Ora un uomo di trentasei anni che si masturba al computer è una cosa triste da vedere. Con uno scatto repentino ho abbassato le tapparelle spento la luce e mi sono nascosto in camera da letto. Dagli spazi tra le tapparelle ogni tanto guardavo fuori dalla finestra il pubblico condominiale che a uno a uno scemava.
Alcuni vicini sanno che faccio lo scrittore.
Tutti i vicini sanno che mi faccio le seghe.
Così scrive Nove, traendo una conclusione logica dall’accaduto.
Ora, qui non è in discussione il fatto che un trentaseienne si faccia le seghe, poiché anche a un novantenne è lecito masturbarsi, né che lo scrittore ce lo dica candidamente. Il problema in discussione riguarda invece il significato che Nove vuol attribuire alla scena descritta e quello che per noi lettori essa può valere. Quale senso ha, dunque, il rapporto tra Nove e i suoi dirimpettai? Dico subito che per me esso può essere assunto a metafora del rapporto tra lo scrittore e i suoi lettori. Chi legga il racconto di questa scena, in effetti, ha l’impressione di essere condotto per mano in un luogo privato – che si rivela poi non tanto segreto – per assistere alla masturbazione dello scrittore. Il lettore che qui si evoca, insomma, il lettore che lo scrittore si costruisce con le sue mani, è un lettore guardone, spione, un voyeur un po’ malizioso e sporcaccione, esatto pendant di uno scrittore voyeur ed esibizionista che si masturba davanti al video ed è spiato da un “pubblico condominiale”. Fra l’uno e l’altro, insomma, non c’è una grande differenza, perché la pratica di spettatore hard di Nove è la stessa del voyeur condominiale che spia attraverso la tapparella lo scrittore infoiato, con la sola differenza che il lettore-spione ha dinanzi a sé una realtà esperienziale (lo scrittore che si masturba), mentre Nove ha solo davanti a sé una realtà virtuale (il film hard). La fonte del loro piacere è, dunque, del tutto diversa. Ma questo conta poco. Quel che conta è che entrambi, scrittore e inquilini (alias lettori) vivono la stessa solitudine, deprivati come sono di ogni possibilità comunicativa; il che – sia chiaro – non li accomuna in una sorta di umana solidarietà, bensì li lascia immersi nella loro solitudine di bestioni primordiali relegati in luoghi spaventosi (“le intercapedini dei muri chiamati piani”):
A parte questo devastante episodio, che procrastina all’infinito il mio guardare con serenità fuori dalla mia finestra, mi ricordo che prima del 18 settembre 2003, oltre alle persone, fuori dalla finestra vedevo tanti muri. Le persone erano nelle intercapedini dei muri chiamati piani, nei quali entrano ed escono dai loro appartamenti. Gli appartamenti del palazzo di fronte al mio hanno finestre e porte esattamente come nel mio palazzo.
La scena descritta da Nove non ha dunque modificato in nulla una condizione di solitudine già presente all’inizio del racconto, anzi l’ha resa più evidente, confermandola con questo “devastante episodio”. La masturbazione dello scrittore vista dal suo lettore è un evento che non dà adito ad alcun cambiamento, non aggiunge nessun elemento di conoscenza (la masturbazione è tipica della specie homo sapiens sapiens), ma semplicemente rappresenta quel muro di incomunicabilità che si erge fra le persone, in questo caso tra scrittore e lettore, i cui punti di vista di voyeur (il lettore) e di voyeur-esibizionista (lo scrittore) sono in antitesi fra di loro e impediscono qualsiasi sviluppo del racconto. Difatti, gli inquilini-lettori ad uno ad uno vanno via e la storia finisce lì, con lo scrittore che non può fare altro che rivolgere gli occhi al cielo. Ma anche su questo versante la comunicazione è impedita:
Una cosa che non vedo mai dalla mia finestra è il cielo, un’altra è la luna, un’altra ancora sono le stelle. A Milano il cielo delle volte si vede, la luna e le stelle mai.
Dalla mia finestra non si vede il cielo mai.
Il cielo, la luna, le stelle, questo armamentario della tradizione lirica occidentale qui appare inutilmente evocato, poiché, se non si riesce a instaurare un rapporto quale che sia con gli uomini del proprio tempo, non si capisce bene come ciò possa avvenire riesumando queste belle parole. La constatazione finale nasce dunque da questa consapevolezza di un inesorabile scacco. Intanto – come si diceva – il racconto rimane sospeso. Ma il suo vero senso non si può cogliere di certo nelle battute finali, che suonano così false ed anacronistiche, ma nell’immagine davvero “devastante” e indimenticabile dello scrittore che si masturba davanti ai suoi lettori, nella quale è facile vedere quale responsabilità pesi sullo scrittore, incapace di stabilire un diverso tipo di rapporto con il lettore.
[2004]