Sugli scogli 5. Le furbissime occhiate

          La Reggia era deserta e senza illuminazione; di sera vi sostavano solo coppie in cerca d’intimità e qualche pescatore un po’ matto. Maria rimase in macchina, rinunciando, per il brutto tempo, alla solita passeggiata sul lungomare; per me, invece, si preannunciava una splendida serata di pesca. Le condizioni c’erano tutte: mare spumoso, esca viva, assenza di pescatori nelle vicinanze. Tutto il visibile avvalorava le mie attese. Come stavo bene col vento di spalle e la cacciata davanti! Selezionai un po’ d’esca e aspettai che facesse buio. Al primo lancio (più che lancio, portai la canna contro vento e la lenza si stese sul mare) abboccò un’occhiata, altre ne seguirono voraci e fameliche. Mi destreggiavo al buio come un felino e le luci del ristorante Fiume (ora La Scogliera), a duecento metri, mi erano d’aiuto solo nelle rare volte in cui tiravo a vuoto la lenza. Andando più a fondo avrei potuto insidiare altro ordine di pesce, ma la pesca alle occhiate m’affascinava (e m’affascina) a tal punto che nemmeno tentai una prova. Le occhiate, le furbissime occhiate, abituate ad eludere  i bocconi nelle ore di luce, diventano sempre più intraprendenti dopo il crepuscolo, disposte a restare sulla scia della pastura e a cadere nella trappola che gli si tende.

          Senza orologio (non ne faccio uso da anni) e senza telefonino, non mi rendevo conto da quanto tempo fossi lì. Pensai a mia moglie, lasciata da sola al buio, e avvertii sensi di colpa. Accesi la torcia (seppi poi che si rasserenò a veder la luce) e cominciai a recuperare le occhiate poste in una buca piena d’acqua marina. Non ero né sazio né stanco quando mi staccai dallo scoglio.

          Per tutto il tempo non avevo fatto uso di torcia e Maria era in preda al terrore: temeva fossi caduto in mare, risucchiato da qualche onda, e quest’idea l’aveva paralizzata. Più volte aveva suonato il clacson, ma col vento e il fragore del mare non avevo percepito alcun suono. “Dovevi accendere e spegnere i fari” le dissi quasi a giustificarmi.

“Ma almeno hai pescato?”. “Qualche occhiata”. “E sei stato finora per qualche occhiata?”. “E che ora è?”. “Credo sia notte, da tanto che non passano più auto dalla strada”. Le mostrai il cesto di occhiate, ma non si stupì come altre volte. Era palesemente arrabbiata.

          Alle 23.30 eravamo in casa. I ragazzi avevano già cenato e stavano per mettersi a letto: imbronciati anche loro. Una veloce ripulita e di nuovo in macchina a distribuire occhiate (al peso, Kg. 6.50). Prima tappa, da zio Cici che mi aprì incacchiato nero per averlo disturbato a quell’ora: me lo meritavo. A Soleto, dal fratello di Maria, l’accoglienza fu diversa: mi diedero sì del pazzo, ma col sorriso sulle labbra. Finì così una serata di pesca, ma già pianificavo altre.

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