Una lanterna aggiunta. Romanzo 4

   La scura tonaca si confuse presto con altre ombre.

   Proseguirono. Claudia pareva infastidita e insieme divertita dall’egocentrismo di suo padre che dopo il saluto al religioso aveva ripreso l’intensa chiacchiera con l’avvocato. Si rivolse a Gaia. «Tuo marito è sequestrato per il resto della sera. Troppo forte l’ombra di Cicerone.»

   «Viviamo a Roma e Ottavio c’è nato» rispose lei ridendo. «Può darsi che nelle vene gli scorra il sangue del grande principe del foro.»

   Claudia insistette: «Non c’è argomento sul quale si può far tacere mio padre. Come giornalista denunciante lui è informato su tutto e si intende anche di metafisica.»

   «È in buona compagnia allora» rispose Gaia. «Mio marito, quando non si occupa di codici, legge libri di teosofia in versione americana.»

   L’interessato era abbastanza lontano. Gente si era frapposta.

   Sorpassati anche dalle ragazze con i loro accompagnatori Soti e Gaia restarono soli, confusi tra ombre indistinte che si dirigevano verso il centro. La seconda sera delle lanterne prometteva ancora musica e attrazioni gastronomiche. Nelle ore tarde come evento culminante e sempre nello slargo tra castello e torre del bastione prospiciente il mare una nota orchestra avrebbe eseguito l’Incompiuta di Schubert. Con diffusori disposti sapientemente sugli spalti erano date le stesse possibilità di ascolto della lettura virgiliana. Insomma una sinfonia e un paesaggio. Come nella sera prima il poema e il paesaggio.

   Non ancora adattata al nuovo spettacolo Gaia concentrava la sua attenzione al cammino, all’insolito restringimento della visuale e dello spazio, ragione che allentava le sue difese. Per tenerla vicina a sé nel superare i passeggiatori lenti Soti le afferrò il braccio come a guidarla, sentendo in risposta la stretta al fianco. Folgorato dall’improvvisa complicità per lui era prudente non rischiare parole. Ma per Gaia era impossibile il silenzio.

   «A chi è venuta l’idea di una festa delle lanterne?»

   «Menti di viaggiatori filosofi. Con esperienze in campi tenda.»

   «Attenti alle nuove tecnologie.»

   «Non passatisti.»

   «Né mistici. Ma sempre con iniziative a sorprendere.»

   Il turbamento saliva dalla oscurità della terra. Nella voce dalle chiare sfumature tra ironia e rimprovero, nel modo di tenersi stretta a lui pareva che Gaia avesse del tutto abbandonato la tensione delle ore precedenti. Nella penombra del viale alberato le sagome delle persone con le lanterne ondeggianti innalzavano intorno una barriera protettiva.

   «Mi avevi promesso un video con le tue foto e la tua voce a commento» disse lui.

   «Non l’ho fatto. Sono sempre in ritardo su tutto.» Chiara confessione di un fuoco lasciato a spegnersi da solo.

   Dopo un buon intervallo di silenzio lui riprese: «Il frate ha chiesto a mia figlia se gli passiamo le foto indiane mie e tue per farci una presentazione. Non so cosa può ricavare da una visione tanto indiretta. Adesso, dopo che ti ha conosciuta, tornerà sulla proposta.»

   «Le tue foto non sono sufficienti ad accontentarlo?»

   «Tra quelle spesso compari tu. Per questo non le ho fatte vedere a mia figlia, cosa che per fortuna non mi ha mai chiesto.»

   «Togli me.»

   «Senza la tua immagine il frate non ci caverebbe proprio nulla di senso.»

   «Allora lasciami nella tua serie di scatti e in quelli lo guidi alla giusta ricerca di senso. Sufficiente la tua impressione di fotografo.»

   «Perché parli di impressione?»

   «Non fu così?»

   «Mi era parso oltre, immersi nel pantheon sensuale indiano.»

   «Sarà stato, ora però devo ritornare alla tradizione religiosa di mio marito.»

   Soti dovendo rispondere allo squillo del telefono colse il momento per non tenerla più per il braccio.

   Sua figlia gli chiedeva di affrettarsi.

   Si ritrovarono tutti nel piazzale di fronte alla porta antica. Gaia e Ottavio parlarono un po’ discosti forse per decidere se andar via o rimanere. I minuti passavano in fretta con i giovani che avevano sempre una chiacchiera, una risata. Probabilmente non vedevano l’ora di defilarsi. E forse di quello erano consapevoli i due coniugi intenti a consiglio.

   Gli occhi erano assuefatti alla luce filtrante dalle nuvole basse. Peraltro le mura, gli edifici e gli alberi dei giardini non incombevano essendo distanti dalla spalletta sulla scogliera vicino alla quale i nostri si erano fermati. Non si erano affacciati musicanti nella piazza e la gente passava svelta col dondolio delle lanterne.

   «Noi andremmo via, se non vi dispiace» disse Gaia dopo essersi riavvicinata con il marito al gruppo. «Nostro figlio non tarderà a chiamarci per il solito aiuto.»

   Era una buona giustificazione di distacco. Così doveva finire quel giorno. Marzio però aveva qualche ragione per trattenere i suoi nuovi amici.

   «E lasciatelo tranquillo vostro figlio con la sua compagnia. Volete farvi odiare? Io proporrei di andare alla ricerca delle buone cose della squisita cucina del Salento. Così aspettiamo l’ora del concerto. Sempre che non vogliamo arrivarci in tempo per trovare posto e nell’attesa chiacchierare comodamente seduti.»

   «Non posso rifiutare tanta proposta del gentile professore» acconsentì l’avvocato. «Sarò lieto di confrontare la pitta di patate con quella che ha imparato a preparare mia moglie.»

  Oltrepassata la porta aragonese si trovarono nelle stradine strette e affollate. La dispersione del gruppo era inevitabile. I banchetti con le varie offerte di primi e secondi piatti, di dolci e vini erano giustamente distanti tra loro, messi in piccoli slarghi e quindi la gente si fermava a scegliere secondo il proprio gusto. L’impossibilità di distinguere i particolari delle cose non aiutava, pur se qualche eccezione era stata fatta piazzando torce a faretto. In certi punti era vera ressa. I primi a sparire alla vista presi dal peccato di gola furono Marzio e Ottavio. Avrebbero cercato oltretutto qualche sezione libera di panca e tavolo sì da sedersi a mangiare più comodamente. Si dispersero quindi i giovani dopo aver parlato di recarsi al porto e salire su una barca di amici. Forse avrebbero fatto un giro sotto costa per riappressarsi e ascoltare il concerto. Non pareva comunque un piano stabilito. Soti restò di nuovo solo con Gaia. Dovette quasi sempre afferrarla per il braccio per non perderla, tentando di fare scudo contro urti e spinte di altri corpi. Si accontentarono di un dolce e di bere acqua, giusto intesi a sottrarsi alla confusione.

   Adesso Gaia aveva timore di imbattersi nel marito senza che i ragazzi fossero con loro. Infatti provava a telefonargli ma senza avere risposta. L’altro non sentiva gli squilli e non si stava peritando di controllare messaggi.

   «Sto pensando» disse Soti «che il posto migliore per ascoltare è dalla torre da dove ieri ho assistito alla lettura delle ragazze. Non c’è neanche bisogno di rimanere affacciati al muro di protezione per guardar giù l’orchestra. Si ascolta anche seduti sulle lastre di pietra. Da lassù puoi chiamare al telefono tuo marito e magari riesci anche a farti vedere.»

   Lei ritornava serena dopo momenti di apprensione.

   Non fu facile dare atto al loro proposito. Si era allungato il tempo delle visite ai negozi. I vicoli erano intasati di gente. Raggiunsero il Bastione dei Pelasgi, la balconata alta sul porto. Cercarono di avanzare tra chi si accontentava di sostare alla vista panoramica e i clienti portatisi ai piccoli bar lassù. Giunti al centro della strettoia realizzarono che non si andava avanti, né si poteva tornare indietro. Erano in trappola. Lui cinse di spalle Gaia per proteggerla dalle spinte degli agitati. Lei portò le mani su quelle di Soti.

   «Devo tenerti così» le disse. «Come alla passerella sul Gange.»

   «Anche adesso non dipende dalla tua volontà» rispose ironica voltando leggermente la testa.

   Muovendo a fatica qualche passo riuscirono ad accostarsi al muro di protezione da dove almeno potevano affacciarsi sul mare. Lassù la brezza era alquanto pungente. Lontani lampeggi svelavano una massa nera ma quieta di nuvole. Una lunga fila di barche puntava al largo e un’altra rientrava in porto. Le lanterne dondolanti irradiavano i remi e l’acqua smossa.

   Si tennero al grigio tufo del parapetto. Lui la cingeva al fianco. Continuava il premere fastidioso delle persone che cercavano di avanzare o comunque di liberarsi.

   «Vedi, Gaia, è l’eterno ritorno. Con questo muro possente qui però non c’è da aver paura.»

   Lei si girò tra esaltazione e spavento ad afferrarsi a lui. I capelli disordinavano. Non c’erano possibilità di rapidi spostamenti già che in definitiva ormai anche da lì si sarebbe potuto ascoltare la musica.

   Da due potenti diffusori sistemati a pochi metri ai lati della porta di un bar partirono delle note di archi e fiati come folate di vento che rinforza velocemente. Vi si sovrappose un motivo galoppante, quindi tutta l’orchestra partì col concorso delle percussioni in un crescendo sempre più alto come fragore che si avvicina e infine si spegne in uno schianto devastatore. Tremò ogni cosa insieme con i cuori degli assiepati intorno, forse anche dei dispersi nelle vie del paese e sulle barche. Il primo movimento dell’Incompiuta generava un urto di sentimenti: la malinconia e la felicità, la serenità e la tristezza. Accorrere di folla al grido di libertà. Paesaggio di pace e fosco fronte di guerra. Impulso e furia di tenersi stretti abbracciati, di proteggersi, di vincere la paura, per poi lasciarsi cullare in dolci moti ondosi di danza tra un rombo sordo di allontanamento della tempesta e il rullio montante del suo ritorno fino allo sconquasso e alla esplosione finale che toglie il respiro.

8

Il giorno dopo in tarda mattinata Soti e Marzio si trovarono al circolo Atena. In poltrona uno di fronte all’altro, vicino ad una porta finestra volta al mare e al cielo vuoto, consultavano i giornali leggendo per intero solo qualche articolo. Marzio era interessato di più al foglio locale dove cercava commenti sulla festa delle lanterne da sottoporre all’attenzione dell’amico.

   Lettura del secondo libro dell’Eneide. Il cronista si era diffuso nella descrizione dell’insolita cornice con apprezzamento delle voci di Claudia Valletta e Sofia Pasina come delle loro vesti classiche. Un successo assoluto con gente a far cornice anche dall’alto dei bastioni e dalle barche. Il Dom era felice per sua figlia presentata come nota attrice dell’Idrusa. Accorto del visibile estraniamento di Soti, gli si rivolse nell’intento di scuoterlo: «E allora? Come è andata con la signora Gaia? Contenta del concerto? Fortunato te a goderti la compagnia di una bella donna intelligente e vivace.»

   «Tu mi sei stato complice nel distrarre il romano. Era preoccupato che non giungessimo in vista?»

   «Per niente. Nel messaggio si diceva che andavate con le ragazze sul bastione del belvedere.  È stato così o voi due siete fuggiti altrove?»

   «Abbiamo ascoltato il concerto da diffusori messi lassù.»

   L’altro si accontentò della risposta.

   Soti sentiva ancora il moto cullante e le potenti scosse degli strumenti dell’orchestra che avevano accompagnato il suo abbraccio con Gaia. Avevano come galleggiato tra breve sogno e ricordi, tra musica e silenzi. Dopo il ricongiungimento con gli altri lei lo aveva lasciato senza alcuna promessa di ritornare l’indomani.

   «Felice della tua compagnia nel viaggio in India a quel che ho ascoltato da mia figlia. Saresti stato uno stupido a trascurarla. Mi nascondi qualcosa?»

   «Cosa vai a pensare.»

   L’amico si ritrasse sullo schienale della poltrona levando e allargando le braccia. «Ma no, ma no. Chiedo scusa. Non sono discorsi tra gentiluomini.»

   «Non sono discorsi, Marzio.»

    Soti gli porse il foglio con la notizia annunciante per la terza sera delle lanterne la marcia per la pace. Sapevano, ma rilessero.

   «Vedi?» commentò «Detta così prefigura una camminata su sentieri di costa e di campagna col fresco della notte. Ho paura che l’iniziativa offuschi il senso delle altre che l’hanno preceduta. Agli ideatori è chiaro il desiderio di tornare a contemplare il cielo stellato. Ammirare il firmamento è profonda volontà di pace.»

   Pasina scopriva nello sguardo dell’amico una disposizione d’animo ad ascoltare. Ogni guerra, così parlò, è una guerra civile che spesso travalica i confini nazionali. Grandi potenze intervengono ufficialmente per portare la pace e in realtà alimentano i conflitti vendendo armi. Forze potenti sono nascoste nella finanza internazionale, così come si nasconde l’inferno nel cuore della razza umana. Quel che appare evidente è che dopo la sconfitta epocale dell’economia di piano non è rimasta neanche la fantasia che lo stato attraverso i suoi esperti possa realizzare un risparmio pubblico e reinvestirlo in nuovi processi produttivi legati a scoperte e invenzioni. Forse l’utopia socialista è smentita dal fatto che gli uomini nascono sì uguali, ma muovono passi troppo diversi per quanto l’istruzione cerchi di farli camminare vicini tra loro, se impossibile fianco a fianco. Così la competizione tra individui, positiva nel piccolo gruppo, risulta tragica concorrenza nei grandi numeri. Il risultato è paradossale. Il rischio e il guadagno non possono essere che a carattere privato, mentre inerzia e debito, quindi distruzione del lavoro accumulato, sarebbero tipici di istituzioni fallimentari pubbliche.

   «Penso all’homo faber,» concluse «al suo istinto di provare e riprovare. Può aver successo come pure, il che risulta più spesso, fallire. Il suo agire è inteso come fatto di natura e di libertà, quando invece è sempre un fatto sociale in quanto ad ogni idea nuova segue il conflitto con vecchi interessi.»

   Dopo il suo viaggio in India Pasina aveva continuato a fissarsi sul dubbio se la religione aiuta l’uomo a rinnovare gli accordi col prossimo o lo blocca in una eterna separazione del mio dal nostro rimandando tutto oltre la vita. Sulle difficoltà di distinguere tra ciò che è mio e ciò che è nostro, tra risorse locali e risorse planetarie, sta paradossalmente l’origine degli imperi con le masse dei deboli che giurano il patto solenne con i loro signori. Da studiarle queste differenze tra i patti sull’utilizzo delle risorse codificati col tempo nel diritto e il tabù messo sui rapporti sociali per inchiodarli all’eternità del mito religioso. 

   Soti, notando nell’amico un calo di attenzione, si levò dalla poltrona buttando il quotidiano sul tavolo dove stava in disordine tutta l’altra stampa.

   «Dimmi, Marzio, allora. Stasera rivedremo padre Alfonso accompagnarsi con le nostre figlie nella passeggiata?»

   «Non con le nostre figlie. Tu attento a come lui si accompagnerà con Gaia. Ho notato la sua galanteria con la signora.»

   Salvatore Pasina sperava di potersi limitare, se in futuro avesse incrociato il frate nei pressi di casa e del convento, allo scambio del semplice buongiorno e meglio a un gesto col braccio sulle buone distanze. Non gli interessava la vita privata di quell’uomo e nemmeno quella di tutti i religiosi dell’universo. E però lo incuriosiva in astratto il pensiero, la filosofia, la misteriosa idea del sacro funzionante nella testa di persone incardinate in ordini. L’Aloisio avrebbe fatto meglio a insegnare nelle scuole storia delle religioni. La coscienza è nata nei pastori erranti fermi in contemplazione delle stelle e sul conseguente senso del limite. Di più non posso conoscere. Oltre non posso andare. Sta qui il mistero? In certi scritti religiosi che attiravano la sua curiosità Pasina notava che l’estensore del saggio dopo aver vagato nella storia umana apponeva infine il timbro del mistero. Perché le vittime a volte si trasformano in carnefici mentre altre volte rendono il bene per il male?

   Quanto al frate non aveva forse costui neanche il tempo di perdersi a contemplare dovendo aiutare il prossimo anche semplicemente ascoltando. Era l’uomo della parola e della convinzione. Non credeva a miracoli e apparizioni. Non andava in giro di qua e di là in compagnia? Non vedeva giovani e giovinette in parrocchia? Che storie gli venivano confessate? Non c’erano viaggi, convegni, cene e le barzellette dei preti? E sarebbe andato a confessare al bibliotecario Pasina qualche santa avventura trasgressiva di quelle il cui ricordo ti consola per mesi e per anni? E sarebbe andato a confessare a uno scrittore di farse un amore romantico con qualche giovane suora, magari lontana, missionaria?

   Comunque non cercasse lui, il laico bibliotecario. Lasciasse in pace Sofia e la villeggiante stagionale, Gaia cioè, anche se il giorno prima la signora gli si era mostrata disposta allo scambio di nobili pensieri. Non approfittasse della esplosiva vivacità di Claudia.

9

Fu chiamato al citofono perché si sbrigasse a scendere. Zainetto in spalla e lanterna accesa. Giù vide la figlia e i due Valletta attorniati da un gruppetto di giovani. Tutti attrezzati per la camminata notturna. Era sera avanzata.

   Notato il quadro, Soti si rivolse a Claudia: «Una singolare sorveglianza, vedo.»

   Uno alto con capelli ricci, avendo ascoltato, affrettò la risposta: «Ci è chiesto di accompagnare due sante in processione.»

   Lui rimase interdetto e per qualche istante incerto se chiedere scusa o sorridere sprezzante.

   E Claudia: «Veramente io non sono ancora pronta per la santità.»

   «Ma papà,» urlò Sofia «sono i frati qui del convento! È una marcia per la pace!»

   Soti riconobbe qualche volto e barbetta che vedeva passare sotto casa. Ed ecco giungere dalla chiesa frate Alfonso e Gaia. Lui in nero, camicia e pantaloni, forse a mantenere un aspetto sacerdotale. Lei in pantaloni sabbia e blusa bianca.

   Claudia all’orecchio di Soti: «Il sant’uomo le avrà mostrato i tre affreschi dell’Eden: Adamo ed Eva prima, durante e dopo il peccato.»

   I confratelli fecero corona davanti a tanto simbolica coppia.

   Soti non vedeva l’avvocato. Starà venendo da qualche parcheggio, pensò.

   Valletta si precipitò per il baciamano a Gaia. «La signora ci omaggia con la sua presenza alla nostra manifestazione, Lei che viene da un raduno religioso di ben altra portata e di eco mondiale.»

   L’Aloisio chiarì ai suoi: «La signora Gaia era al Kumbh Mela in India lo scorso febbraio con il professore e le signorine Sofia e Claudia.»

   Quelli tornavano a interessarsi di Claudia incerta sul cammino per la santità.

   Giungeva gente con i soliti lumi muovendo in direzione del luogo di partenza. Soti approfittò della distrazione intorno a sé per chiedere a Gaia se aspettava il marito.

   «No. Sono riuscita a venire da sola.»

   Si avviarono con gli altri. Lasciato il paese dovevano percorrere una quindicina di chilometri su strade di campagna e carrarecce. Il circuito era indicato su mappe che erano state distribuite. Poteva aggiungersi gente in qualsiasi tratto. Si camminava in zone aperte e in altre fitte di alberi segnando una simbolica catena di luce. Nessuno poteva perdersi perché a ogni bivio erano stati messi dei cartelli.

   Già dai primi passi parve che l’Aloisio non avesse tanta intenzione di rinunciare alla compagnia dei reduci del grande evento indiano. Qualcosa bisognava raccontare, poi Soti avrebbe trovato il modo di restare tranquillo con Gaia. Fu però prevenuto da lei che cominciò a dire del paesaggio serale evocante ricordi del loro viaggio. Raccontò dei villaggi scarsamente illuminati la sera, dei profumi delle piante nella mitezza dell’aria, del senso di turbamento e di mistero, dell’assenza di rumore meccanico. Nei giorni di sistemazione in un campo tendato avevano avuto lanterne non tanto diverse da queste nelle mani dei marciatori.

   Alcuni dei religiosi con il Valletta cercavano di seguire il discorso camminando appresso per quanto possibile. Soti sperava di dissuadere il frate dal chiedere altre impressioni. «Qui le lanterne si sono moltiplicate» si intromise. «Una speculazione sulla vendita può esserci stata. Ma saranno utilizzate negli anni futuri. C’è da scommettere che questo tipo di festa creerà almeno qui da noi nuove abitudini di incontri festosi tra cittadini.»

   Spiegò che la Maha Kumbh Mela, cioè festa del vaso, si tiene ogni dodici anni nell’Utta Pradesh nei pressi della città di Allahabad, nel luogo dove confluiscono il Gange e lo Yamuna. Secondo la mitologia vi si unisce anche il Saraswati, fiume scomparso o carsico. Qui dalla coppa degli dei sottratta ai demoni dopo aspra guerra cadde il nettare che diede origine alla vita umana, segnando quindi nell’Holy Triveni Sangam il centro del mondo. Bagnarsi in quelle acque purifica dai peccati e assicura il rivivere una vita migliore. C’è un calcolo astrale per stabilire le date della festa: quando il Sole entra in Ariete e Giove in Acquario. Nell’ultimo evento si è calcolata una affluenza di circa 80 milioni di persone tra pellegrini e turisti. Ogni pellegrino era rimasto per non meno di tre giorni. Tende e baracconi coprivano un’area di migliaia di ettari divisa in quattordici settori. Ben 94 parcheggi e circa trentamila soldati a mantenere l’ordine.

   Padre Alfonso chiese: «Lei che impressione ha tratto da un così grande evento?»

   «Un tempo poteva essere un festoso bagno collettivo in acque pure, correnti nella vastità del paesaggio. Oggi un simbolo di appartenenza e una conservazione di identità con risvolti turistici spettacolari.»

   Sperò che con qualche giudizio tranciante si sarebbe chiuso il discorso e l’altro lo avrebbe lasciato in pace per il resto del cammino. «L’anima si figura il ritorno ad un paradiso perduto più che una purificazione dai peccati dei quali al momento del festoso bagno collettivo ha certamente perso la contabilità.»

   «Può essere una traduzione.»

   Detto con un sorriso e con un leggero cedimento di braccia e spalle. L’Alfonso si mostrava indifferente alle interpretazioni del padre di Sofia. Tanti fedeli attraversavano ogni giorno la porta della chiesa o il cancello del chiostro. Il luogo santo era aperto a tutti. Il palazzo di Caligola invece solo a pochi.

   Gaia era dispiaciuta del tono caustico usato da Soti sicché si mantenne a discorrere con il frate sulla simbologia del bagno, sull’anima universale trasmigrante e sulle contaminazioni che avvengono in ogni tempo tra mitologie.

   Lui intanto rallentò i passi distanziandosi finché non fu quasi contento di restare isolato.

   Ma che discorsi, pensava con irritazione, quell’individuo mette in campo con le donne che vanno a chiedere conforto da lui? C’era da giurare che le due belle ammirate in peplo, capaci di ridare la voce a Virgilio, erano state ormai sedotte dalle prediche di tale spirito magno.

   Non molti minuti e si trovò a fianco Claudia Valletta che doveva avere anche lei rallentato i passi. Il modo di agitare la lanterna era segno di allegria.

   «La marcia si sta sfilacciando. Non lasciarmi sola.»

   Figuriamoci se una figliola così veniva lasciata sola.

   «Il frate ti sta rubando Gaia» disse. «Hai commesso un fatale errore. Non la lanterna dovevi portarti dietro, ma la macchina fotografica. Dovevi sfidarla da subito col flash come hai fatto quando l’hai conosciuta. Magari lei si arrangerebbe a risponderti con il telefonino, ma adesso è delusa.»

   «È dato per certo che l’uomo preferirebbe conversare con la giovane e libera Claudia.»

   «Favori simili non gli passino per la mente. Intanto è impegnato a parlare del peccato con la bella signora e lei, pentita, non verrà più a trovarti.»

   «Tu conosci già le parole da lui usate per allontanare te dal peccato?»

   «Le conosco ma non mi servono ancora. Tu invece bada che la tua stella e il suo pianeta non perdano la strada e si ritrovino a passare la notte in qualche casolare disabitato.»

   «Mi aiuterai a tenerli di vista.»

   «Scommetto che non le hai dato un appuntamento per i prossimi giorni e lei vorrà punirti tradendoti col missionario.»

   «Procederò con intelligenza attraverso contatti telefonici.»

   «Dopo la stupidità di averla trascurata per mesi?»

   Come a restituire un colpo ricevuto lui le portò il braccio libero sulle spalle. Si tennero così camminando per un tratto di strada. La sensazione di morbido, di tenerezza non gli impediva di ragionare sull’ipotesi che lei si stesse facendo scudo del fidato padre della sua amica. Non una lunga attesa e con quasi certezza avrebbe visto uscire dalle ombre il giovane che lei stava sfidando.

   «Sai» riprese lei «di cosa stavano parlando i nostri quando mi sono distaccata lasciandoli andare avanti?»

   «Gaia raccontava dei suoi viaggi. Possibile.»

   «Non è venuta in India senza il marito? L’avvocato non può prendersi tante vacanze e lunghe. Sentivo i nomi di grandi mete turistiche. Iran, Cambogia, Cina… La signora conosce mezzo mondo. Ipotizzabile che alle battaglie col flash ci abbia fatto l’abitudine. Non sei stato il primo.»

   Per un permesso sottinteso di controllo e giudizio in India si era sostituita a Sofia nel lanciare battute sul comportamento di Soti con la bella conosciuta in viaggio. Era un gioco. Adesso a lui si affacciò un pensiero inconfessabile, concepito nella vasta oscurità di quella notte. Con Gaia non c’era domani, mentre Claudia al momento era libera e rimaneva nella cerchia degli affetti. La incontrava a teatro dove l’avrebbe vista interpretare il personaggio creato per lei. E veniva in casa.

   Forzò dolcemente la ragazza a camminare più veloce finché non raggiunsero Gaia, scortata ancora dal gruppo compatto dei conventuali.

   Altra strada, altro allungamento della fila di lanterne e, persa di vista Claudia, sbandati gli altri, Soti poté parlare con Gaia senza altri intorno.

   «Grazie che hai rimediato tu un po’ di compagnia a padre Alfonso.»

   «È risaputo che ogni missione superiore trascina sempre un giro di donne.»

   Pareva intenzionata a non staccarsi più da lui.

   Andavano a frotte tra il continuo saltellare di luce ambrata che intorno ai loro passi saliva su per le muricce e verso le brune chiome ora di pini, ora di ulivi. Costretti a procedere in fila nei percorsi più stretti, calpestavano sterrati più o meno erbosi con qualche traccia di solchi degli antichi carri. Soti anche nella notte più buia si sarebbe orientato nel sistema di strade rurali. Paesaggio della sua adolescenza quei primi balzi di costa dove da sotto gli alberi si intravedeva il mare; luoghi delle passeggiate, delle prime esplorazioni a piedi o in bicicletta; campi che lo avevano visto lavorare in aiuto al padre o alle famiglie degli amici; far visita nelle residenze estive di compagne di scuola.

   Il trovarsi in tanti a camminare gli generava l’illusione di vivere il senso della comunità smarrita sul finire della giovinezza. Si chiedeva quale potesse essere l’impressione negli altri marciatori. Sofia e Claudia si erano mostrate allegre e ciarliere con tutti senza far distinzione tra i fraticelli chiamati alla loro missione e i giovanotti chiamati a scortarle nelle ombre della notte. Aveva sentito le loro risate Immaginava sua figlia animata, soddisfatta di sé, meno estranea che nella solitudine di casa.

   Quando davanti a loro la fila aveva impegnato una curva si potevano quasi contare gli sbuffi di luce. Dai casali vicini giungevano suoni e voci di festa. Come previsto dagli organizzatori affluiva gente da vie laterali dove erano state parcheggiate le auto. Il percorso abbandonò gli uliveti con i fazzoletti intermessi di vigne e frutteti per inoltrarsi in un tratto di bosco rado e seguire il ciglio del balzo collinare dal quale si distanziava di qualche chilometro la linea di costa. Frammentata dai tronchi di pini e lecci si vedeva la distesa scura del mare.

   Sentirono alle loro spalle le voci squillanti delle ragazze e altre voci maschili. Nella brigata che si avvicinava individuarono il Valletta e l’Aloisio con la scorta dei confratelli. Claudia dondolò la lanterna davanti al viso di Soti.

   «Se fossi rimasto vicino a noi non avresti fatto perdere a Gaia il ristoro in villa. Offrivano anche le ostriche.»

   «Come si fa» esclamò Marzio «a far perdere alla signora simili delizie?»

   Claudia a maggior rimprovero: «Ti sembra la notte giusta per conversare di mitologia indiana?»

   Lui avvertì un particolare odore di cipria alcolica. Le chiese: «Offrivano fiumi di champagne con le ostriche?»

   E il bel tenebroso della sfida? Dov’era il prescelto da lei per l’amore? Non compariva tra i maschi quello che se la stringesse al fianco.

    Fu spiegato che il proprietario della villa, stando al cancello a vedere passare la gente, aveva riconosciuto padre Alfonso e aveva invitato ad una breve sosta di rinfresco tutti quelli con cui si accompagnava.

   Soti riuscì di nuovo a camminare solo con Gaia. Appoggiò la lanterna su un sasso tra l’erba.

   «L’abbandoni qui?» disse lei.

   In risposta Soti la cinse in una forte stretta improvvisa cercando le sue labbra.

   «Perché, Soti? Attento ci vedono.»

   «Stiamo per passare davanti al mio campo. Vuoi vedere il luogo della mia felicità infantile? Qualche minuto. Non giungeremo ultimi in paese. Dietro di noi c’è il grosso dei marciatori senza contare i lentissimi.»

   «Mi piacerebbe, anche se l’avrei meglio visto di giorno.»

   «Meglio spegnere le lanterne, se no chissà chi ci tiriamo dietro.»

   Da anni non vi veniva a passare l’estate. Un contadino si occupava degli ulivi, piantava qualche verdura e difendeva il terreno dalle erbacce. A vantaggio degli uccelli curava vecchi superstiti alberi da frutto. Una volta in quella modesta estensione di terra si producevano grano, olio, vino, frutta e ortaggi in quantità bastanti per una famiglia e capitava che ci si abitasse anche d’inverno.

   In fondo al vialetto stava il piccolo casolare con tutti i segni dell’abbandono.

   «Non è un posto da entrarci con una signora. All’interno ci sono mobili sepolti dalla polvere, vecchi attrezzi mai rimossi, indumenti da lavoro, stracci e sui muri grosse macchie di umidità.»

   Superarono la tettoia ingombra di legna e frasche. Soti raccomandò a Gaia di guardarsi dai rovi a ridosso di un muro laterale. A una trentina di metri nella penombra un trullo si profilò tra gli ulivi.

   «Cerchiamo di conservare questa pagliara salentina che io considero un monumento. Spererei di vivere abbastanza per vedere la casa sistemata per mia figlia e i suoi bambini nella stagione estiva. A meno che qui tutto non sia destinato a villeggianti del nord o a contadini d’altre terre, chissà.»

   Gaia si avvicinava incantata come davanti a un tempio.

   «Costruito con i sassi di quando dissodavano il terreno?»

   «A secco come tutta la recinzione del campo. È largo un otto metri alla base e raggiunge i cinque d’altezza.»

   Sentirono miagolare. Una bestiola maculata si avvicinò.

   «È la gatta della villetta al di là della strada. Quando vengo qui lascio qualcosa che la vizia e allora fa i suoi giretti.»

   «Potrebbe invece essere che lei non voglia limiti alla sua libertà.»

   La voce di Gaia doveva essere più convincente perché quella venne a strusciarsi alle sue caviglie.

   Salirono le due strette rampe ricavate sulla circolarità muraria. La copertura cementizia manteneva una buona compattezza senza crepe. Le chiome degli ulivi creavano intorno una larga siepe.

    «Ecco il mio antico rifugio. Qui ero il naufrago dell’infinito.»

   «Miravi le vaghe stelle dell’Orsa.»

   La gatta li aveva seguiti mettendosi in posizione di attesa.

   «Non hai crocchette di riserva giù in casa?»

   «Lei adesso vuole solo ascoltare.»

   Gaia sedette sul lastrico con le braccia a cingere le ginocchia. Soti si pose a gambe distese e mani appoggiate in modo da sostenere la schiena. Da mezzo a un ampio varco di rami e fogliame si vedevano passare le lanterne. Si sentivano molte voci indistinte ed allegre. Si capiva trattarsi dei segmenti centrali della lunga fila di marciatori. Da lontano giungeva della musica con la fisarmonica che superava altri strumenti.

   «Qui mi trovai a riflettere sulle divinità antropomorfiche delle religioni classiche.»

   «E a venerare le femminili, immagino.»

   «L’hai detto. Venere.»

   Seguì il silenzio.

   Ricambiarono lo sguardo fisso della bestiola.

   «Ci avverte di non giungere in ritardo davanti a tua figlia.»

   Lui mosse dalla sua posizione per un abbraccio. Gaia lo lasciò fare ma senza abbandonarsi.

   «No. Non più strappi della tela, Soti.»

   «Di quale tela parli?»

   «Tessuta durante il nostro viaggio.»

   «Vuoi dire dal Taij Mahal fino al tempio Mahabodhi a Bodhgaya.»

   «Voglio dire dei fiori sbocciati dove il Budda ha lasciato le sue orme riprendendo il cammino dopo l’illuminazione.»

   «E di quale strappo su quella tela, Gaia?»

   «Lo sai bene.»

   Si lasciò tenere stretta finché non avvertì l’insistenza di lui a superare quella provvisorietà. Si difese con decisione.

   «No, Soti, non fare così se mi vuoi bene. Capisco. Mi sono comportata come una sedicenne.»

   A Soti non era mai successo di scivolare in forzature con una donna. Non doveva farlo. Ritornò a tenerla semplicemente abbracciata permettendosi solo di accarezzarle il viso.

   Come presa dalla paura di una perdita lei rispose con un breve abbandono, poi ancora ritraendosi: «Lo capisci che la gatta non vuole?»

   Aveva parcheggiato a pochi metri dall’abitazione di Soti e vi era stata accompagnata al concludersi della marcia. Riparati nell’auto dall’umida brezza marina avevano chiacchierato senza accorgersi di aver fatto le quattro del mattino. Avevano ricordato momenti del loro viaggio in India, persone, impressioni, paesaggi naturali ed architettonici. Cancellato tutto ciò che era intercorso tra loro due alla vista e non alla vista delle ragazze. Era fluito invece il racconto delle loro vite, giovinezza, studi, lavoro, matrimonio, figli. Due esistenze incardinate in luoghi geograficamente distanti. Soti poi, raccontando del suo impegno nell’Idrusa, aveva parlato a lungo della scrittura della commedia e della contrarietà della figlia. In risposta la promessa di Gaia di volere essere presente alla rappresentazione.

   Aveva deciso di non riprovare con baci e abbracci, di non proporle giri in auto verso luoghi solitari. Lei sarebbe rimasta per altro tempo ancora in Salento, in vacanza. Non avrebbe resistito dal telefonargli e si sarebbero incontrati senza testimoni. Le occasioni del giorno prima e delle ore presenti erano state limitanti, ma avevano ridestato quelle emozioni che per alcuni mesi erano state collocate nella pura memoria.

   Salì in casa convinto che già vi dormissero le ragazze. Cercò di non far rumore e di accendere meno luci possibile. Sentì dalla stanza da letto di sua figlia: «Sei tu, Claudia?» Silenzio alla risposta negativa.

   Senza far rumore ridiscese in strada a sedersi sul muretto che separava dalla scogliera. Aveva pronta la giustificazione. L’essersi intrattenuto con la signora fino a quell’ora.  Claudia avrebbe inteso la risposta in analogia con il suo vissuto nella notte.

   Sbiancava la leggera nebbia sul mare e sul suo leggero moto ondoso che persuadeva al ritiro e al sonno. Le forme fisiche, parole ed espressioni delle due donne si componevano e scomponevano in uno scambio allucinato di identità.

    Sentì delle risate. Vide Claudia avanzare a passi lenti in compagnia dei due attori dell’Idrusa. Gli si avvicinarono.

   «Vedete?» disse lei a quelli indicando il sonnambulo. «Una trepida gentilezza. Manco il rincasare di sua figlia avrebbe atteso giù in strada fino a quest’ora.»

   I due furono licenziati con un abbraccio.

   Claudia volse a Soti mentre salivano le scale di casa: «Eri rimasto sul muretto in uno shock d’abbandono?»

   «Ripensavo ai discorsi con Gaia protratti fino a poco fa.»

   «Ti ha ospitato in macchina mentre tu aspettavi di vedermi rientrare?»

   «Sì.»

   Soti si mise a letto lasciando aperta la finestra. Gli spiriti che fossero entrati per andare a forzare la porta della camera dell’ospite sarebbero ritornati fuori ad attendere l’aprirsi limpido della bella aurora.

(continua)

Questa voce è stata pubblicata in I mille e un racconto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *