Parole, parole, parole 7. L’antilingua

Non si potrebbe dir meglio. Ma la realtà della lingua usata negli atti giuridici (e più in generale nei rapporti dello stato e delle strutture ad esso collegate con i cittadini) è lontanissima dalla giusta aspirazione alla semplicità e alla trasparenza. Le istituzioni, gli enti, gli uffici comunicano con un linguaggio tortuoso e spesso oscuro. Un avviso incomprensibile, una circolare mal formulata, una disposizione astrusa di fatto ingannano il cittadino e lo allontanano dalle istituzioni. Il linguaggio “nemico” trionfa e rende difficile la vita quotidiana di tutti noi. Verrebbe di ripetere un noto aforisma di Karl Kraus, che oltre cento anni fa scrisse «Elogio della vita al rovescio», tremenda rappresentazione della stupidità che affligge la vita degli uomini: «Il pubblico è un’istituzione creata per dar fastidio alla burocrazia» (come purtroppo tante volte sperimentiamo nel difficile rapporto con quella entità lontana che è lo Stato, nelle sue diverse articolazioni).

 Il burocratese (una temibile “antilingua”) non promana solo dal Parlamento. Alcuni decenni fa Italo Calvino, in un articolo (divenuto notissimo) apparso su un quotidiano, mostrò con un esempio (fittizio, ma illuminante) cosa significa l’antilingua. Un pover uomo è sospettato di aver rubato del vino; interrogato dal brigadiere, rende la sua incerta testimonianza, timoroso di fronte all’autorità che non sente amica: «Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata». Ed ecco la “fedele trascrizione” che ne fa il brigadiere:  «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante». Il pover uomo parla come sa, il brigadiere “traduce” in una lingua incomprensibile, che l’accusato finirà per sottoscrivere, senza capirci molto.

Ogni giorno, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente la lingua italiana in un’antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono, parlano, pensano nell’antilingua. Caratteristica principale dell’antilingua è il «terrore semantico», cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per sé stesso un significato, come se fiasco, stufa, carbone fossero parole oscene, come se andare, trovare, sapere,  indicassero azioni turpi.

La nefasta ricerca di una lingua irreale non è morta, tutt’altro. Qualche settimana fa viaggiavo in macchina in autostrada. Al termine della corsa, in prossimità della sbarra, mi fermo per pagare il pedaggio. Sullo schermo della colonnina leggo: «Il pagamento del pedaggio si effettua dal lato dove opera l’esattore». Ma non c’è nessun esattore, si paga in automatico con bancomat o con banconote. Sulle autostrade americane è scritto «pay here»; non avremmo potuto anche noi scrivere «paga qui», non sarebbe stato più semplice? E poi: perché “si effettua”?, non sarebbe più semplice scrivere “si fa”? Il verbo effettuare deve piacere molto ai cultori dell’antilingua. In città, sulla vetrina di un locale, leggo: «l’ingresso si effettua dalla porta accanto»; in un bar una scritta avverte: «non si effettua il servizio ai tavoli». Non sarebbe più semplice scrivere «si entra dalla porta accanto» e «non si serve ai tavoli»? Un cartello della  tranvia fiorentina informa: «a bordo non si effettua vendita di biglietti». Perché non scrivere «non si vendono biglietti a bordo»?

Complicati non sono solo i gestori di quegli esercizi commerciali e di quelle società di trasporti. Un annunzio di Alitalia (la ex compagnia di bandiera fallita dopo aver dilapidato miliardi dei contribuenti) un tempo recitava: «in caso di necessità, un sentiero luminoso sul pavimento…». Ma il sentiero non può trovarsi che sul pavimento, certo non può essere collocato a mezz’aria o in alto sulla carlinga; quell’annunzio a un certo punto è cambiato (ma persiste in una diversa compagnia, e nessuno fa una piega). Per fortuna non sento più l’avviso che fino a mesi fa imperversava dagli altoparlanti delle stazioni: «i signori viaggiatori sono invitati a disporsi lungo il marciapiede in base alla posizione della carrozza relativa al livello di servizio acquistato»; intendeva, più o meno: «il viaggiatore aspetti il treno in corrispondenza della carrozza indicata nel suo biglietto».

Piccoli segnali, forse qualcosa si muove nella giusta direzione, ma non basta. Non mancano iniziative meritorie (come quella del «Comitato per la legislazione» da cui siamo partiti), ma la semplificazione del linguaggio è spesso disattesa e i risultati reali sono modesti. La strada da percorrere è ancora lunga. La stampa in questo è fondamentale. E tutti noi possiamo dare una mano, scegliendo i modi giusti nello scrivere e nel parlare.

[“La Gazzetta del mezzogiorno” del 16 febbraio 2024]

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