Sugli scogli 2. Le bronzee corvine

          Per tutta la notte penso a quei pisci crossi, girandomi e rigirandomi nel letto; poi, a giorno fatto, i miei pensieri sono presi dal quotidiano. Quel chiodo fisso ritorna dopo l’ora di pranzo, quando prendo la via del mare. Prima del crepuscolo, ispeziono il punto indicatomi il giorno prima da Dante: squame grandi più dell’unghia d’un pollice disseminate tutt’intorno, monconi di filo, cicche di sigaretta, piombini ed altro. Giocando d’anticipo, frego gli habitués che giungono di lì a poco e mi guardano torvamente, quasi avessi usurpato una proprietà privata. Allo stesso modo li frego nei giorni seguenti. Ho due sfide già poste in essere: con i due pescatori e con i pesci grossi che ancora non conosco. Quella sera però……

          Dopo la rituale pastura infilzo un verme di tremolina all’amo, lasciandone l’ultima parte libera di muoversi, e calo, facendo sporgere il terminale della canna 50 cm. ca. oltre il ciglio dello scoglio (il fondale a picco me lo consente). Passano i minuti, il pensiero se ne sta andando a ruota libera, quando, nella semioscurità, la punta della canna s’abbassa appena e poi ritorna. Il cuore comincia a battere all’impazzata; non so che pesce ha toccato, chi sto insidiando. Combattuto come l’asino di Buridano fra ricontrollare l’esca o aspettare lo sconosciuto che torni, passa qualche minuto privo d’azione. ‘Sento’, però, che sta girando attorno, annusando l’odore del verme, la cui estremità ancora si divincola; è lì, lo ‘vedo’, pregusta il boccone. Resto immobile per attimi in un crescendo emotivo; ed ecco una seconda volta, la punta della canna si arcua e rimane in tensione; mi balena l’idea di ricorrere allo strappo quando di colpo affonda. Inizia la fase del combattimento, un’altalena di tira e molla senza concedere l’iniziativa al pesce; lo tengo sotto controllo, non lasciandogli il tempo di riposare e di riacquistare energie, poi, colto il momento del recupero, lo scaravento sugli scogli. E’ una grossa preda dal colore bronzeo, le pinne dorsali bordate di bianco; me la guardo sotto la torcia mentre apre e chiude le branchie: straordinaria! Vibro ancora, ma il cuore ha retto, come lo 0.25 e l’amo abbrunito. Non so che pesce sia, so però il momento topico in cui ha abboccato: quando l’ultimo chiarore che accompagna il sole morente si fonde con le luci del paese appena accese. Quella sera tiro tre esemplari di grossa taglia, a intervalli di tempo piuttosto lunghi, poi più niente. E’ mezzanotte e mezza quando rientro. Dormono tutti e presto attenzione ai rumori, ma la prima a venire in cucina è Maria, mia moglie: una sequela di esclamazioni che sveglia i ragazzi. Accorrono anche loro: sbigottiti! Si cerca sull’enciclopedia: i pisci crossi di Dante altro non sono che le bronzee corvine (Corvina Nigra – della famiglia Sienidi – ordine perciformi). Per tutto il mese di marzo ne catturo una trentina, di cui pochissime da porzione; a salire di peso le altre, sino ad un massimo di 1920 gr.. Sono sul mare a sere alterne e non catturo più di tre esemplari per volta. Questo tipo di pesca l’ho poi abbandonato, preferendo quello delle occhiate voraci.* La tana delle corvine, però, me la sono tenuta segreta come un’amante; scopro dopo che altri ne conoscevano l’esistenza. Iniziavo le operazioni di rito quando un sub, affiorando, mi dice che sotto il mio culo c’è una caverna che comunica col mare attraverso una fenditura inaccessibile: covo di corvine. Aggiunge che sinora lo hanno beffato, ma che prima o poi, appostandosi, gli farà la festa. Gli grido che non so che pesci siano. Con un gesto della mano, il sub mi manda a quel paese e s’inabissa. Ne avevo già pescate tante!

          Nuccio mi era amico. A quei tempi, per chi praticava la pesca dilettantistica dagli scogli, era d’obbligo intrattenersi con lui, pescatore incallito ed esperto. Una sera, rientrando prima del solito perché un freddo pungente mi aveva penetrato, vado a trovarlo con le mie prede nel cesto: tre bei esemplari di corvina da chilo. Danno ancora segni di vita (sono dure a morire come gli scorfani) e mentre le osserva dalla testa alla coda, ecco la domanda di rito: “Dove le hai pescate?”. La costa che va dalla Fraula a Torre Inserraglio (o Torre Bianca), passando per Marina Serra, Leuca, S. Maria al Bagno, ci aveva visti insieme più notti; ci scambiavamo quel dominio di conoscenze tecniche acquisite sul mare e per certi versi eravamo in simbiosi. C’era però tra di noi una sana rivalità sottaciuta; quella volta lo indirizzai altrove. Non credo se la sia bevuta. Anche dopo continuai a depistarlo, sicché la posta delle corvine rimase un mio segreto. Bastardo me! Ora che l’amico Nuccio si è congedato per sempre dalle scogliere di questo mondo, me ne rammarico. Troppo tardi, dice il Tempo, e mi dà una lezione.            

* L’occhiata è di facile riconoscimento a causa della macchia nera fortemente marcata all’inizio della pinna caudale e dei grandi occhi, pure cerchiati di nero, caratteristiche che le hanno valso il nome che porta. La sua pesca è da ritenersi una delle più affascinanti e divertenti che si possano praticare dalla costa, perché è un pesce onnivoro e vorace e tiene svegli.

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