di Salvatore Carachino
(continuazione)
7
Il gruppo uscito in strada è accolto sotto un manto di nuvole plumbee, piatte, non minacciose, squarciate qua e là in lontananza da lunghe strisce di spesso candore. Il cielo ha saltato il crepuscolo anticipando l’oscurità serale che sarà punteggiata dalle lanterne. Se ne vedono le poche che in mano ai passanti sotto le tamerici del lungomare inviano chiarori verso le loro basse chiome.
«Ah!»
È l’espressione di meraviglia di Gaia. Una fenditura di luce simile a quella delle nuvole.
Il cammino ordina le persone in modo che Valletta e l’avvocato davanti a tutti possano continuare un loro discorso sugli oratori di ieri e di oggi. La signora è accompagnata da Soti e dal frate al quale lei concede frammenti di impressioni sul fantasmagorico spettacolo religioso in India. Alle loro spalle Claudia e Sofia chiacchierano a tratti tempestando sui cellulari. Esse si muovono nella realtà, seppure in un intervallo di attese, comunque entro un tempo ricco di contatti. E infatti non passa molto che i due giovani della sera prima, attori dell’Idrusa, spuntano con le loro lanterne come da un velame nero ricevendo un saluto gioioso. Sono presentati a Gaia e a suo marito.
A padre Aloisio pare giunto il momento di chiedere licenza.
«Domani per la chiusura della festa spererei di avervi tutti alla marcia della pace.» Il tono è di chi lancia un invito a persone care ma mostra un velo di tristezza sapendo della improbabilità di riaverle vicine.
«Certo che ci saremo» rassicurò Sofia «attrezzati con le lanterne e le scarpe adatte.»
«Complimenti per l’iniziativa» intervenne Gaia. «Noi abbiamo degli impegni. Ci spiacerà di non esserci. Intanto la ringraziamo per la sua proposta.»