Una lanterna aggiunta. Romanzo. 2

   Si godette di camminare sempre a centro strada senza obbligo di riparo e precedenze. La litoranea spoglia di verde diventò presto un viale alberato con palme e pini dal lato degli abitati e con tamerici dalla parte del mare. Le vetrine dei negozi erano state attrezzate con le nuove lampade, anche se all’interno restava attenuata la normale elettricità. In un quarto d’ora di cammino giunse sulla spianata aperta sul mare e in parte delimitata da palazzi e da alcuni tratti di mura del centro storico. Era ormai un continuo incrociarsi di lanterne. Molte erano state adagiate sulla spalletta. Altre ancora comparivano su lontani balconi. Sul cielo d’occidente finivano col dileguarsi le ultime ali di seta grigiorosee mentre il turchino e l’azzurro cedevano lentamente a un blu brillante che Soti credette di ammirare per la prima volta. Adocchiò una panchina occupata da una coppietta. Chiese permesso; vi si sedette. Quelli a significare che non gli avrebbero badato. Presto intorno fu turbinio di punti luminosi e di sagome vocianti. Si convinse di essere l’unico giunto lì senza compagnia.

   Era una sensazione di coinvolgimento e di fiducia, un ritorno all’infanzia, a certe sere estive in campagna con le lucciole quando ogni lume rimaneva spento perché inutile e si parlava o si passeggiava alla luce di stelle e di luna. L’idea delle lanterne non poteva che essere balenata se non in una mente filosofica e accolta poi da intelletti audaci. L’uomo pensante in una fase conclusiva della formazione della sua coscienza captava le scintille dell’astro invitto per utilizzarle in un nuovo progetto. Era l’aspetto festoso della sua raggiunta autonomia, della sua uscita dallo stato di minorità. Festa è una illuminazione collettiva, un rito cui accorre una folla bisognosa di certezze.

   Soti rivede sua figlia davanti allo specchio a contemplarsi. Forse è già pentita delle parole sferzanti pronunciate. Per lei giunge la grande occasione di leggere Virgilio al castello davanti a gente assiepata. Sarà ammirata per la perfetta dizione. A fine spettacolo sarà al centro di un cerchio di lanterne. Più tardi due rimarranno posate, forse spente, chissà dove. Quella figliola… Il padre ha confidato nel successo di una propria stupida scrittura per aiutarla. Bisogna lasciare che se la cavi da sé, che si ritrovi in storie scelte da lei nella vita e sulla scena. Non è fiamma anche tutta la sua armoniosa persona?

   Abbandonò la panchina intendendo seguire il flusso della gente verso il entro storico. Una lanterna gli si parò alta. Marzio Valletta, padre di Claudia e socio del circolo Atena, lo sorprese: «Anche tu, Soti, cerchi l’uomo?»

   Basso e panciuto, tra calvizie avanzata e faccia tonda, ai raggi ambrati gli si leggeva un aspetto clownesco.

   «Veramente cercherei mia figlia.»

   «E la mia Claudia sarà con lei.»

   «Se non sono già al castello.»

   I due procedettero tra la gente il cui chiacchiericcio in assenza di interferenze meccaniche aveva un che di bassofondo musicale. Anche se gli occhi si erano adattati alle insolite ombre capitava nel parlarsi che uno sollevasse il lume verso il viso dell’altro.

   Il Valletta, docente di lettere vicino alla sessantina, era il tipo che esce di casa per attaccare discorso con chi capita, amico, conoscente o accompagnatore di conoscenti. Discepolo di Erato, musa delle composizioni amorose e di Clio, musa della storia, manteneva una collaborazione con il quotidiano locale firmandosi con una certa fierezza come Dom, dominus, signore. Dom Marzio per i gioviali estimatori.

   Incontra quello e trascina quell’altro nel giro di minuti essi procedettero circondati da comuni amici in gara ad apprezzare la festa impastata del nuovo con l’antico. Si auguravano che si ripetesse negli anni a venire, che altri centri della Grecia salentina seguissero l’esempio. Alla lunga il passeggio, l’incontro in penombra avrebbe potuto trascorrere in obbligo a ripetere, in rito dalle sfumature religiose.

   «Vedi com’è» disse Marzio in tono oracolare. «Tu sospendi al tuo balcone una di queste lanterne e il sole non ti abbandona neanche nei travagli notturni del pensiero.»

   Incontrandosi uomini e donne ci si baciava allacciandosi con un braccio solo e rinunciando alla stretta vigorosa. E le tante giovinette unite in folti gruppi, mulinando ombre intorno alle loro gambe nude, rammemoravano i boschi delle favole densi di mistero. Un gruppo di festanti, frenato il conversare alto attaccò con Kali nifta la canzone simbolo dell’area grecanica. E subito fu cerchio intorno ai cantori. 

   Soti non si toglieva dalla testa le parole irritate di Sofia. Ma già rinunciava al proposito di tener sepolto per sempre il testo teatrale. Ricorreva in appello. Anelava a qualche piccola rassicurazione da parte di colui che conosceva per sommi capi l’intreccio.

   «Spero di incontrare mia figlia prima di raggiungerla al castello e di vederla più serena nel clima di festa. È arrabbiata con me. La commedia che ho scritto pensando a lei come prima attrice non le aggrada per niente.»

   «Basta con gli accenni. È ora che tu me la faccia leggere» confortò il Valletta. «Ti preparo l’annuncio. Scriverò che l’opera sarà stampata in quanto è di per sé gradevole ad essere letta indipendentemente dal vederla a teatro.»

   «Ha fatto volare per aria i fogli. E tu pensi…»

   «Normale. È la sorpresa sgradevole del fratellino che non doveva nascere. Le passerà. Rifletti piuttosto che attori e attrici dell’Idrusa potrebbero anche essere irritati per questo tuo temporeggiare rimanendo sulle generali intorno al soggetto.»  

   Dom Valletta pensava alla sua Claudia certamente sulle spine per il prolungarsi delle incertezze.

   «Marzio, io ho continui ripensamenti sulla parte che vorrei dare a Sofia. Lei leggendo si è convinta di essere costretta a confessare in pubblico il suo temperamento, il suo travaglio interiore.»

   «Meravigliosa sensazione per una grande interprete. Dar l’impressione di una profonda sincerità, in altre parole della verità. Quanto a pensare che tu conosca tua figlia e di averla ritratta nel personaggio, beh, non è che ti illudi?»

   «Oddio, in casa è un vulcano… Cenere e lapilli.»

   Questo per Soti era un modo di stemperare una situazione che già si pentiva di aver toccato.

   «Ritieniti libero, amico mio. Se un conflitto c’è, deve venire alla luce. Ricorrerò a mia figlia perché convinca Sofia sul valore del testo. Tutte e due ci metteranno passione e avranno il plauso e la solidarietà del pubblico. Gli uomini le corteggeranno e le ameranno.»

   «Per merito delle mie fantasie» pensò Soti che avendo involontariamente spiato per metà Sofia nuda immaginò facilmente la copia intera in Claudia, la quale nella sua corona di spasimanti aveva il problema di scartare più che di aggiungere. Ma si sentiva già incoraggiato. Gli pareva di respirare meglio.

   Nel loro lento cammino i due amici avvertivano come dono insperato un paesaggio da racconto delle favole, contenti che le sfacciate insegne dei negozi fossero spente e le vetrine parate con i nuovi lumi. Inusuale l’accorgersi di conoscenti solo a distanze ravvicinate e magari anche dal solo accento della voce. Quasi più confidente era sentito nel parlare il guardarsi negli occhi ormai assuefatti al chiarore misto di cielo e umili raggi dei nuovi lumi. Che i giovani innamorati ne approfittassero non se ne vedevano figurazioni. E anche nei borseggiatori doveva essere sbocciato un senso di dignità.

   Sempre più forte giungeva dai giardini uno scatenato motivo di pizzica, una musica da ballo che avendo rinverdito una antica tradizione locale spopolava ormai nelle estati salentine. Dirigendosi verso l’ombra infittita degli alberi nell’inutile ricerca di un segmento libero di panchina Soti e Marzio si videro affiancati dalle loro figliole. Accompagnate da due giovani con lanterna, anche loro attori della Idrusa. 

   Le ragazze avevano concordato di vestire per la recita in abito bianco dal fitto drappeggio in stile peplo d’antica Grecia. Allargando le braccia fissarono i loro padri per farsi ammirare.

    «Avete celebrato il sacrificio alle vostre dee?» esclamò in interrogazione Marzio con lo sguardo puntato ai due giovanotti. Quelli, forse già procedendo ammutoliti, si accontentarono di levare le lanterne a illuminare le due alte statuarie figure nel luccichio di collane, orecchini e braccialetti. I capelli neri di Sofia come i biondo ramati di Claudia, divisi sulla fronte, in qualche modo ravvisavano acconciature classiche.

    Sofia provò di nuovo a braccia larghe per mostrarsi. «Vestiti omerici per lo spettacolo.»

   «Come si conviene» disse Claudia, piegando in un leggero inchino. «Avevamo pensato a un vero peplo classico, cioè a un telo unico che si aprisse di lato fino a certe altezze ma poi abbiamo ripiegato su più casta confezione.»

   Gli accompagnatori tenevano ancora alti i lumi.

   Ad ogni angolatura di luce l’ovale di Sofia pareva concepito per sedurre anche attraverso una fotografia in bianco e nero. La giusta spaziatura della fronte, il taglio lungo degli occhi e la forma affilata del naso erano accolti entro un disegno a significare intelligenza vigile, mentre le guance levigate accompagnavano una certa tensione delle labbra ad assottigliarsi, quasi a conservare un leggero, amaro sorriso e un pensiero dubbioso. La mobilità dello sguardo e i salti d’onda dei capelli lasciati sciolti agivano in concerto con la profonda estensione della voce. Al dominio dello spazio era chiamata l’intera persona con la sua giovanile agilità.

   Claudia poteva gloriarsi di un incarnato morbido e vellutato, libero da necessità di artificiosi ritocchi con colori e matite. Dal suo volto emanava un’aura di perenne allegria e di orgogliosa confidenza con un corpo esso stesso spazio assoluto. Ben conosceva Soti la potenza di una figura a completamento di paesaggi e sfondi avendola contemplata in spiaggia al calore del sole o grondante dal bagno.

   «Certo che è strano» commentò papà Valletta. «Siamo in una regione di luminarie artistiche che vengono esportate per le feste anche in altre nazioni. Con ogni sorta di luci colorate e danzanti si montano cattedrali gotiche, castelli, torri, piramidi e ogni altra meraviglia architettonica. Qui invece siamo alla nostalgia dei secoli bui.»

   Soti sollevò la mano come a indicare il nuovo spettacolo. «Non mi piacerebbe affatto che leggendo l’Eneide le nostre Cassandra e Andromaca piangessero sotto luci fredde e sferzanti.»

   La debole aria manteneva intorno il loro profumo.

   Montava l’allegra confusione con la band impegnata a eseguire la tradizionale musica per il ballo della pizzica da corteggiamento. Avanzando un po’ a fatica i nostri giunsero a osservare la corona di luci creata con le lanterne disposte a terra dai ballerini e quelle tenute in mano dalla prima fila degli spettatori. Un concertista pregò la folla di ritrarsi a formare un cerchio più ampio per convincere altri ad aggiungersi. La barriera compatta non si schiodava, allora quello annunciò che si apprestavano a eseguire uno swing buono per gli innamorati di tutta la piazza. Momenti di resistenza ancora di chi temeva di perdere in seguito la completezza di visione delle ragazze scatenate nelle figure coreutiche. Ma alla nuova musica le coppie cominciarono a forzare, stavolta mulinando le leggere lanterne che avevano recuperato e mantenevano artigliate tra le dita. L’umanità restia fu persuasa a indietreggiare. Tanti altri si aggiunsero, si confusero creando una spirale luminosa sempre più ampia. Sofia e Claudia volentieri si sarebbero fatte attrarre nel vortice insieme con i loro amici ma non potevano giungere mezze scomposte sul palco del castello. 

   Il piazzale dal lungomare ai giardini si riempiva di folla. Giungevano piccoli gruppi di altri musicisti trascinando gli amatori del canto e del ballo. Si sperdevano in direzione della porta che immetteva nel centro storico. La moltiplicazione delle lanterne non impediva la vista delle stelle le quali, brillanti sopra il blu notte del cielo, permettevano una buona definizione dei prospetti architettonici. Favoriva l’aria tersa e forse anche lo spegnimento dei lampioni non necessari nei quartieri periferici e nelle lontane arterie del grande traffico. A maggior fortuna, se a est c’era il mare scuro, nell’entroterra i centri cittadini periferici erano piuttosto lontani e il riverbero della loro illuminazione era intercettato dai rilievi di costa. Manifesti e locandine sostituivano degnamente le noiose cerimonie pubblicitarie. Chi voleva sollevava la lanterna e si metteva a leggere.

   Soti e Marzio, seguiti dalle figlie e da un corteo ingrossato di amici e conoscenti, attraversarono la porta antica sorpresi ad ammirare il nuovo aspetto delle bianche facciate delle case con lumi appesi dovunque. Nelle vetrine la luce si posava sugli oggetti come in un presepio. Dove si aprivano delle piazzette ascoltarono musicisti, applaudirono coppie impegnate in diversi tipi di danza. Dopo un’ora di stai e cammina, di perdersi e ritrovarsi, salirono per vicoli meno affollati ad una balconata alta sul mare da dove si aprì la visione di un gran numero di barche cariche di gente con le lanterne che riflettevano le luci sull’acqua. Tutte manovravano a remi, pronte a portare a terra chi voleva raggiungere il luogo attrezzato per la recita. Ma non sarebbe stato meno allettante mantenersi in prossimità della scogliera e ascoltare da altoparlanti sistemati sui bassi terrapieni. Tutti erano accontentati. Non erano ovviamente previsti schermi grandi o piccoli, tanto c’era il collegamento in streeming per i cellulari.

   Era notizia che tre potenti telescopi erano sistemati su una delle torri del castello.

   «Ecco la logica di tanto evento» esclamò Soti rivolgendosi ai vicini. «L’antica curiosità di scrutare il cielo notturno e di trarre dei presagi.»

   E Claudia volta a lui in un sussurrar cantando: «Lei verrà, non verrà…» 

   Solo quando Soti fu certo che gli altri non avrebbero ascoltato le chiese: «Le avete telefonato per dirle della festa?»

   «Tu intendi la bella signora, vero? La signora Gaia intendi.»

   «Vi siete sentite?»

   «Veramente ha chiamato lei. È quaggiù nella sua casa al mare. Ha chiesto di te. Io mi sono permessa di rassicurarla che da quando vi siete conosciuti nel viaggio in India le tue vecchie amanti sono tutte sparite. Ti ho ripianato la strada. Non hai bisogno di presagi. È da te che aspetta l’invito. Non hai il telefono? Vuoi il mio?»

  Soti si limitava ad ascoltare guardandola negli occhi e sorridendo. E intanto ridiscendevano nei vicoli con gli altri concentrati nelle loro chiacchiere.

   «Chiamala. Hai paura di una donna sposata? Siete rimasti in contatto dopo il viaggio o l’hai mollata? Ti vedo come sospeso. Chiamala perché ti raggiunga per il resto della sera e per le prime ore della notte.»

   Nell’inverno precedente i Pasina e Claudia erano andati in India col fine principale di una visita al grande raduno indù del Kumbh Mela nei pressi di Allahabad. La signora, romana, viaggiava senza il coniuge. Sofia si era affezionata a lei come a una nuova giovane madre. Claudia, osservando gli avanzamenti di confidenza tra Soti e Gaia, di giusta età per lui, non aveva perso occasione per provocarlo raccomandandogli audacia. Dal rientro in Italia le ragazze si erano scambiate continui messaggi con la signora, foto e promesse di rivedersi in estate. Infatti lei aveva detto di avere acquistato da qualche anno una villetta non molto lontana da Leuca sulla costa.

   «Devi chiamarla. Magari verrà domani. Che abbia un marito non vuol dire nulla. Anzi si porterà il pacco appresso per farti capire chiaramente le sue attese. Sappiamo quanto hai apprezzato la sua compagnia alle cene e alle feste d’albergo ed anche quando eravamo sistemati in campo tendato. Potreste tornare a parlarvi alla luce delle lanterne. E comunque non vi siete continuamente illuminati col flash e senza flash per tutto il viaggio?»

    Succedeva, davanti a questo genere di provocazioni, che Soti reagisse con una carezza, con un bacio o strattonandola. Stavolta, afferratole il braccio e sentendola cedere, fu preso dal panico come di star rovesciando inavvertitamente la statua di marmo di una dea.

4

Percorsero una stretta via che li portò all’ingresso del castello. Dal cortile salirono alla grande terrazza dove ci si metteva in fila per guardare col telescopio. Assistevano alcuni studenti di astronomia. Nel cielo ormai scuro la Via Lattea compariva in tutta la sua maestosa lucentezza. I convenuti certamente non l’avevano mai vista. Soti non staccava gli occhi dal firmamento. Spettacolo per viaggiatori attraverso luoghi deserti. Fatto quasi automatico, chi giungeva lassù preferiva spegnere la lanterna dato l’insolito chiarore.

   Il telescopio per il quale si misero in fila avrebbe vagato intorno al triangolo estivo di stelle brillantissime: Vega nella costellazione della Lira, Deneb nel Cigno e Altair nella costellazione dell’Aquila.

   Uno dei giovani assistenti parve piuttosto concentrato ad ammirare il singolare portamento delle ragazze.

   Claudia gli si rivolse ironica: «In genere voi astronomi vivete con la testa in aria.»

   Intimidito forse anche per la presenza degli accompagnatori il tipo si limitò a volgerle un sorriso di contemplazione.

   Marzio Valletta attaccò invece lui con delle osservazioni. «Però voi astrofisici le sparate grosse a volte. Come si fa a dire che dell’energia totale dell’universo solo il cinque, dieci per cento fa parte della materia che noi osserviamo?»

   L’altro rispose come costretto soltanto dallo sguardo diretto e incoraggiante delle ragazze. «Quando l’universo sarà sette volte più vecchio di come è adesso, considerando la fuga delle galassie, allora i loro fotoni non ci raggiungeranno più, faccio per dire, e noi prima vedremo un universo sempre più rosso, poi sarà come stare in un buco nero. Un essere intelligente non potrà più osservare e studiare l’universo così come è dato oggi. Non saprà niente del passato e delle sue origini. Date le distanze le radiazioni termiche iniziali non potranno più penetrare il plasma dentro la nostra galassia. Tanto meno una intelligenza in declino potrà osservare la materia oscura che a noi è dato almeno di ipotizzarla utilizzando scale astronomiche giganti. Il tutto non rimarrà che all’interno della Via Lattea.»

   «Già che il sole tra un sei miliardi di anni si fonde con la Terra.» aggiunse Valletta, lui che leggeva anche pubblicazioni scientifiche.

   «Infatti viviamo in una epoca della storia cosmica che ci offre le migliori condizioni per conoscerla. Noi stiamo vedendo la maestosa struttura dell’universo in espansione, osserviamo l’eco delle radiazioni del calore iniziale e la parata degli ammassi stellari dispiegati nel cielo.»

   «Ma abbiano già smesso di vedere dei e dee nelle loro danze celesti» esclamò Sofia.

   «Certo. L’umanità futura dovrà accollarsi tremende decisioni come vivendo dentro un guscio di noce» concluse il galileiano.

   «Tremenda a quel punto sarebbe la decisione di farci schizzare su un altro pianeta dalla fionda dello spazio-tempo» sentenziò Soti. «E ancor più tremendo decidere di spegnere la nostra coscienza inchiodata sul ritmo delle nostre giornate.»

   «E Venere?» chiese Sofia. «Puoi puntare il telescopio su Venere?»

   «Mi dispiace. Troppo bassa ormai. Dovevate venirci quassù prima.»

   Lo studente non resisteva alla curiosità di sapere perché le ragazze indossavano il peplo.

   «Vestite in sintonia con lo spettacolo prossimo qui al castello?»

   «Da troiane» rispose Claudia con leggero inchino e scandendo alquanto le sillabe.

   «Siamo le lettrici» disse Sofia. «Tu abbandonerai in tempo i giri tra le stelle per un posto giù nelle prime file di fronte a noi.»

   E l’amica a ulteriore invito: «Potrai captare senza radiotelescopio il respiro cosmico nei nostri petti.»

   Sorriso frenato sul volto dell’aspirante astronomo, il quale si mise alle spalle di Sofia, prendendole con delicatezza la testa tra le mani per indirizzarla verso un punto del cielo. Allungò il braccio. «Quella è la costellazione della Lira e quella stella più brillante è Vega, la nostra stella polare del futuro.»

   «Tra quanto?»  

   «Dodici, tredici mila anni.»

   Sofia abbassò la testa piegandola per fissare il giovane negli occhi, poi ancora la volse in alto e infine la reclinò sulla spalla di lui. «Posso aspettare così?»

    «Certo. Fino a domani senza problemi. Col sole qualche sonda spaziale potrà vederci e ci farà la foto.»

   Abbandonato dall’amico Marzio che aveva deciso di raggiungere i posti riservati per la stampa, Soti sceso da lì e abbandonato il castello si portò sulla torre terminale dei bastioni antistanti il porto dal cui parapetto si poteva vedere come da un loggione. Si trovò premuto ai fianchi dai tanti che vi erano accorsi. Tutto era avvolto in una penombra come a confondere da quale spazio giungesse la voce recitante.

Ruota frattanto il cielo e dall’Oceano sorge la notte

avvolgendo nella vasta ombra la terra e l’etere…

 E già, complice la silenziosa luna,

 la flotta greca muove in schiera

verso le note rive e ai segnali di fiamma

della nave ammiraglia. Protetto da divinità

malvagie Simone disserra furtivo

il cavallo liberando gli assalitori…

   Enea si sveglia dopo aver sognato Ettore proferire il suo vaticinio sul destino della patria. Sente dei pianti prima incerti poi sempre più chiari e infine i fragori della distruzione e il clamore dei combattenti. L’angoscia vissuta nel sogno diventa angoscia reale.

   A Cassandra, figlia di Priamo, promessa sposa e profetessa mai ascoltata, non è servito il rifugio nel tempio di Minerva. I nemici, fatta irruzione nel sacrario delle vergini, la trascinano con i capelli scomposti e gli occhi pieni di lacrime, ardenti e rivolti a chiedere aiuto alle mute divinità celesti.

   Nella reggia la crudeltà dell’invasore giunge al suo apice. Mentre le donne urlanti fuggono per le sale fermandosi aggrappate alle colonne e agli stipiti delle porte, uno dei principi troiani cade trafitto dalla furia di Pirro. Priamo assiste alla morte del figlio e rimprovera l’uccisore che non esita a sgozzare anche lui afferrandolo per i bianchi capelli.

   Alla visione degli incendi dall’alto della sua casa Enea prende le armi, esce, incontra molti compagni e combatte. Vede cadere amici e nemici, ma alla fine deve cedere, ritirarsi. È tempo di salvare la famiglia. Ormai

   l’antica città dominatrice per tanti anni precipita;

moltissimi corpi giacciono qua e là senza vita,

per le vie, per le case e sulle soglie consacrate dagli dei.

Crudele ovunque il dolore,

ovunque il terrore, e molteplice immagine di morte.

   Le voci di Sofia e Claudia varcano lo spazio, giungono alle barche ancorate nello specchio d’acqua del porto. Vega aumenta la sua brillantezza.

   Stante la scomoda posizione alcuni degli affacciati pensarono di allontanarsi dal parapetto e mettersi seduti sulle nude lastre solo ascoltando sotto il manto trapunto di stelle nella frescura dei leggeri soffi d’aria. Soti si trovò più libero per aggiustarsi meglio a guardare giù verso il palco dove si alternavano le voci delle lettrici.

   Raffrena le lacrime per la tua diletta Creusa.

Io, dardana e nuora della dea Venere,

non vedrò le superbe case dei Mirmidoni,

non andrò a servire donne greche.

La grande madre degli dei mi trattiene in queste terre.

E ora addio, serba l’amore di nostro figlio.

   Quanto ha lasciato immaginare il poeta sul destino di Creusa persa sulle strade degli incendi e accerchiata da demoni. Il suo fantasma darà un messaggio di incoraggiamento al marito disperato, imponendogli di perseguire con ogni sforzo di volontà una grande missione. È inutile che lui tenti di cercarla, è inutile che si senta in colpa di non essersi sacrificato in battaglia. Sono gli dei, non vede? Sono gli dei avversi alla città che ne stanno demolendo le mura dalle fondamenta. Corra, corra, vada via con chi può seguirlo. Non sta disertando. La città dei giusti e della pace va ricostruita altrove.

   Ai lunghi applausi seguì il silenzio. Non voci, non voglia di parlare. La sera di festa, di musiche, di allegria, di incontri nella semioscurità era ormai passata. Una angoscia come antico stato d’essere forse si era impadronita delle menti, come una stanchezza della volontà a riparare a un disastro delle cose, a spegnere un rogo nei cuori. A oltre un’ora dalla mezzanotte il triangolo estivo era ancora più fulgido in cielo: indicazione di un diverso destino umano offerto dalle divinità della luce.  

   Chissà su quale orbita muove Gaia, pensò Soti. Apparirà, non apparirà, domani?

   Guardò giù. Le lanterne si riaccendevano per disperdersi in tutte le direzioni.

(continua)

Questa voce è stata pubblicata in I mille e un racconto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *