di Rocco Orlando
“L’amministrazione dell’Arca del Santo il 12 dicembre 1576 delibera che per nessun motivo, nemmeno in occasione di festività o di luminarie, si collochino fuochi di qualsiasi specie sui campanili o sul tetto della Basilica. Il provvedimento era stato suggerito dall’incendio avvenuto il 30 novembre 1567 in due punti della chiesa, a causa di certe fiaccole messe ad ardere sulla piramide dell’angelo, per festeggiare l’elezione del doge Pietro Loredan. Ma per fortuna le fiamme soffocate nel chiuso delle soffitte, s’erano estinte con lieve danno” 1.
Come scrive fra’ Massimiliano Patassini “nei suoi otto secoli il santuario antoniano ha rischiato di sparire, ma sempre la Provvidenza è intervenuta”2.
Ma l’evento più ricordato è quello de 29 marzo 1749, quando un immane disastro colpì il tempio di sant’Antonio “dove copiosi rifulgono i tributi dell’arte in omaggio alla fede. Il fuoco insinuatosi, non si sa come, in un confessionale raggiunse presto l’assito dell’ambulacro; poscia invase gli organi e salì al padiglione. Le fiamme voraci serpeggiavano sinistramente intersecandosi nel cavo delle cupole e, nutrite di nuova esca, s’incurvavano in basso e sbucavano furiose dalle finestre. I piombi della cupola, che sovrasta il coro, liquefatti, colavano, e il fumo, apertosi il varco, investiva il campanile dell’orologio e ne bruciava il castello; le campane arroventate precipitavano con fragore. Una dopo l’altra rovinavano le cupole del presbiterio e quella di S. Felice e l’ardita piramide dell’angelo. Le travi cadendo si accatastavano ardenti; ne scaturivano nuovi incendi. Sui tetti frattanto fervevano le difficili opere di difesa. Operai e bombardieri (artificieri urbani, ndr) impegnati in un’impari lotta, dall’orlo di quelle voragini si sforzavano con ardimentoso accanimento a scemare il danno.