di Rosario Coluccia
La parola, derivata dal lat. tardo participatione(m), è attestata dalla fine del Duecento, con il significato di ‘prendere parte a un’attività collettiva’ di vario tipo, sia in accezione positiva ‘sentimento di condivisione di uno stato d’animo altrui’ (“esprimo partecipazione al tuo dolore”), sia in accezione negativa ‘adesione o contributo a un atto illecito’(“accusato di partecipazione a banda armata”). Da quello originario si sviluppano significati specialistici come ad esempio, in economia, ‘concorso, insieme ad altri, al possesso o al godimento di un bene’ (“partecipazione agli utili”), e altri meno diffusi. Si deve allo storico rinascimentale fiorentino Francesco Guicciardini la prima attestazione della parola con il significato di ‘facoltà del cittadino di intervenire, direttamente o indirettamente, nella vita politica’. In questo senso, grazie al progresso delle idee e alla crescente diffusione di fondamentali principi di civiltà come il diritto di voto, la parola partecipazione si configura specifica delle società democratiche e pertanto la facoltà partecipativa dei cittadini andrebbe sempre incoraggiata, con interventi appropriati. Questo afferma esplicitamente l’art. 3 della Costituzione italiana: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Le deprecazioni sulla scarsa partecipazione al voto da anni si rincorrono puntualmente nei media, dopo ogni elezione. Ma non si vedono iniziative reali del potere politico per invertire questa tendenza negativa, come la nostra Costituzione richiede.
[“Quotidiano Nazionale” (“Il Giorno”, “La Nazione”, “Il Resto del Carlino”), 15.02.2024]