del Settecento».

Interessante questo ultimo stemma, perché in esso la Civetta non appare sotto le chiavi decussate, ma al di sopra. Credo che Antonaci si riferisca a questo stemma quando ne elenca un altro, esistente nella chiesa madre, «sul fastigio ligneo dell’organo, collocato nell’antico coro della collegiata, lo stemma di Galatina comincia a cambiare fisionomia: i congegni delle chiavi, anziché all’esterno, sono rivolti all’interno». La stessa posizione delle chiavi si presentano nello stemma (sempre con corona e civetta) in ferro battuto collocato sulle inferriate delle finestre che s’affacciano su via Vittorio Emanuele II nella sala ‘Don Bosco’, costruita su quello che fu il seicentesco cappellone del Sacramento, voluto dall’arcivescovo Gabriele Adarzo de Santander. Presumo che l’inferriata risalga agli anni Cinquanta del nostro secolo.

Quest’ultimo stemma elencato è molto significativo, perché in esso la Civetta si trova al di sopra delle chiavi decussate i cui congegni, invece che in alto, si trovano all’ingiù rivolti all’interno. È questo motivo di dispiacere per l’Antonaci che, in un passo successivo all’elenco delle raffigurazioni dello stemma, si lamenta del perché la Civitas non ritorna all’antico stemma con le chiavi decussate sopra e civetta coronata sotto. Cosa che poi è stata esaudita, soprattutto dopo il 20 luglio 1793 quando Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, con un suo regio decreto elevò Galatina al rango appunto di Civitas. E tuttavia c’è da registrate un fatto, e cioè che proprio mons. Antonaci, che si lamentava di come era stato scolpito in ferro battuto lo stemma di Galatina sull’inferriata di ‘Don Bosco’, proprio lui, poi, in quarta di copertina del suo libro, fece pubblicare una ceramica di Vittoria Gennaro raffigurante lo stemma della città con chiavi decussate (congegni in giù e rivolti all’interno) sormontate dalla civetta coronata. Lo stemma che si trova sul fastigio ligneo della chiesa madre.

Qualche passo dopo, Antonaci scrive:

            «In sintesi, si può dire che la presenza delle chiavi, come anche quella della civetta quale simbolo della dea Athena o Minerva, risale ai primi del Cinquecento. Le prime e la seconda appaiono quasi timidamente in alcuni edifici ‘pubblici’, come il Sedile o Tocco, detto anche Seggio, di fronte all’attuale torre dell’Orologio […] che era la sede dell’Università. Nella casa accanto abitava il ‘magistrato’» (p. 34).

C’è da aggiungere, al completo elenco delle raffigurazioni degli elementi costitutivi lo stemma di Galatina, un’altra immagine stupefacente e straordinaria della Civetta. Antonaci non poteva elencarla semplicemente perché essa è stata collocata dopo la sua scomparsa. Si trova nella piazza della fontana. È di marmo (dono alla città della ditta Marra). Questo monumento è emblematicamente simbolico. Per poterne saggiare tutta la sua potenza è sufficiente mettersi alle spalle della stessa e guardare davanti per accorgersi di uno scenario sorprendente: la maestosa e bella facciata della Cattedrale, una delle più significative opere del barocco salentino.

Oggi lo stemma di Galatina ha questa legenda:

            «Di color azzurro, caricato da due chiavi pontificie di color oro, poste in croce di Sant’Andrea, con l’ingegno rivolto verso l’alto e cimate in capo da una corona, di tre punte dallo stesso, e da una civetta (simbolo di Athena) posta in maestà. Al capo del blasone segni esterni di Città, sui lati ramoscelli di ulivo e alloro./ La civetta è un emblema che risale all’epoca della fondazione della città e chiaramente indica essere stata una colonia greca dedicata a Minerva [ma Athena]./ Le Chiavi del Vicario di Cristo sono state concesse dal pontefice Urbano VI».

Questa legenda, più completa e meglio articolata, è stata ripresa nella Storia di Galatina del Montinari, che scrive:

«Lo stemma di Galatina comprende tre distinte parti: in primo luogo la civetta, emblema che risale all’epoca della fondazione di questa cittadina e che chiaramente indica essere stata una colonia greca dedicata a Minerva [Athena]./ Infatti la dea greca della sapienza ebbe culto speciale nella nostra Japigia, come lo attestano i ruderi dei suoi antichi templi, quali quello presso Otranto [il Colle della Minerva (Athena) e sul promontorio di Leuca./ E come greco era l’emblema dello stemma, così pure greci furono i costumi, le tradizioni, i riti sacri e l’idioma dei primi abitanti, che in maniera e fasi differenti si praticarono sino al secolo XVI./ Sovrapposte alla civetta in detto stemma vi sono le Chiavi del Vicario di Cristo con le parole: Adversus hanc petram portae inferi non praevalebunt (Gli inferi [le forze del male] non prevarranno su questa pietra [città]), concesse per insegna dal pontefice Urbano VI. La corona poi, che trovasi riportata nello stemma, è a ricordo dei fatti del medio evo, per essere stata Galatina più volte demaniale o regia e più specialmente per avere meglio che le altre città resistito alle incursioni dei nemici di Alfonso II nel 1484. Per cui il Sovrano concesse il privilegio di ornare detto stemma con la corona “ut praeter privilegia plurima vobis concessa, Divi Petri claves suique capitis corona pro vestris publicis insigniis esset (affinché, oltre ai numerosi privilegi a voi concessi, le chiavi del Divino Pietro e la corona della sua testa siano per le vostre pubbliche insegne)./ Sicché si potrebbe affermare che lo stemma di Galatina riporta in sintesi la storia della città: esser essa cioè di origine greca (n. m.), probabilmente ateniese, e dedicata a Minerva [Athena], perché la civetta è appunto l’emblema di tale dea protettrice di Atene; esser stata scelta dai pontefici Marziano III e Urbano VI quale centro di affermazione del rito latino e della chiesa di Roma in queste contrade prima, nell’Oriente dopo: così si spiegano le Chiavi del Vicario di Cristo al di sopra della civetta; infine la corona, quale riconoscimento delle benemerenze acquistate da questa città, resistendo alle incursioni dei nemici del popolo sovrano» (v. Op. cit., pp. 111-112).

Anche in questo caso concordo pienamente con quanto scritto dal Montinari, solo che, quando egli scrive Minerva, io (come già scritto precedentemente), al nome latino della dea, sostituisco quello greco, cioè Athena (Atina letto e pronunciato dai Greci e dai Galatinesi).

Ancora su questa legenda, Antonio Antonaci, che non concorda col Montinari, scrive:

«Ci sembra impossibile stabilire con esattezza l’origine dell’emblema della civetta per Galatina. Il Montinari si è attenuto ad una costante tradizione storiografica locale, ponendo in stretto rapporto il simbolo di Minerva col toponimo della città. Ma niente di documentato ci autorizza ad illazioni forzate. Più sicura è, invece, l’origine delle chiavi decussate, con la relativa legenda (risalente a Urbano VI, e della “corona”, che Ferdinando IV di Borbone, con decreto del 20 luglio 1793, concesse alla “terra” di S. Pietro in Galatina, elevandola al grado di “città” e conferendole i privilegi di “baronia” (v. A. Antonoaci, Il santuario della Luce ecc., Op. cit., nota 13 di p. 35).

Interessante è pure la nota 14 dello stesso Antonaci, che scrive:

            È «probabile che uno stemma gentilizio particolare, in epoca feudale, sia passato alla città, una volta costituito il “Comune”. Sicché Urbano VI (Bartolomeo Prignano: 1378-1389) non fece che confermare una situazione già esistente. È certo, in ogni modo, che da quell’epoca (cioè dalla fine del ‘300) le “somme chiavi” costituiscono uno stemma del tutto particolare per una “terra” che era non soltanto al di fuori, ma ben lontana dallo Stato pontificio. La legenda, che è una parafrasi del noto brano evangelico di S. Matteo, cap. 16, non figura più nello stemma attuale, mentre lo era ancora al tempo di Silvio Arcudi e, più vicino, a noi, del Papadia, che lo riporta a p. 48 [probabilmente mons. Antonaci deve essere incorso in un refuso, perché alla p. citata, sia della copia anastatica del libro del 1792, sia in quella curata per Congedo Editore da Giancarlo Vallone del 1984, non c’è alcun riferimento allo stemma (v. B. Papadia, Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia, Napoli 1792, e Galatina 1984)».

Ritornando all’origine etimologica di Galatina, il più accreditato autore dei tempi antichi è Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto anche Plinio il Vecchio (Como, 23 – Stabiae, 25 agosto 79 il quale, nella sua Naturalis Historiae, scrive:

«Le città dell’interno, a partire da Taranto, sono Uria [Oria], denominata Uria della Messapia a causa dell’omonima città Apula, Aletium [Alezio]; sulla costa vi sono invece Senum e Gallipoli, l’attuale Anxa, che dista 75 miglia da Taranto. Proseguendo per altre 33 miglia si arriva al promontorio che chiamano Acra Iapygia [Leuca], dove l’Italia si protende più lontano nel mare. Partendo da questo, si raggiungono la città di Basta [Vaste] e quella di Idrunte [Otranto], alla distanza di 19 miglia [dal Capo Iapigio], al confine tra il Mare Ionio e l’Adriatico, dove più breve è la traversata verso la Grecia, non essendo maggiore di 50 miglia l’ampiezza del canale che la separa dall’antistante città di Apollonia. Pirro, re dell’Epiro, per primo progettò di gettare dei ponti che permettessero di superare questo tratto di mare continuando ad andare a piedi; e, dopo di lui, meditò lo stesso progetto M[arco] Varrone, quando era a capo della flotta di Pompeo nella guerra contro i pirati; ma entrambi ne vennero distolti da altre cure. Da Idrunte [Otranto] si raggiunge il sito abbandonato di Soleto, quindi Fratuentium, il porto dei Tarentini, e la stazione di Miltopes, Lupia [Lecce], Valesio, Ceglie e, a 50 miglia da Idrunte, Brindisi, città tra le più famose d’Italia, per il suo porto e per la traversata alla volta della Grecia, che da lì è più sicura, anche se più lunga, raggiungendo la città di Durazzo dopo un tragitto di 225 miglia» (per la traduzione cfr. I Messapi e la Messapia nelle fonti letterarie greche e latine, a cura di Mario Lombardo, Congedo editore, Galatina 1992, pp. 126-128).

Dal passo di Plinio sappiamo che il luogo da lui citato e più vicino all’odierna città di Galatina è Soleto, al suo tempo abbandonato, ma di sicura origine messapica, cioè precedente alla fondazione di Galatina, il cui nome, come abbiamo visto, è chiaramente di origine greca. Aggiungiamo infine un riferimento, recentemente scoperto: la Mappa di Soleto, ritenuta non a torto una tra le più antiche mappe geografiche del pianeta. È stato l’archeologo belga Thierry van Compernolle che, nel corso di scavi archeologici, l’ha scoperta all’interno di un grande edificio messapico il 21 agosto 2003 a Soleto. Si tratta di un ostrakon, sul quale è incisa la linea costiera della penisola salentina insieme a due toponimi greci (Taranto, scritto sulla mappa ΤAPAΣ (in latino Taras); e Gallipoli (Graxa), scritto sulla mappa ΓΡΑΧΑ, corrispondente alle lettere dell’alfabeto greco arcaico di tipo rosso in uso a Taranto a quell’epoca); ed undici toponimi indigeni scritti anch’essi in messapico e che sono Hydrus-Otranto (sulla mappa ΗΥΔΡ); Balé..tion-Alezio (sulla mappa ΒΑΛ); Ozan-Ugento (sulla mappa ΟζΑΝ); Nare..tòn-Nardò (sulla mappa ΝΑΡ); Sol..lytos-Soleto (sulla mappa ΣΟΛ); Mios-Muro Leccese (sulla mappa ΜΙΟΣ); Sty..bar-Cavalino (sulla mappa ΣΤΥ); Lios-Vereto/Leuca (sulla mappa ΛΙΟΣ); Lik..tos-Castro (sulla mappa ΛΙΚ); Basta-Vaste (sulla mappa ΒΑΣ); Thuria-Roca Vecchia (sulla mappa ΥΡΙΑ).

Da qui, ancora una volta, traiamo che Soleto, indicato con le tre lettere greche (Sol) esisteva ed era città tra la dodecapolis messapica, sicuramente fondata intorno, se non prima, del VI-V sec. a. C.

Quindi per comprendere le origini di Galatina, necessariamente noi dobbiamo avere come punto di riferimento Soleto, perché questa cittadina è una delle città della dodecapoli messapica sin dal VI-V secolo a. C. Ma si è appurato anche l’esistenza di un nucleo abitativo di Soleto sin dal paleolitico e neolitico, grazie al ritrovamento da parte degli archeologi di manufatti sia dell’uno che del secondo periodo; per cui indubitabilmente già c’era al tempo in cui veniva fondata Galatina. Il centro abitato vero e proprio risale, però, al periodo Messapico. Grande città con una cinta muraria di 3.300 metri di perimetro, Soleto, situata esattamente nel mezzo del Salento, su un altopiano di circa 90 metri sul livello del mare. Alcune campagne di scavi condotte negli ultimi decenni nelle vicinanze dell’attuale Convento dei Francescani hanno portato alla luce l’antica cinta muraria di età messapica visibile ancora nel Cinquecento e citata dall’erudito Galateo nel De Situ Japigiae: «I ruderi delle mura in alcuni tratti mostrano quanto fosse grande questa città». Molto prima di lui, Plinio il Vecchio, nel libro III della Naturalis Historia, narra di aver trovato, durante il suo viaggio nel Salento nel I secolo d. C., «Soletum desertum». Tracciato ipotizzato per la doppia cinta di mura messapiche di Soleto. La base delle vecchie mura, risalenti all’VIII-VII secolo a. C., è costituita da un doppio filare di blocchi squadrati di carparo delle dimensioni di m 1,60 x 0,70, quelli esterni disposti di traverso e quelli interni per lungo. Tra le due fila vi è un possente muro a secco dello spessore di circa 3 metri per un totale di oltre 6 metri. Con la siccità dell’anno 2000 una larga spaccatura nel terreno ha fatto intravedere una seconda cinta muraria verso settentrione tra le località “Mega” e Via delle Miniere risalente al IV-III secolo a. C.. Infine nel 2011 nel fondo Paparusso il rinvenimento di un varco nella seconda cinta muraria corrispondente alla porta nord e di una strada interna parallela alle mura stesse. È possibile ipotizzare che molto probabilmente la cinta muraria messapica di Soleto si estendesse fino ad oltre l’attuale città di Galatina.

Infine, a proposito della Civetta, in Atene hanno coniato diverse monete portando come simbolo la civetta in un sigillo utilizzato “negativo” per coniare monete di metallo. La civetta e stata utilizzata ampiamente nell’Atene antica; mentre la dea Atena era il simbolo e la protettrice della città. Atena aveva due simboli principali: La Civetta e l’ Olivo (albero).

Atene antica aveva la civetta su una moneta che portava la testa della dea Atena su un lato e la civetta sull’altro lato. Tale moneta è stata coniata nel VI secolo a. C. e aveva un valore uguale a 4 dracme. Si chiamava Tetradrahmon (quattro dracme).

Oggi l’immagine della civetta è stata messa sulla moneta di un euro greco come, ad esempio, sulla moneta di 1 euro italiano è stato messo il famoso disegno dell’uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci.

Bibliografia essenziale

La memoria si fa immagine. Storia e Restauro della basilica orsiniana di Santa Caterina a Galatina (a cura di Fernando Russo), Marsilio editori, Venezia 2005.

– Adiuto Putignani (O. F. M.), Il tempio di S. Caterina in Galatina, Galatina 1968.

Dal Giglio all’Orso. I Principi d’Angiò e Orsini del Balzo nel Salento (a cura di Antonio Cassiano e Benedetto Vetere), Congedo editore, Galatina, 2006).

[L’intero articolo, di cui qui si pubblica la seconda parte, è apparso in tre puntate ne “Il Galatino”, nn. 2-3-4 del 26 gennaio, 9 e 23 febbraio 2024].

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