Un dizionario italiano monovolume dell’uso corrente contiene un numero variabile di parole, all’incirca da 100.000 a 130.000; ma le parole potenziali della lingua sono molte di più, praticamente milioni, se consideriamo tutte quelle del passato, quelle occasionali o effimere usate pochissimo e poi scomparse, i linguaggi tecnici, ecc. Parole apparse, anche molto sporadicamente, in qualche testo orale o scritto prodotto nel corso della storia più che millenaria della nostra lingua (i più antichi documenti dell’italiano scritto risalgono al IX secolo e le prime manifestazioni della tradizione orale hanno un’origine ancora precedente). Il dizionario non nasce dal nulla, si iscrive in una tradizione che nel caso dell’italiano ha un’estensione secolare, e comporta una serie di scelte da parte dei lessicografi che danno vita al dizionario. Decisiva è la selezione dei lemmi da inserire nel vocabolario. Non tutto deve entrare in un’opera che si proponga di rispecchiare l’effettivo uso contemporaneo dell’italiano, quello nel quale si riconosce la grande maggioranza degli italofoni, coloro che parlano e scrivono la nostra lingua.
Ad esempio. Come comportarsi con gli arcaismi, con le parole che ricorrono (più o meno saltuariamente) in qualche testo del passato e oggi risultano fuoriuscite dall’uso corrente? E con i neologismi che entrano a getto continuo nella lingua, favoriti dalla estrema pervasività dei media (in particolare quelli digitali), spesso veri occasionalismi effimeri di circolazione estremamente ristretta? E con gli anglicismi, di cui sono zeppi i documenti che circolano tra gli addetti ai lavori di ambiti specifici e risultano sconosciuti o incomprensibili ai parlanti e agli scriventi comuni? E con forme linguistiche di recente coniazione, che testimoniano la crescente attenzione riservata dalla società moderna a temi sensibili come il rispetto della differenza di genere o il politicamente corretto? Non sono scelte indifferenti (anche dal punto di vista ideologico) e comportano decisioni di non facile applicazione.
I dizionari non si consultano solo per essere informati sulla pronunzia di alcune parole diversamente accentate: cosmopòlita ~ cosmopolìta, diàtriba ~ diatrìba, èdile ~ edìle, fortùito ~ fortuìto, leccòrnia ~ leccornìa, pùdico ~ pudìco, sàlubre ~ salùbre, scandìnavo ~ scandinàvo, ucràino ~ ucraìno, vàluto ~ valùto. O per trarne suggerimenti operativi di fronte alla compresenza nella lingua di coppie lessicali e sintattiche quali aeroporto ~ aereoporto, irruente ~ irruento, reboante ~ roboante, succube ~ succubo, apersi ~ aprii, devo ~ debbo, esco di casa ~ esco da casa, insieme a ~ insieme con, malgrado l’avesse avvisato ~ malgrado che l’avesse avvisato, tre e mezzo ~ tre e mezza [riferito all’ora], senza te ~ senza di te. O per avere a disposizione dei sinonimi che consentano di variare la lingua, come la scuola spesso richiede.
Nei dizionari c’è moltissimo, bisogna saper cercare. Un’innovazione decisiva è rappresentata dall’affiancamento di un supporto elettronico alla tradizionale presentazione su carta. Non è un semplice dato tecnico, la novità apre enormi possibilità di conoscenza ai consultatori. La digitalizzazione consente di accedere con rapidità e con compiutezza a un gran numero di servizi e di indicazioni: etimologia, datazione delle voci e prima attestazione, frequenza d’uso, fraseologia, sinonimi e contrari, unità polirematiche (gruppi di parole che unitariamente hanno un significato diverso da quello dei singoli componenti, considerati isolatamente: «scala mobile» ‘crescita dei salari legata all’inflazione’, «vedere rosso» ‘adirarsi’. ecc.), informazioni grammaticali.
I dizionari diventano così veri e propri strumenti di riferimento per conoscere la nostra lingua e, di conseguenza, la realtà italiana nella storia e nell’attualità. Sapientemente usati nella scuola da professori ben informati, costituiscono un supporto formidabile per consegnare agli studenti, ai cittadini di domani, la capacità di essere soggetti in grado di elaborare la lingua, di capire, di pensare in autonomia, pienamente consapevoli della realtà che li circonda.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 2 febbraio 2024]