di Gianluca Virgilio
Scrivo sull’onda dell’emozione per la scomparsa di Mario Marti. E’ il pomeriggio del 4 febbraio 2015 e Marti è morto da poche ore, la notte scorsa, nella sua casa di Via Ritucci, a Lecce. Si è spento senza dolore, per pura purissima consumazione fisica dovuta al passare del tempo. Avrebbe compiuto 101 anni nel prossimo maggio. Il secolo lungo per me si chiude oggi, con la morte di Mario Marti, maestro e amico di almeno tre generazioni di studenti e di studiosi di letteratura italiana.
Dalla sua casa leccese siamo passati in tanti in questi ultimi anni, sempre accolti dal volto sereno e sorridente della Signora Franca, per portargli un libro in dono, per riceverlo dalle sua mani, per un consiglio, per fargli gli auguri in occasione di un compleanno o semplicemente per salutarlo. L’ultima volta che sono andato a trovarlo, qualche mese fa, era a letto per una leggera influenza. Sotto le coperte si intuiva un corpo esile e scarno, immobile, ma il volto era quello di sempre, adorno dei soliti baffetti e con quegli occhi mobili e inquieti, indagatori: “Non me dici nienzi”, disse a me che stavo in silenzio e lasciavo parlare il mio amico – Antonio gli raccontava del Centro di studi leopardiani e degli amici comuni e dei colleghi e dei maestri d’un tempo -. Ora mi sembra di sapere la ragione del mio silenzio: sentivo che quella poteva essere l’ultima volta che l’avrei visto, e così è stato. E allora, facendomi forza, gli dissi che mi faceva piacere vederlo e lo ringraziavo per l’ultimo suo libro, gli facevo i complimenti perché a 100 anni sono in pochi gli studiosi che possono permettersi di aumentare la propria bibliografia: il suo sorriso dal fondo degli occhi piccoli e luminosi, indimenticabile!