Rovelli è stato uno dei pochi, pochissimi intellettuali che ha tenuto fede al suo ruolo, quello di dire la verità, almeno quella verità che appare logica e plausibile alla luce delle evidenze empiriche. Di qui la sua critica alle democrazie occidentali, nelle quali la grandissima e scandalosa diseguaglianza economica e sociale tra gli uomini ha svuotato di senso ogni meccanismo di controllo collettivo sull’operato dei governi così come sulla legittimità degli stessi; il che si riflette sul rapporto tra l’Occidente e gli altri popoli, i cui processi democratici sono sistematicamente negati: “L’Occidente detesta la democrazia quando i popoli votano partiti antioccidentali, come in Algeria, Egitto, Palestina, Sud e Centroamerica, e non esita a mandare eserciti, o sabotare governi eletti democraticamente; ma celebra con entusiasmo la democrazia quando è arma ideologica contro i suoi avversari” (pp. 60-61). Di qui l’impegno di Rovelli nel campo pacifista, che lo induce a non esitare nella denuncia degli USA come lo stato più guerrafondaio del pianeta e principale responsabile delle numerosissime guerre che si sono succedute nel mondo dopo la seconda guerra mondiale. Recensendo per “Il Fatto Quotidiano” Le guerre degli altri di Daniele Ganser, Rovelli scrive: “…chi ha maggiormente calpestato questa legalità internazionale è l’Occidente, dominato dagli Stati Uniti, che si è arrogato e si arroga oggi con la forza il diritto all’illegalità e all’impunità” (p. 71). Nell’ottobre 2023 questo libro era già in stampa e dunque in esso non sono riportati giudizi dell’autore sui fatti di Gaza. Ma chi volesse informarsi sulle sue valutazioni in merito, non avrà difficoltà a ricercarle nel web. Troverà che ancora una volta Rovelli si è fatto interprete di una parte consistente dell’opinione pubblica che non considera veritiera la narrazione dominante. Non è anche questo il compito dell’intellettuale, ovvero dare voce al dissenso, che rischia di rimanere soffocato sotto il bailamme dei talk show televisivi?
Il volume non tocca solo argomenti di politica internazionale, ma anche temi e problemi di divulgazione scientifica, in un confronto con i grandi della storia della nostra civiltà, da Dante a Keplero, da Galileo ad Einstein, senza dimenticare il “Maestro Zhuang”, “figura centrale della filosofia del taoismo” (p. 11), a cui si riferisce il titolo del libro, apparentemente criptico e per il quale rimando il lettore alle pp. 11-15, senza svelare l’arcano.
Vi si leggono anche bei ritratti di Roger Penrose, Giorgio Parisi, Roberto Calasso, Gino Strada e Liliana Cavani. Faccio questi nomi per dire la grande apertura mentale di uno scienziato che nella migliore tradizione italiana, rifiuta di essere ingabbiato in precisi discorsi disciplinari. Di lui potrei ripetere quanto Rovelli stesso dice di Roger Penrose: “Per me, rappresenta la scienza che più mi affascina: quella dell’intelligenza libera, indipendente, solitaria, spinta dalla curiosità, che apre prospettive nuove sul mondo”. (p. 99)
Rovelli è, da questo punto di vista, l’uomo rinascimentale, irriducibile ad ogni specialismo, consapevole che la migliore cultura collettiva non può che richiedere un approccio integrale alla realtà. “La nostra civiltà”, egli scrive in un articolo del 1 marzo 2022, “esiste grazie a un insieme di strumenti concettuali, sviluppati collettivamente” (p. 191). Essere interprete di questa dimensione collettiva della cultura gli consente di salire volentieri sul palco del concerto del 1° maggio e parlare ai giovani e incoraggiarli a “cambiare il mondo” (pp. 17-20) e spiegare loro che egli è lì non per caso, ma perché qualcuno gli ha intimato di pensare solo al suo lavoro di scienziato e di non fare politica (“Taci, Rovelli…”).
Grazie, caro Gianluca. Sono perfettamente d’accordo con tutto quello che scrivi.
Caro Antonio, ti ringrazio per questo apprezzamento e consenso che mi hai voluto esprimere pubblicamente.