Di Mario Marti, per Mario Marti

di Gianluca Virgilio

Scrivere di Mario Marti, per Mario Marti, per i suoi cento anni, non significa solo fargli gli auguri, rievocando la lunga e ricca storia di uno studioso, un docente, un organizzatore di cultura che ha attraversato il Novecento per giungere sino ad oggi, ma pensare a quanto penserà lui, nella sua casa leccese, quando avrà letto le parole che sto per scrivere, sceverando quanto di esse possa sollecitare la sua intelligenza e quanto invece rimanga lettera morta. Scrivere di Marti significa sottoporsi nolenti o volenti al suo giudizio, al suo acume critico; e questo ci rende certi dell’attualità e validità del suo magistero.

In che cosa consista il suo magistero, altri dirà con maggiore competenza di me, passando in rassegna il contenuto dei suoi libri. Ma io ho un’esperienza da raccontare, la storia del mio primo incontro con Mario Marti, e di quello che ne seguì.

Ho conosciuto Marti diciotto anni fa, in una calda mattina d’agosto del 1995. Avevo scritto alcune cose sulla Vita Nuova e sul Convivio di Dante e le volevo sottoporre al giudizio di qualcuno che se ne intendesse. Mi indirizzò a lui mio padre, che lo aveva avuto come docente nell’anno scolastico 1938-39 presso il Liceo “Colonna” di Galatina e poi all’Università di Lecce, relatore della sua tesi di laurea. Mi fissò per telefono un appuntamento e mi disse di andarlo a trovare a Soleto, nella casa di sua sorella, dove spesso Marti soggiornava. Fu così che, dopo essermi vestito di tutto punto come per un incontro galante, col mio dattiloscritto sotto il braccio, mi recai da lui. Mi ricevette venendomi incontro nel cortile della casa con il “Corriere della sera” in mano  e mi fece accomodare in giardino all’ombra di una pergola, da cui pendeva un frutto non ancora maturo. Marti era allora un ottantaduenne arzillo e vivace, con all’attivo gran parte della sua opera critica e una carriera di professore universitario che lo aveva condotto fino al Rettorato dell’Università di Lecce; io un trentaduenne entusiasta e piuttosto sprovveduto, con all’attivo molte poesie scritte in una gioventù durata troppo a lungo e qualche lavoro da supplente nelle scuole del Nord Italia. L’interrogazione non andò molto bene, ma il dattiloscritto fu trattenuto. A seguire, il verdetto: bocciato. Motivazione: assoluta mancanza di un approccio storico alla materia trattata. Sto riassumendo, com’è d’uopo, ma la lettera che conservo fu lunga e dettagliata, e puntuali furono le osservazioni che chiosavano a matita il testo dattiloscritto rimandato al mittente.

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