Pio X, un papa sportivo

     Pierre De Coubertin, era rimasto deluso dalla scarsa risonanza ottenuta dalla seconda e terza edizione dei giochi olimpici che si svolsero rispettivamente a Parigi nel 1900 e a St Louis (USA) nel 1904 perché erano stati oscurati dal contemporaneo svolgimento dell’Esposizione Universale. Egli pensava di rilanciare i giochi olimpici portando a Roma la 4° edizione, quella del 1908. Nel 1901 il rappresentante del CIO tedesco presentò la candidatura di Berlino come sede per i giochi olimpici del 1908; nel 1903 la federazione ginnastica italiana candidò Roma, immediatamente supportata dall’Amministrazione comunale conferendole carattere di ufficialità. Pierre De Coubertin non nascose di preferire Roma a Berlino e, dopo un lungo soggiorno romano, disse che la capitale d’Italia sarebbe la città ideale per dare il fascino ai giochi olimpici. Il 22 giugno 1904 i rappresentanti tedeschi, che in pratica non avevano ottenuto alcun appoggio ufficiale, ritirarono la candidatura della loro città e allora l’organizzazione dei giochi olimpici del 1908 fu affidata a Roma. Nacque immediatamente un Comitato organizzatore che, come prima cosa, stilò una mappa dei luoghi ove si sarebbero dovute svolgere le gare: la cerimonia d’apertura nella solennità del Campidoglio, pugilato e lotta nelle terme di Caracalla, atletica in piazza di Siena, nuoto e canottaggio nel tratto di Tevere compreso tra ponte Milvio e ponte Margherita, la maratona tra i fori imperiali. Così il barone nel febbraio 1905 venne a Roma e trovò nell’Amministrazione capitolina, allora guidata dal sindaco Ernesto Nathan, una pronta adesione. Fu accolto con attenzioni e simpatie ovunque, re Vittorio Emanuele III e la regina compresi.

     Ma al barone premeva la benedizione del Papa e forse la sua presenza. Ed ebbe vari contatti con il segretario di Stato Vaticano, lo spagnolo Rafael Merry Del Val che era stato educato in Inghilterra, che praticava vari sport (alpinismo, tiro a segno, nuoto, corsa) e che, come Pio X, non condivideva i pregiudizi. De Coubertin fu gratificato anche da una benedizione del Papa Pio X i cui anni giovanili erano stati segnati nella nativa Riese da una intensa attività atletica e la cui benevolenza nei confronti dell’attività sportiva aveva favorito l’apertura delle mura vaticane e dei cortili vaticani a manifestazioni ginniche.

      Il barone si sentiva forte a causa del viatico reale (il re offrì un contributo personale di 50.000 lire), della benedizione papale, della diffusa attenzione delle organizzazioni sportive, di un voto positivo sottoscritto all’unanimità dai componenti della Giunta municipale e del favore del Governo che si era premurato di respingere al mittente analoghe richieste di candidatura avanzate da Firenze e Milano.

     Il barone rientrò nella sua abitazione parigina convinto di avere in tasca la certezza che Roma avrebbe ospitato l’edizione del 1908. Ma quando il progetto sembrava sul punto di realizzarsi, si mise di mezzo il Governo italiano guidato da Giovanni Giolitti che disse di no: “troppe spese, l’Italia è povera e non può permettersi simili lussi; i soldi servivano per modernizzare il paese, non per fare sgambettare atleti”.  Arrivò così la rinuncia del governo Giolitti per crisi finanziaria, scioperi generali, moti popolari, il terremoto della Calabria del settembre 1905, la disastrosa eruzione del Vesuvio del 4 aprile 1906 che devastò Napoli. Giolitti mise in testa alle sue priorità gli aiuti ai terremotati della Calabria, alla popolazione sfuggita all’esplosione del Vesuvio, alla ricostruzione della città partenopea, alla costruzione del tunnel del Sempione e dell’acquedotto pugliese.

     Nell’aprile 1906 Roma rinunciava ufficialmente alla organizzazione olimpica. Il Comitato organizzatore, per l’impossibilità a finanziare l’evento, si sciolse nel 1906. Berlino non presentò una nuova candidatura e il 24 novembre 1906 veniva annunciato che i giochi del 1908 avrebbero avuto sede a Londra. De Coubertin così scriveva nelle sue memorie “il sipario scese sul Tevere per alzarsi subito sul Tamigi”.

     L’Italia partecipò ai giochi di Londra, si costituì il 10 giugno 1907 il Comitato Olimpico grazie ad alcuni contributi come 50.000 £ da parte di Vittorio Emanuele III, 25.000 £ del governo guidato da Giolitti, 1.500 £ del ministro degli esteri, senatore Tittoni. Le Olimpiadi del 1908 furono rese celebri dal dramma del nostro maratoneta Dorando Pietri che crollò esausto a pochi metri dal traguardo e perdette la vittoria.

Pio X e il maratoneta Dorando Pietri al traguardo.

     Dorando Pietri, nato il 16 ottobre 1885, umile garzone di fornaio originario di Carpi, durante la maratona riuscì a staccare tutti gli avversari di oltre 10 minuti; entrato nello stadio fu osannato dal pubblico, ma in prossimità del traguardo, perse lucidità e sbagliò strada; corretto dai giudici, cadde a terra. In un primo momento riuscì a tornare in piedi, ma cadde nuovamente e fu aiutato a rialzarsi da uno dei giudici di gara (tale Jack Andrew) e dal medico; cadde ancora 4 volte, barcollò, ma tagliò il traguardo con l’aiuto di un dottore, tal Michael Bulger. Nonostante avesse tagliato il traguardo in largo anticipo rispetto agli avversari, Dorando fu squalificato per aver accettato un aiuto illecito e fu dichiarato vincitore il secondo arrivato, un americano di nome Johnny Hayes, che aveva presentato reclamo. Pietri venne cancellato dall’ordine di arrivo; ma il corridore italiano diventò, per la commozione dei presenti, la vera notizia degna di essere raccontata in tutto il mondo al grido di “Famoso per non aver vinto”. Era diventato un eroe e ricevette un premio morale dalla regina Alessandra (una coppa d’argento dorato). Le immagini televisive e le fotografie fecero il giro del mondo e la sua immagine consegnata all’eternità dello sport. La coppa oggi è custodita dalla “Società Ginnastica La Patria 1879” in una cassetta di sicurezza di una banca di Carpi nello stesso edificio del Gran Hotel Durando. Sulla coppa c’è la dedica in inglese che dice “A Pietri Dorando in ricordo della maratona da Windor allo stadio, 24 luglio 1908, dalla regina Alessandra”. Questo avvenne su indicazione dello scrittore inglese Arthur Conan Doyle, creatore del celebre investigatore Sherlock Holmes e che aveva il compito di scrivere la cronaca della gara per il Daily Mail. La recensione terminava con queste profonde parole: “la grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici”. Si aprì una sottoscrizione in favore dello sfortunato, ma stimato corridore italiano; furono raccolte 300 sterline. I soldi guadagnati li investì col fratello in una attività turistica, un albergo, ma nel 1923 l’albergo fallì e aprì un’autorimessa finendo la sua vita a Sanremo, dove morì nel febbraio 1942, a 56 anni, per un attacco di cuore. Pietri si riprese la rivincita il 25 novembre 1908 a New York contro Hayes e poi il 15 marzo 1909. Ad Hayes era andata la “sua” medaglia olimpionica, ma non la gloria, che consegnò l’italiano per sempre alla storia dei grandi.

     Ma cosa c’entra Pio X con lo sport? La risposta la dà per la prima volta Giovanni XXIII, che fu il primo a parlare di Pio X “sportivo” e della sua benevolenza verso lo sport, accogliendo gli atleti che si accingevano a disputare le Olimpiadi di Roma del 1960. E partendo dalla storia delle Olimpiadi, a ritroso, si sono trovate  le tracce di questo risvolto sportivo di Pio X che, quando era arciprete a Salzano, giocava a bocce con i parrocchiani sul sagrato della chiesa; da papa ospitava nei cortili vaticani i giochi atletici dei ragazzi degli oratori e questo allora era considerato uno scandalo da parte di alcuni cardinali che dicevano “dove andremo a finire?” e ai quali il papa ebbe a rispondere in veneziano “Caro elo, in paradiso!”. E poi Pio X era appassionato di ginnastica, disciplina che aveva praticato nell’infanzia e nell’adolescenza; e poi come non ricordare che da ragazzo andava a scuola a Castelfranco a piedi, facendo ogni giorno una quindicina di chilometri.

     Pio X in una lettera del 14 dicembre 1911 ricordava in particolare le gare di atletica in Vaticano del 1905 e del 1908, che avevano visto la partecipazione di atleti con disabilità. Il giornalista G. Mattei, in occasione dei giochi olimpici di Tokio del 2021, sull’Osservatore Romano del 21 agosto scriveva: “le paralimpiadi sono nate in Vaticano; la prima edizione si tenne nell’ottobre 1905 nel cortile di Belvedere”. La Gazzetta dello sport riportò classifiche, note di servizio per i 2000 atleti e per le guardie svizzere e la Gendarmeria che si alternavano per accogliere gli sportivi, anche con le loro bande musicali, le gare non svolte per la pioggia e le parole del papa Sarto in prima pagina.

     Nella seconda edizione del settembre 1908 “c’erano atleti amputati come Baldoni, che gareggiava nella velocità; atleti sordi; e nel salto in alto c’erano 9 giovani non vedenti dell’Istituto Sant’Alessio. Le prime medaglie d’oro paralimpiche sono state vinte proprio in Vaticano nel 1908 da Baldoni e Cittadini, due atleti; amputato il primo, non vedente il secondo; Cittadini saltò 1 metro e 10 cm”. E infine Pio X incoraggiò la nobile iniziativa del barone De Coubertin e, tramite il suo segretario di Stato, mantenne un carteggio da cui si vede come il papa fosse favorevole ad una edizione dei giochi olimpici a Roma nel 1908. Anche Giovanni Paolo II, il pontefice sportivo per eccellenza, il 27 maggio 1982, parlando ai membri del Comitato Olimpico Internazionale riunitisi a Roma in occasione della LXXXV sessione, diceva che S. Pio X incoraggiò la nobile iniziativa del barone De Coubertin.

     Il papa Pio X e la bicicletta: la bici fu creata nel 1861 da Pierre ed Ernest Michaux (padre e figlio). La chiesa negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento si domandava se consentire ai preti l’uso della bicicletta; ci fu un dibattito acceso e animato: ai richiami alla gravità e al decoro della figura sacerdotale si opponevano i vantaggi che la cura delle anime poteva trarre dalla velocità di spostamento. Alla fine di agosto 1894 il cardinale Giuseppe Sarto, nominato patriarca di Venezia, ma ancora amministratore apostolico di Mantova vietò al clero mantovano l’uso della bicicletta e nel settembre dello stesso anno anche l’arcivescovo di Milano, Andrea Carlo Ferreri, diede parere contrario; l’unica eccezione fu il vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli. L’arcivescovo di Bologna, Giacomo della Chiesa, si dimostrò moderatamente favorevole; nel giugno 1912 i vescovi emiliani si rivolsero al papa sottolineando i vantaggi che l’adozione della bicicletta potevano recare all’attività catechistica. Il papa Pio X, toccato su un punto a Lui molto caro, si mostrò possibilista. L’8 agosto 1912 giunse una supplica di 110 sacerdoti della diocesi di Faenza per la liberalizzazione dell’uso della bicicletta da parte del clero. Il papa mostrò una intelligente flessibilità. Fu con Benedetto XV (l’antico arcivescovo di Bologna che aveva redatto la lettera del giugno 1912) che l’uso della bicicletta venne “sdoganato”, anche perché la bicicletta incominciava ad essere superata dalla rombante motocicletta. Con l’elezione a papa del lombardo e “moderno” Achille Ratti, in proprio appassionato alpinista, i dibattiti dei decenni precedenti sbiadirono. Fu però con Gino Bartoli. “ciclista di Dio”, eletto da Pio XII a simbolo dell’atleta cristiano nel 1947, che venne sancita la completa riconciliazione tra la bicicletta e il papato.

     Il 26 maggio 2013, ultima tappa del 96° giro d’Italia, si fece partire da Riese Pio X, paese natale di papa Sarto, e terminò nel cuore di Brescia con la vittoria di Vincenzo Nibali. Ma anche nel 2007 Riese Pio X aveva ospitato l’arrivo della diciottesima tappa del giro d’Italia con la vittoria di Alessandro Petacchi.

     Pio X e il tango: ai primi del Novecento il tango, ballo sensuale importato dall’Argentina, cominciava a sottrarre spazio in Europa al valzer e alla polka e suscitando critiche e polemiche. Si narra che Pio X desse disposizioni affinché una coppia di ballerini di tango gli fornisse un’idea precisa del ballo per valutarne di persona gli aspetti scandalosi. Era il 28 gennaio 1914. Avvenuta l’esibizione da parte di due rampolli di una antica famiglia aristocratica romana, gli Antici Mattei, fratello e sorella, il Papa avrebbe detto in dialetto veneto “a me sembra che sia più bello il ballo della furlana (la furlana é un ballo veneto, che si balla in coppia, molto praticato a Venezia dove Pio x era stato Patriarca prima di essere eletto Papa nel 1903, ndr), ma non vedo che grandi peccati vi siano in questo nuovo ballo”. Dispose perciò la revoca delle sanzioni ecclesiastiche e così il tango, lascivo e scostumato, secondo i pregiudizi moralisti del tempo, venne sdoganato e i fedeli poterono ballarlo con contegno, senza più timore di vescovi e parroci. Così il tango argentino scampò per un soffio alla scure della censura dei vescovi francesi che arrivarono a chiedere la scomunica per chi praticasse il ballo.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

P. De Coubertin, Memorie Olimpiche, Mondadori, Milano 2003.

A. Stelitano, Q. Bortolato, A. M. Dieguez, Pio X, le Olimpiadi e lo sport, Ed. S. Liberale, Treviso, 2012;

Idem, A. Stelitano, A.M. Dieguez, I papi e lo sport. Oltre un secolo di ricordi e interventi da San Pio X a Papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana, 2015;

Id., Bicicletta, Società e Chiesa ai tempi di Pio X, ED. S. Liberale, 2013;

www.famigliacristiana.it, San Pio X: catechismo, modernismo e tango, Famiglia Cristiana, 21 agosto 2021;

www.lanazione.it, Il 24 luglio 1908, il giorno dell’impresa di Dorando Pietri che perse vincendo. 23 luglio 2022;

G. Mattei, Quando le “paralimpiadi” si facevano in Vaticano. Alla presenza di S. Pio X, L’Osservatore Romano, 21 agosto 2021;

G. Romanato, Le Olimpiadi mancate di S. Pio X, Avvenire, 26 luglio 2012;

P. Vian, Ma dove vai, prete in bicicletta?, Osservatore Romano, 17 maggio 2013.

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