Carlo Del Grande scrive questo libro in un momento cruciale della nostra storia recente, “tra il settembre del ’43 e il marzo di quest’anno [il 1946]”, come precisa nella Premessa, p. 5, ovvero tra l’incalzare della guerra più distruttiva della storia dell’umanità, durante la quale la hybris dell’uomo dava prova del suo essere malefico, e un incerto dopoguerra, in cui ogni persona di buon senso sperava che la nemesi avrebbe posto riparo a tante disgrazie. Nella mitologia greca la Nemesi è la personificazione della giustizia divina, che pone riparo agli eccessi della hybris e assicura una misura e un equilibrio all’interno della società. L’opera di Del Grande passa in rassegna tutta la letteratura greca, da Omero ed Esiodo ai lirici, dai tragici agli storici, dai comici agli oratori e ai filosofi, riletti alla luce di questa “antica norma della legge concatenante hybris e nemesi” (p. 214).
Al solito, come accade di ogni opera che vada al cuore delle questioni fondamentali della storia dell’uomo, anche questa mette in gioco il nostro presente e ci induce a chiederci in che misura la griglia concettuale e critica utilizzata dal grecista sia utilizzabile per capire il mondo attuale. Siamo proprio convinti che l’uomo contemporaneo viva secondo misura, evitando ogni eccesso e tenendosi lontano da ogni violenza e tracotanza? Dove e come oggi è possibile rinvenire la hybris? Il lettore comprende bene che qui si apre un campo infinito di esempi che potrebbero essere fatti per descrivere la hybris dei nostri tempi: lo scempio della natura attuato sistematicamente attraverso lo sfruttamento e lo sperpero delle risorse, l’inquinamento, le guerre, la scandalosa disuguaglianza sociale ed economica tra interi paesi e tra singoli individui, la logica suprematista e razzista, e l’elenco potrebbe continuare. La nostra vita, a ben guardare, si svolge all’insegna della hybris, se solo pensiamo che quest’anno l’earth overshoot day, cioè il giorno in cui si calcola finiscano le risorse del mondo intero e inizi il nostro debito ecologico, cadrà il 2 agosto (ma negli Usa molto molto prima). E poi? Questa è la nostra hybris. Ricordo mia madre, tanti anni fa, le sue parole di indignazione quando, passando per una strada cittadina con me bambino preso per mano, vide un sacchetto pieno di pane dinnanzi ad una casa, pronto per il netturbino: “Questa gente dovrebbe provare la fame!” disse. Invocava la nemesi, che gli antichi greci scrivevano con la maiuscola per personificare la giustizia divina, ma anche con la minuscola per indicare la giustizia umana. Esiste per noi moderni una nemesi e sotto quale forma ce la raffiguriamo? Certo, ci sono i tribunali che daranno una pena severa al ladro, all’assassino, al razzista, ma quale riparazione avranno i migranti morti nel Mar d’Africa, quale quelli delle guerre in corso, gli affamati del Burundi, e le infinite altre vittime della hybris contemporanea? Non lo sappiamo. Quel che sappiamo è che una nemesi ci sarà, tanto maggiore ovvero più terribile quanto maggiore è la hybris, perché, come insegnano gli antichi, e come Carlo Del Grande ci ricorda nel suo bel libro, il mondo ha bisogno di una misura, al di là della quale c’è solo spazio per il dolore e l’infelicità.