Diceva Mario Marti che, quando si scrive o si parla, per evitare di fare brutte figure su eventi e percorsi storici, occorre cercare di stare quanto più possibile al certo per tentare di avvicinarsi (se si riesce a farlo, ovviamente) al vero (che mai può essere raggiunto come mai può essere raggiunta la perfezione). Giancarlo Vallone è su questa stessa linea (dal certo al vero, cioè dal documento certo alla sua spiegazione), e con ciò egli è concreto più dello stesso Marti. Tanto che, ancora più recentemente, nel suo saggio – Galatina capitale orsiniana. Breve storia di Galatina (1188-1463) (pp. 295-313) – in un volume collettaneo a cura di Piero Pascali e Daniele Capone – L’eco di Bisanzio (Giorgiani editore, 2021) – egli espone più ampiamente il suo concetto relativamente alle origini di Galatina. Scrive:
«La vicenda storica di Galatina espone, effettivamente, un percorso verso la propria centralità in un contesto per così dire socio-culturale, quello della cd., oggi, Grecìa Salentina e in un contesto amministrativo, quello dalla antica contea di Soleto, che del resto coincidevano solo in parte. Vorrei esporre agli attenti lettori questo percorso verso la centralità, ma vorrei farlo, come ho detto ‘effettivamente’ cioè nel modo il più possibile aderente alla storia, quale fu, reale, e questo implica una scelta di metodo, quella del metodo critico o ‘positivo’, quella della ricerca e valutazione della documentazione (n. m.). Si tratta di un metodo antico e che ha, esso stesso, una storia, ma io lo ritengo l’unico possibile ancora oggi per un ambito o oggetto di studio, ad esempio proprio quello di Galatina e della contea di Soleto, che non ha quasi per nulla, alle proprie spalle, una tradizione storiografica di una qualche serietà scientifica, al punto che, possiamo dirlo, l’antiquaria municipale di A. T. Arcudi (1709) e in particolare di B. Papadia (1792) è certamente assai più in linea con le coordinate della attendibilità storiografica di quel tempo storico, di quanto invece sia a livello della attuale consapevolezza scientifica in storia regionale direi la maggior parte – non la totalità – della produzione storica su Galatina o sulla contea di Soleto, o sui nuclei abitativi che ne facevano parte, degli ultimi cinquant’anni. La questione è ora tanto più importante in quanto Galatina, ed altri paesi della Terra d’Otranto, e della Contea, ma Galatina in particolare, hanno avuto da un paio di decenni la fortuna, che io ho definito incredibile e quasi miracolosa, di riscoprire una minuta articolazione del proprio passato quattrocentesco affidata alla documentazione (n. m.) dei prìncipi Orsini […] Se tutto questo ha un senso in direzione della verità (n. m.), e ce l’ha, bisognerà poi riconoscere che Galatina non può fregiarsi di un remotissimo passato (n. m.), salvo che non si voglia credere a mitologie (n. m.) inventate di sana pianta e piuttosto tardi, e cioè nell’antiquaria secentesca (n. m.), o a etimologie (n. m.) gonfiate a pieni polmoni e a rigogliosi slanci di penna (n. m.), o a pochissimo altro. La prima menzione del paese […] è nell’aprile 1188. […] In quell’epoca Galatina è certamente sottoposta a feudo ma non sappiamo chi ne fosse feudale. Infatti il celebre Catalogus baronum, redatto in piena età normanna, tra il 1150 e 1168, censisce nel distretto di Soleto cinque corpi feudali […] Soleto era il nucleo abitativo più importante del distretto […] Certo, oltre ad ignorare chi fosse feudatario di Galatina, ben poco sappiamo della vita collettiva e degli abitanti del paese. Queste pochissime notizie […] le dobbiamo al compianto e amico André Jacob, e in particolare gli dobbiamo la convinzione che Galatina sia stata nel corso di quel secolo, e in particolare verso la fine di esso, un fiorente centro scrittorio, forse il maggiore, della cultura greco-salentina, e quasi certamente anche sede di un’istituzione scolare (n. m.); disponiamo anche dei nomi di tre amanuensi: Pergios nel luglio 1223, Nicolas nel 1288-1289 e Kalòs, figlio di Pantaleone prete, nel 1297-1298 (e, nella stessa epoca, un copista con una figlia, Gemma)» (pp. 295-297).
Chiedo venia a chi mi legge e al prof. Vallone per la lunga citazione, ma essa mi è necessaria per continuare a fare il mio percorso, che più che storico-scientifico, com’è il suo, il mio, invece, è più che altro deduttivo o, come si dice oggi, intuitivo-logico-conseguenziale che, ovviamente, vale quel che vale, cioè che non ha alcuna pretesa. Preciso che non conosco la lingua greca, salvo qualche parola, ma ho molte amiche e amici (greci e italiani) che della lingua di Omero (o degli omeridi) ne conoscono i meandri più reconditi. Ho messo a loro disposizione la mia idea, frutto più che altro di un immenso amore per la città contrassegnata da un simbolo inequivocabile di grecità: la civetta ateniese.
Parto proprio dal libro di Baldassarre Papadia – Memorie storiche della Città di Galatina nella Japigia – splendidamente curato proprio dal prof. Giancarlo Vallone per i tipi di Congedo Editore (Galatina, 1984) dove, alle pp. 10-11, scrive:
«Galatina, o S. Pietro in Galatina, se non perde la sua origine nell’oscura lontananza dei tempi, ha, con molte altre città di questa provincia incerta ed antica, la sua fondazione. So che gli antichi geografi Pomponio Mela, Strabone ed altri, che dei paesi della nostra provincia fecero menzione, non parlano affatto di Galatina, e neanche l’anonimo geografo di Ravenna. Ma il silenzio degli antichi geografi non è argomento sicuro per dedurre che Galatina non abbia allora esistito, mentre di molte nobili ed antiche città della nostra Japigia non fecero motto. Se poi il geografo ravennate (che fiorì, come più probabilmente si crede nel IX, o X secolo, se non più tardi) non conta fra i paesi da lui descritti il nostro, non si deve badare [a] un tale scrittore, giacché, come scrive il Muratori, parlando delle medesime, diede una geografia troppo difettosa e confusa […] dando nome di città a luoghi che erano semplici castella, o ville, e tralasciando poi varie città che, dopo la declinazione del romano impero, fecero buona figura, ecc. È certo che città greca essa fu, indicandolo chiaramente il nome di Galatina [in greco Γαλατίνα già leggibile nel libro IV dell’Odissea, verso 336], ch’è tutto greco; ed il greco idioma, che qui [cioè in Galatina] si parlò fino agli ultimi anni del XVI secolo (n. m.). Solo si potrebbe opporre all’antica fondazione di Galatina l’autorità del celebre Galateo, il quale scrive [v. De Situ Japigiae, p. 93, ediz. di Basilea] Hinc (parlando di Soleto), ad mille, et quingentos passus urbs, que nomen S. Petri sorttaest, nova, sed honestis civibus, et adhuc graecis cult [Da qui a mille cinquecento passi è sorta una città, il cui nome è S. Pietro, nuova, ma di onesti cittadini, dove ancora si parla il greco.// Traduzione più recente e allungata perché più completa: “A circa un miglio e mezzo da qui sorge una città a cui si è dato il nome di San Pietro, nuova e abitata da gente per bene, tuttora Greci. Giace in una amenissima valle, coltivata a olivi e alberi da frutto di ogni genere, povera d’acqua come Soleto, è tuttavia abbastanza fornita di pozzi./ Si trova egualmente distante, circa tredici miglia, dall’uno e dall’altro mare, nel cuore dell’intera penisola, fungendone da comune centro di scambi commerciali. Ospita una spaziosa e bellissima chiesa dedicata da Raimondo, principe di Taranto, a Santa Caterina, e costruita insieme a un ospizio per pellegrini e ad alcuni borghi fortificati, sull’esempio, a quel che si dice, del monastero di Santa Caterina sul monte Sinai. Fu lì che quest’uomo piiissimo e insigne per la sua devozione fece voto di innalzare la chiesa, che custodisce le tombe degli Orsini, i quali detennero il potere della città per molti anni“». (v. Galateo, Lecce e Terra d’Otranto, a cura di V. Zacchino, Edipan, Galatina, 2004, p. 124)]./ Ma si rifletta un tal passo, e si comprenderà che il Galateo chiama città novella Galatina per nome di S. Pietro, che aggiunse al suo antico, e non già per essere stata di fresco fondata. Prese dunque ella il nome di Galatina dall’antico borgo così chiamato, sulle di cui rovine, fu poi edificata la nostra città; e di ciò ci assicura il mentovato scrittore [Galateo], dicendo [v. De Situ Japigiae, p. 101, ediz. cit.] urbs, quam nomen S. Petri accepissediximus a Galatina vico, in qua postea costructa est, nominatur [è nominata una città, che abbiamo detto avesse preso il nome di S. Pietro, dal villaggio Galatina, sul quale in seguito fu costruita]./ Traduzione più recente e allungata perché più completa: “A tredici miglia da qui c’è Galatone, di dove sono originario, altri la chiamano Galatena a Galatina o Galata, ché il tempo, come cancella città e popoli, così distrugge anche la memoria di ogni cosa. Chi potrebbe interpretare rettamente eventi tanto oscuri? È indubbio che tutte le città di questa penisola hanno origini orientali, alcune conservano persino il nome primitivo./ La città che ho detto prendere il nome di San Pietro si chiama Galatina, dal villaggio su cui fu più tardi costruita; dista cinque miglia da Galatena ovvero Galatone. Chissà a chi apparteneva questa popolazione ‘galatina’: ai Galati della Galizia asiatica o (come attesta Plinio) ai Galli Senoni?”» (v. Galateo, Lecce e Terra d’Otranto, a cura di V. Zacchino, Edipan, Galatina, 2004, p. 130)]».
Anche questa volta chiedo venia a B. Papadia (pace all’anima sua) per la lunga citazione, ma essa mi è necessaria per capire come, nel secolo in cui egli visse, si fosse ancora convinti della grecità della città, nella quale si parlava in greco.
Il toponimo GALATINA (ΓΑΛΑΤΙΝΑ) è composto di due parole: GALA [KALA] e ATINA con la A congiuntiva. GALA o KALA (in italiano BELLO). In Grecia vi sono alcune città che iniziano con questa radice: Galatas o Kalatas (sull’isola di Poros), e Kalithea (nell’area di Atene); Galataki e Kaleani (nell’area di Corinto); Kalamaria e Kalathena (in Tessaglia). Questo toponimo – Kalathena – in italiano si legge Kalatena o Galatena, quindi Galatina); Kalimeriani (nell’Attica); Kalliani (in Eubea); Kallia (nell’isola di Salamina). Nell’attuale Galatina, ad un chilometro a nord della città, esiste tuttora un luogo (cd. mura messapiche) che ancora oggi viene chiamato Kallià. E qui nel Salento (antica Terra d’Otranto) esiste la Grecìa Salentina con diversi nomi greci, ma anche nel resto del promontorio salentino vi sono altre città il cui nome è declinato nella lingua greca. Ad esempio: Gallipoli (Callipolis o Kallipolis), Galatone (Galatas), appunto Galatina (Kalathena – già citata), Calimera (Kalimeriani), Galugnano (Calignanum), Calliste (Kallistei), Ceglie Messapico (Kaellia).
Uno dei più illustri sostenitori della origine non greca del toponimo di Galatina è stato il galatinese Antonio Antonaci (Galatina, 9 giugno 1920 – 26 settembre 2011), sacerdote e prelato d’Onore di S. Santità. Docente presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Bari. Diverse le sue pubblicazioni, fra cui l’importante Ricerche sull’aristotelismo del Rinascimento (1971)] che, nella sua introduzione al libro Storia di Galatina, di Michele Montinari (Galatina, 1888-1966), normalista a Pisa, poi docente, direttore didattico e ispettore ministeriale a Galatina. Una vita dedicata interamente al mondo della scuola. Amico personale e collaboratore di Maria Montessori. Numerose le sue pubblicazioni, alcune di esse ancora inedite come, ad es., la Storia della Basilica di Santa Caterina in Galatina, illustrata con acquerelli di Pietro Cavoti, afferma che la nostra Città non sia stata fondata dai Greci, perché:
«il linguaggio illirico-iapigio, che è la radice del messapico, è lingua italiota parlata nel Salento: […] Se così fosse, cadrebbero tutte le ipotesi finora affacciate d’una attribuzione del tòpos galatino ai ‘colonizzatori’ greci (VII-VI sec. a. C.)» (v. Antonaci, Op. cit., p. 22).
Ovviamente per sostenere tale tesi, Antonaci elabora un’analisi intorno ai termini greci e latini chòra, étnos, ghénos, gens e tòpos, aggiungendo che:
«a rafforzare l’ipotesi illirico-celtica posta alla base del tòpos iapigio-galatino, c’è da aggiungere che entro il termine iapigio vive il celtico epos, cavallo» (pp. 22-23), sostenendo poi che i Galatini, cioè gli abitanti della città di Galatina, fossero stati allevatori di cavalli. Così scrive che:
«in codesto richiamo iapigio-celtico del tòpos galatino, legato a una ipotesi semantica in cui il ‘cavallo’ avrebbe quasi la funzione di un ‘genius loci’, bisognerebbe dire che il ghénos galatino, con la sua denominazione precisa esisteva già prima dell’immigrazione greca. Cadrebbero così tutte le ipotesi d’un toponimo ‘Galatina’ d’origine magno-greca. Il volto iapigio di Galatina resistette durante l’occupazione romana del Salento (III-II sec. a. C.). I Greci, secondo il loro costume, si appropriarono del toponimo illirico-iapigio Galatium trasformandolo ed inserendolo in un’area di corrispondenza fonetica isoglossa, completata dal nome della divinità Athina (Athena): da Galatium a Galathea, Galathena, Galathina» (v. Op. cit., pp. 23-24).
Nel sostenere questa tesi, mons. Antonaci non fa alcun riferimento ad alcun documento storico. Tutt’altro. Anzi, laddove indica le sue fonti scritte fa riferimento a Erodoto, Pausania, Polibio, Strabone, T. Livio, Floro ed Eutropio, dimenticando i due più importanti e più antichi storici che, stando ad alcune indagini archeologiche, visitarono la Messapia: Tucidide e Plinio il Vecchio.
Ovviamente non discuto la sua affermazione secondo cui il toponimo “Galatina” sia “autoctono”, perché è molto probabile che questo effettivamente sia così, solo che lo è non per il motivo da lui indicato, ma proprio perché la città ha origini greche o magnogreche.
Galatina ha come origine etimologica il termine GALATHENA o KALATHENA (l’abbiamo visto sopra) che, a sua volta, deriva dall’etimo greco (Gala-Gàlactos), la cui radice in italiano significa latte. Questo perché, secondo un’ipotetica interpretazione, il suo territorio circostante era produttivo di pascoli e quindi di latticini. Ecco perché, secondo alcuni studiosi, si ritiene che il toponimo Galatina derivi dal nome greco Gàlactos (cioè latte). Altri ritengono invece che le origini del nome si debbano ai Galati (antico popolo della Tracia), infine altri ancora lo fanno derivare da alcune tribù tessale e che per questo il toponimo è legato al nome di Galatena (Kalathena), la città di provenienza di quel popolo. C’è pure chi sostiene che le sue origini etimologiche discendano dal nome di Galata, figlia di Teseo. Ma il mito di Galata e Teseo non è mito o leggenda di questi nostri territori.
Nel suo libro, Michele Montinari sostiene che:
«Il nome di Galatina è di origine greca. Vari studiosi delle vicende di Terra d’Otranto hanno dato interpretazioni diverse, congetturando in modo più o meno attendibile. Così Silvio Arcudi ha sostenuto la tesi che il nome di Galatina in senso letterale voglia significare Atene lattea (di latte), facendolo derivare da Gala (latte) e tina (Atene) e ritenendo detta cittadina essere stata fondata da coloni ateniesi, fermatisi nella contrada, perché adatta alla pastura. Interpretando il nome in senso traslato, si è affermato che Galatina sia stata, all’atto della fondazione, dedicata a Minerva, perché Atene può significare anche l’ara di tale dea. Inoltre lo stemma, che è la civetta (n. m.), è conforme a quello di Atene e all’emblema di Minerva. Per tanto il nome di Galatina verrebbe a significare Nuova Atene oppure Bella Minerva» (v. M. Montinari, Storia di Galatina, Editrice Salentina, 1972, p. 110).
Concordo col Montinari, precisando che il nome Atena (o Atene) è quello che dobbiamo sostenere, in quanto il nome Minerva si riferisce solo alla traduzione latina del termine greco. Infatti il nome Minerva fu introdotto dai Romani dopo il IV-III secolo a. C. (distruzione e sacco della Messapia) e la loro tragica conquista di queste terre, altrimenti denominate Japigia, Calabria, Messapia, Terra dei Sallentini, Terra d’Otranto, e oggi Salento.
Ritengo giusta l’intuizione dell’Arcudi, citato dal Montinari, quando dà il significato di “latte” al termine greco (Gala o Kala). Egli però legge il nome alla moda latina (Atene lattea) quando invece, va letto letteralmente Latte di Atena. Il significato di quest’ultima interpretazione ha una motivazione precisa e, pur trattandosi ancora solo di un’ipotesi, ha la sua origine nel fatto che in Galatina esisteva (esiste?) il mito del fenomeno del tarantismo, che vede la città protetta dal morso del ragno grazie all’intervento della divinità Athena, ma anche all’esistenza di un pozzo sicuramente di origine antica e la cui acqua sorgiva è sulfurea, cioè lattea. Sicuramente, al tempo della fondazione non della città greca (o magnogreca), come alcuni autori hanno scritto, ma del sito indicato come «luogo dove è possibile trovare il latte [o l’acqua lattea] di Athena» (probabilmente intorno ai secc. VI-V a. C.; epoca in cui è pensabile la costruzione di tale pozzo, cd. di “Pozzo di San Paolo), in quello spiazzo che oggi forma piazza San Pietro, oggi ubicato nella Casa indicata dagli storici come Casa Congedo (successivamente denominata Palazzo Tondi-Vignola). Siamo in pieno paganesimo e, molto probabilmente, su quello stesso sito, e comunque nei più prossimi dintorni dove oggi è edificata la Chiesa intitolata ai martiri cristiani Pietro e Paolo, poteva esserci un tempietto, oppure una semplice ara (altare), oppure un’edicola intitolata ad Athena-Minerva. Quell’ara aveva davanti a sé, a poca distanza, quel pozzo che da sempre è stato indicato anche come il pozzo delle tarantate o menadi danzanti, di cui Euripide parla nel libro delle Baccanti.
Conosciamo la storia: nei giorni (26-30 giugno) delle festività religiose legate ai Ss. Pietro e Paolo (festività corrispondenti alle Panatenee ateniesi). Un tempo le persone sofferenti del “morso del ragno” si recavano in quel luogo per bere l’acqua del pozzo di S. Paolo, e quindi chiedergli la grazia per essere “sanate”. Oggi, sappiamo che quel pozzo è stato definitivamente chiuso a partire dal giugno 1959 (epoca della ricerca sul campo di Ernesto de Martino) e l’inizio di quello che poi sarebbe divenuto uno dei libri più importanti per il Salento: La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano, 1961). La chiusura definitiva del pozzo fu sancita da una delibera dell’allora sindaco Biagio Chirenti. Riporto qui i due documenti relativi all’evento:
-1. Documento dell’Ufficio Sanitario: «Municipio di Galatina/ Provincia di Lecce/ Ufficio sanitario// N. 169 di prot./ li 5 giugno 1959// Oggetto: Pozzo inquinato// Ill.mo Sindaco di Galatina// Poiché, data l’alterazione del colore [latteo], si ha ragione di ritenere che l’acqua del pozzo annesso alla chiesa di S. Paolo, in Corso Garibaldi, sia inquinato, allo scopo di evitare che nel periodo delle prossime feste sia fatta uso della stessa prego la S. V. Ill/ma di voler emanare ordinanza al Rev/mo Parroco Mons. Salvatore Podo, a che il pozzo stesso venga chiuso in modo da impedirne in maniera assoluta l’attingimento.// Con osservanza./ L’Ufficiale sanitario (Dr. Santo De Paolis)».
2. Documento del Sindaco di Galatina: «Città di Galatina/ Ordinanza N. 18./ Prot. N. 7046/ Il Sindaco/ letta la relazione del Dott. Santo De Paolis, Ufficiale Sanitario del Comune, datata 5 giugno c. a. n. 169 di protocollo, con la quale fa presente che, data l’alterazione del colore [latteo], si ha ragione di ritenere che l’acqua del pozzo annesso alla Chiesa di S. Paolo, in Corso Garibaldi, sia inquinata, ed allo scopo di evitare che nel periodo delle prossime feste, sia fatto uso della stessa, è urgente ed indispensabile, disporre a ché il pozzo, di che trattasi, venga chiuso in modo da impedirne l’attingimento;/ Visto l’art. 55 della Legge Comunale e Provinciale T. U. approvato con R. D. 3 marzo 1934 N. 383;/ Visto l’art. 106 della stessa Legge Com. e Prov. modificato dall’art. 9 della legge 9 giugno 1947 n. 530;/ In via d’urgenza:/ Ordina/ al rev.mo Parroco Mons. Salvatore Podo, di disporre l’immediata chiusura, con solida muratura del pozzo meglio indicato in normativa./ In caso di inadempimento, i relativi lavori saranno eseguiti di […] e le spese riscosse coattivamente, salvo il procedimento […] con tutte le altre conseguenze di legge./ Il Comando di P. U. e l’Ufficiale Sanitario sono incaricati della esecuzione della presente ordinanza.// Galatina, 7 – 6 giugno 1959// Il Sindaco (Biagio Chirenti)».
Data la formula con la quale l’Ufficiale sanitario del Comune di Galatina dichiarava inquinata l’acqua del pozzo, mi viene il sospetto che si tratti di acqua sulfurea (magari come quella di Santa Cesarea Terme), quindi di colore biancastro (latteo), tanto da poterla denominare “acqua lattea”. Non so se così detto si spiega il motivo per cui chi beveva quell’acqua inevitabilmente aveva dei conati di vomito e vomitava.
Sono io per primo a dire che è un azzardo interpretare oggi che il mito della fanciulla Aracne e della dea Athena (quello narrato da diversi autori e soprattutto da Ovidio nelle Metamorfosi) abbia dato il nome a quel sito, per cui, dal punto di vista etimologico, il suo significato semantico corrisponde esattamente al luogo, leggendo e dicendo così non Athena Lattea, come, a suo tempo, scrisse il Montinari, ma Latte di Atena, o meglio Gala actus in greco – Lactis in latino) di (Atena/Atene), quindi (Gala-Atina). Ovviamente qui si tratta solo di un’ipotesi interpretativa. Nulla di definito e nulla di accertato. Insiste sempre la massima martiana: «partire dal certo per avvicinarsi al vero».
(continua)
[L’intero articolo, di cui qui si pubblica la prima parte, è apparso in tre puntate ne “Il Galatino”, nn. 2-3-4 del 26 gennaio, 9 e 23 febbraio 2024]