Nato a Venezia il 20 maggio 1470 in una famiglia aristocratica e potente, Bembo visse una parte della vita tra frequentazioni di corti, incarichi pubblici, attività letteraria e amori. Celebre quello per Maria Savorgnan (1500-1501), affascinante donna sposata che influì fortemente sull’uomo e sul poeta. Successivo fu l’amore per Faustina Morosina della Torre (la Morosina), conosciuta e amata sedicenne fin dal 1513, che tra il 1523 e il 1528 gli diede tre figli, nonostante i voti religiosi da lui pronunziati il 6 dicembre 1522. Questo era possibile, in quel tempo, senza scandalo particolare e senza che la situazione costituisse ostacolo insormontabile alla carriera ecclesiastica. Come prova la nomina a cardinale conseguita nel 1539, prossimo ai settant’anni, negli stessi anni in cui dedicava sonetti amorosi alla gentildonna veneziana Elisabetta Massolo, ritratta da Tiziano e cantata anche da Giovanni Della Casa, lo stesso che munificamente offrì a Bembo, divenuto cardinale e risiedente a Roma, la magnifica dimora di Palazzo Baldassini. Della Casa è autore di un libro famoso, «Il Galateo», che regolò i comportamenti sociali di generazioni di italiani e fu largamente imitato da altri autori, fino ai nostri giorni. Da quel libro è derivato il nome comune «galateo» che indica il complesso di educazione e buona creanza che regola i rapporti fra persone: «dovresti imparare il galateo», potremmo suggerire a chi si comporta con maleducazione.
Claudio Marazzini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, che ha avuto l’idea della lapide, ha definito Bembo “principe dei grammatici”, passato alla storia per la soluzione da lui data alla cosiddetta «questione della lingua». Nelle «Prose della volgar lingua» (1525) Bembo sostenne la fiorentinità della lingua italiana sulla base dell’eccellenza trecentesca di quella tradizione, scrivendo una delle prime grammatiche della nostra lingua, fonte d’ispirazione per molte grammatiche successive. La questione della lingua, protratta per secoli, non è un dibattito astratto tra linguisti distaccati dalla realtà, ma fu in grado di coinvolgere le personalità più rilevanti della nostra storia culturale, da Dante a Manzoni e a molti altri, impegnati nella ricerca di una lingua che garantisse agli italiani un mezzo collettivo di comunicazione, già raggiunto da altri paesi europei (Francia, Spagna, Inghilterra) e da noi ancora mancante, anche in conseguenza della tardiva unità politica.
La rilevanza sociale di tale dibattito fu compresa appieno da un non linguista, da Antonio Gramsci, che dal carcere in cui era stato rinchiuso dalla dittatura fascista, poteva scrivere: «Ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l’egemonia culturale». Deludendo le aspettative del suo maestro Matteo Bartoli, che vaticinava in lui «l’arcangelo destinato a profligare definitivamente i neogrammatici» (come scriveva in una lettera dal carcere alla cognata Tatiana Schucht), Gramsci abbandonò gli studi di linguistica che aveva cominciato durante gli anni universitari per dedicarsi interamente alla politica. Ma restò sempre lucidissima in lui la consapevolezza della centralità della lingua, strumento identitario prezioso al cui possesso oggi finalmente è approdata la stragrande maggioranza della popolazione italiana, che può giovarsene per scrivere e leggere, per capire come vanno le cose del mondo e per far valere i propri diritti.
Giuseppe Patota, autorevolissimo studioso di Bembo, ha così concluso il suo intervento al dibattito. Il primo articolo della Costituzione afferma che l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La repubblica della lingua e delle lettere si è fondata, nel corso dei secoli, sulla grammatica di Pietro Bembo.
[Questo articolo riproduce quello apparso nella rubrica “Parole parole parole” ne “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 27 gennaio 2024]