Conversazione a Roca Vecchia 3

«Eppure ho dedicato l’intera vita a ricordare, a studiare e a ricordare»

«Infatti Roca Vecchia è una sorta di avamposto da dove guardare il tempo degli arrivi e dei ritorni – non è un caso che tu sia qui, adesso»

«Sì, lo intuisco: da quella parte ci sono Otranto, Castro, di fronte i Balcani – ho sempre immaginato la mia Parabita come un granaio dentro cui preservare quello che sarebbe servito a nutrire e a fecondare»

«Anche la scrittura?»

«Sì, anche la scrittura»

«Conservare nella scrittura e con la scrittura?»

«No, no, questo no! Capire, invece, sì, con la scrittura e nella scrittura riflettere, combattere, immaginare il futuro»

«E la scuola?»

«Oh, tutti quei giovani volti in attesa! E noi adulti non sempre all’altezza, spesso codardi… Se la scuola era ed è ancora volti aspettanti, allora sì, in questa trasparenza che stiamo diventando posso dire che, se la mia anima verrà pesata, la si troverà leggera perché non ho commesso la colpa di averli abbandonati, ignorati, traditi»

«Vieni, avviciniamoci all’acqua»

«Anche nella trasparenza avverto forte il profumo del sale e dello iodio: che meraviglia! E sento di avere definitivamente la stessa natura del tufo e del lastricato di questi paesi dove sono nato e dove sono morto»

«La nostalgia è proprio questo: capire, ma dopo che si è della stessa materia del mondo e che la materia è senziente»

«Beh, invece oso affermare che chi viene da una terra come questa sa già fin dai suoi giochi di bambino di essere anche corteccia e pietra e lucertola…»

«Tra i morti che transitano da qui voi poeti siete sempre quelli dalla fervida immaginazione»

«Forse. Forse… Ma prima d’incamminarmi verso Leuca lasciami sostare ancora un attimo a sentire il vento che, nella trasparenza, mi sembra ancora più aromatico di quel che ricordavo…»

(Due voci danzano un loro dialogo. Roca Vecchia è sempre un buon posto per ritrovarsi a conversare).

Spezzare la mitica leggenda di Enea

e raccontare storie contadine e sangue raggrumato

coi colpi di fucili sui petti dei “cafoni”.

Ritrovare i motivi del nostro razionalismo estremo

nella terra che non è vero sia barocca per natura

e chiamare la viva memoria di vite senza lapidi;

noi – giovani intellettuali civili –

modificare la realtà con la speranza ateologale

incarnata negli atti disperati delle occupazioni delle campagne

quando nel ’21 e nel ’48 il Salento era rosso di furore.

[…]

Aldo D’Antico

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