A vent’anni dalla morte
di Gigi Montonato

Il 7 marzo di venti anni fa moriva il poeta dialettale magliese Nicola G. De Donno (1920-2004), un protagonista delle lettere salentine del ‘900 e il più grande fustigatore di costumi politici che il Salento abbia mai avuto. Faceva parte di quella costellazione che illuminava Casa Comi a Lucugnano nel dopoguerra, intorno alla rivista “L’Albero”, insieme con Mario Marti, Oreste Macrì, Maria Corti, Luigi Corvaglia, Michele Pierri, Donato Valli. Stava per compiere 84 anni, gli mancavano due settimane, era nato il 21 marzo. Lui, che riteneva di essere stato derubato di un po’ della vita, avrebbe sicuramente ironizzato su quest’ultima piccola sottrazione.
De Donno non era solo poeta, era anche storico, critico e filosofo, uno che veniva dalla Normale di Pisa. Nella sua poesia, che tratti il senso della vita o che della vita descriva le sue rappresentazioni, è riversata tutta la sua ricca cultura classica insieme alla sua altrettanto ricca cultura popolare. La sua produzione in versi lo ha fatto uscire dal Salento per farlo entrare tra le voci dialettali più significative del variegatissimo panorama nazionale.
Egli fu anche generoso collaboratore di giornali e riviste pubblicati in provincia lungo gran parte del ‘900 ed oltre, con poesie dialettali, quasi sempre sonetti. Parte di questa produzione, per scelta editoriale, è rimasta fuori dai due volumi, Tutte le poesie, curati da Simone Giorgino nel 2016 e nel 2017, compresa una serie di poesiole di carattere esopiano e di tono epigrammatico, pubblicata su «Brogliaccio Salentino», di cui fu collaboratore per un decennio, dal 1992 al 2002.
Nicola G. De Donno è stato preside del Liceo-Ginnasio Francesca Capece che ho frequentato dal 1978 al 1983 – la sua lungimiranza di insegnante e di dirigente ne aveva fatto una scuola ricca di sperimentazioni e di proposte; ricordo ancora certe sue illuminanti lezioni di filosofia (da preside non perdeva l’occasione, se gli si offriva, di “supplire” l’insegnante assente facendo lezione: ed erano orizzonti che si aprivano per gli studenti che lo ascoltavano).
Grazie per questo ricordo, cui mi permetto di aggiungere anche il mio personale, oltre che del Professor De Donno, anche del Professor Claudio Micolano, docente cui devo tantissimo. Quei cinque anni al Capece continuano a essere per me luminosissimi.