di Rosario Coluccia
Alla fine dell’anno (e agli inizi dell’anno nuovo) si fanno i bilanci (e si indicano le prospettive). Si tracciano bilanci anche delle parole, quelle più significative, quelle alla moda, quelle che sembrano un po’ consunte. Un’Agenzia Ansa del 28 dicembre dice testualmente: «Nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono, volta a promuovere un uso corretto e consapevole della lingua, l’Istituto della Enciclopedia Italiana ha selezionato femminicidio come parola dell’anno 2023. La scelta […] evidenzia l’urgenza di porre l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale».
Se consultiamo i vocabolari, la tragica rilevanza sociale del fenomeno a cui la parola allude emerge in tutta evidenza. Ecco la definizione del DISC (Dizionario Italiano Sabatini Coletti, versione digitale, 2022): ‘violenza fisica e psicologica esercitata sulle donne in quanto considerate biologicamente, socialmente ed economicamente subordinate all’uomo; in particolare, uccisione di una donna per motivi di discriminazione sociale e di genere’. Il vocabolo (composto da femmina e dal suffisso –cidio, dal lat. caedere ‘uccidere’) ha corrispettivi in altre lingue: ingl. feminicide, fr. féminicide, spagn. feminicidio; in italiano è attestato dal 2006, documentano i vocabolari, ed è ormai di uso comune, generalmente noto a chiunque.