di Antonio Devicienti
La mente si esalta e si nutre anche di pellegrinaggi (di laici pellegrinaggi) in luoghi ch’essa impara ad amare dapprima in un verso, in un libro, in una fotografia.
Anni fa andai al Louvre (quell’universo che ne contiene
innumerevoli altri) anche per vedere la Madeleine à la veilleuse di
Georges de la Tour.
Seguendone i percorsi labirintici, giunsi nella sala dove la Maddalena
sta in un angolo, mentre al centro imperversa, dipinto ammiratissimo dai
visitatori, il Baro.
So che quando Char si recava al Louvre amava fermarsi in meditazione proprio in
quell’angolo, davanti al non grande dipinto della prostituta dai capelli
sciolti.
La Madeleine affiora in più di un luogo dell’opera chariana,
sempre evocata tramite la pittura di Georges de la Tour, uno degli “alleati
sostanziali” di René Char, anche a causa di quella luce di candela o di lampada
a olio che rischiara i volti, rende trasparenti le dita, s’accampa coraggiosa
nel cuore della tenebra (è tema chariano il lampo che, improvviso e repentino,
rischiara il buio, discopre cose e paesaggi altrimenti celati).
Avevo con me un quadernetto di carta di Fabriano sul quale avevo ricopiato a
penna il poème – mia abitudine quando cerco d’impadronirmi in modo (come
dire?) anche fisico di un testo perché ho anche bisogno di sentire tra
le dita la carta, vedere da vicino i solchi che la scrittura apre nella pagina
(il se paraba boves rimane per me la metafora dello scrivere più vicina
al mio sentire di lettore).