Un’immagine simbolica. Tra storia e leggenda. Il 6 luglio del 1952, sul Col du Galibier al Tour de France, il fotoreporter Carlo Martini coglie l’istante in cui Fausto Coppi e Gino Bartali si passano una borraccia. Non importa chi sia stato a passare la borraccia all’altro. Forse non importa nemmeno se la foto sia stata concordata. Probabilmente quello che importa è l’energia semantica che sprigiona quella foto, la combinazione di sfida, sofferenza, solidarietà che rappresenta.
Poi esistono le competizioni inutili, anzi nocive. Per esempio: in ogni fatto e in ogni contesto della cultura, della formazione (che è la stessa cosa della cultura), la competizione è inutile, anzi nociva. Ogni fatto, ogni contesto culturale e formativo si determinano e si sviluppano soltanto attraverso la collaborazione, il confronto, l’incontro di idee diverse, l’integrazione e l’interazione di esperienze diverse. Perché la cultura e la formazione coinvolgono e interessano una comunità, l’essere con gli altri, il fare con e – soprattutto- per gli altri. Nei fatti che riguardano la cultura, il fare insieme è l’unica condizione che consente il tentativo di sottrarsi all’oblio. La competizione fine a se stessa, comporta l’inevitabile esclusione dal tessuto della memoria di una comunità. Si passa invano, senza lasciare traccia né segno. Forse in qualche occasione si è vinto qualcosa, va bene. Ma nessuno se ne ricorda, quindi è come se non si fosse mai vinto niente. Di quello che si fa per se stessi gli altri non ricordano mai niente, inevitabilmente. Poi bisogna anche cercare di capire dov’è che si arriva quando si va da soli. A cosa si brinda quando si brinda da soli. Con quanta tristezza si paga. Quanto rammarico comporta. Per cui ci si chiede se non è molto meglio arrivare da qualche parte insieme ad un altro. Se non è meglio condividere una minuscola gioia anziché masticare una gigantesca tristezza.
In una qualsiasi situazione che riguarda la cultura esiste sempre una relazione con il territorio e con il suo sviluppo. Ma lo sviluppo di un territorio si verifica esclusivamente se l’azione è realizzata con una convergenza di obiettivi e di metodi. Se le azioni non sono conciliate, armonizzate, si verifica l’esatto contrario dello sviluppo, anche considerando che talvolta la mancanza di condivisione dei metodi e degli obiettivi, trasforma – deforma- la competizione in rivalità. La rivalità non produce, ma rallenta i processi di sviluppo, in qualche caso li interrompe. La rivalità è, molto spesso, generata dall’egoismo, che costituisce la negazione della cultura, nelle sue motivazioni, nelle sue prospettive.
Nei fatti che riguardano la cultura, l’unica competizione che può avere una qualche ragione e una qualche funzione, è quella con se stessi. Ha detto Mikhail Baryshnikov “Non cerco di ballare meglio di chiunque altro. Cerco solo di ballare meglio di me stesso.” Forse pensava la stessa cosa Pietro Mennea quando fece i 200 metri in 19.72: correre più di quanto aveva fatto prima.
Allora, probabilmente è questo che si dovrebbe fare: cercare di ballare un po’ meglio di come si è ballato la volta precedente, di correre un po’ di più della volta precedente. Raggiungere dei risultati per metterli a disposizione degli altri. Conquistare vette altissime per poi raccontare ad altri come si è fatto per conquistarle. Ma anche nella competizione con se stessi diventa necessario essere saggi: che significa mettere il relazione quello che si vuole fare con il proprio tempo. Non c’è campione di nessuno sport che possa esserlo per tutta la vita. Non c’è campione di nessuno sport che faccia il tentativo di esserlo quando gambe e braccia rispondono lentamente. A meno che non sia stupido. Ma campioni stupidi non ne esistono. Se fossero stupidi non sarebbero campioni.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 21 gennaio 2024]