La continua ricerca della profondità del sapere

Quando il dio egiziano Theuth inventò la scrittura, il re Thamous disse che quelle lettere avrebbero prodotto solo dimenticanza. Così racconta Platone nel suo “Fedro”. Invece la scrittura diventò la più fedele ancella  della memoria. In fondo, la scrittura non può essere altro che scrittura di memoria, anche quando racconta fantascienza. Senza la scrittura Marcel Proust non avrebbe potuto alzare quell’altare alla memoria che è la Recherche du temps perdu.

E’ assolutamente normale, dunque, che il processo di apprendimento del nuovo venuto sia per molti aspetti diverso da quello delle generazioni precedenti. Ma spesso  si tratta di un processo asistematico, frammentato, che ha poca coerenza, poca coesione. Forse, allora, è questa la funzione che possono assumere gli adulti. Una delle poche funzioni che agli adulti sono rimaste: insegnare un metodo da adottare per conoscere di più, in modo più profondo, per scandagliare i fondali del sapere, per comprendere la causa e la conseguenza dei fenomeni, delle cose, per rintracciare il senso essenziale di quello che accade.

Un metodo è la strada che si sceglie tra le possibili strade. Non è detto che la strada più breve o più lineare  sia anche quella giusta. A volte la strada giusta richiede un cammino più lungo, anche più difficoltoso. Per arrivare ad una conoscenza complessa o completa (ammesso e non concesso che esista una conoscenza completa) a volte è faticoso. Occorre saper mettere insieme elementi provenienti da fonti diverse, saper tessere significati e poi analizzarli e stringerli in una sintesi sostanziale, essenziale, e poi, ancora, collocarli in un contesto particolare e in un altro generale, e poi, ancora, rielaborarli e rapportarli alle altre conoscenze che si hanno, alla propria esistenza. Bisogna saper cercare.

Ma il metodo della ricerca si apprende, e si apprende anche che alle volte quello che si cerca lo si trova quando si sbaglia la strada, ci si distrae a un incrocio e allora è necessario tornare indietro, ristudiare la mappa, ricominciare. Si apprende anche che mentre si cerca qualcosa si trova qualcosa di completamente diverso, che non si cercava, di cui non si conosceva neppure l’esistenza. Molte scoperte della scienza sono avvenute così: con la casualità che si insinua nella programmazione.

Forse è questo che coloro che sono venuti prima possono insegnare al nuovo venuto: il metodo della ricerca e la disponibilità a lasciare varchi aperti all’imprevisto. Possono insegnare che nella ricerca è necessario avere pazienza, saper aspettare, non considerare mai niente come conoscenza definitiva, che non ci si può fermare alla superficie, che si deve approfondire,  che non ci si può fidare del primo significato che appare. Che è solo la conoscenza sostanziale, quella che ha consistenza, che dura nel tempo, la conoscenza che ha senso, quella che vale per se stessi e per gli altri. Il resto conta poco, a volte quasi niente, a volte niente. 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica, 25 febbraio 2024]

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