di Adele Errico
Rina Durante diceva di Vittore Fiore che avesse un segreto. Era in grado di vedere le cose liberate dagli orpelli, lucenti nella loro essenza. Per questo era un grande poeta, perché i poeti sanno guardare il mondo senza filtri, sanno farsi scorticare dalle cose, sanno sanguinare di dolore, di bellezza e trasformare il dolore e la bellezza che sgorga da quel sangue in poesie. Vittore Fiore, morto il 21 febbraio di 25 anni fa, fu un poeta. Scriveva e viveva con la stessa intensità, senza sprecare un giorno, senza sprecare un singolo attimo di vita. Perché è facile sprecare la vita – come scrive un altro grande poeta, Konstantinos Kavafis, “sciuparla/nel troppo commercio con la gente/con troppe parole e in un viavai frenetico” – e la vera sconfitta sarebbe smarrirsi in quel “gioco balordo degli incontri e degli inviti”, fino a diventare estranei a se stessi. Fiore si muove vorace tra le pieghe dell’esistenza, setacciando la complessità dei suoi giorni fino a ottenere nell’arte la più assoluta semplicità evocativa.
Fiore è stato poeta e giornalista. Nato nel 1920, è del secondo dopoguerra uno tra i maggiori protagonisti della cultura e della politica meridionalista. Già giovanissimo, è a capo del movimento liberalsocialista. Nel 1942 subisce il confino, poi il carcere fino al luglio del 1943. Nello stesso anno suo fratello Graziano viene ucciso dalle truppe di Badoglio durante una manifestazione, episodio che rafforzerà le sue convinzioni antifasciste e lo condurrà a proseguire la propria attività politica nel Partito d’Azione. Fondatore della rivista “Il nuovo Risorgimento”, alla quale contribuirono Gaetano Salvemini e Vittorio Bodini, diventa capocronista del quotidiano barese “La voce”. Racconta la sua formazione di intellettuale politicamente impegnato nell’antologia “La generazione degli anni difficili” (1962). La sua attività politica affianca quella di saggista e giornalista – “Strumenti della lotta meridionalista” (Lacaita, 1949), “Dal cemento al cervello” (Delta, 1989). Pubblicherà tre raccolte poetiche: “Ero nato sui mari del tonno” (Schwarz, 1954), “Qualcosa di nuovo intorno” (Il laboratorio, 1993) e “Io non avevo la tua fresca guancia” (Palomar, 1996).