Allora bisogna imparare a distinguere. Soprattutto in quei casi e in quelle situazioni che il nuovo attraversa i territori della cultura, perché in essi avvengono le trasformazioni dei modi con cui si interpreta il mondo e l’esistenza, perchè da queste interpretazioni deriva tutto il resto.
Forse uno dei criteri imprescindibili di verifica del nuovo consiste nell’ accertamento della sua qualità.
Però la qualità è uno di quei concetti di cui non si dovrebbe più parlare. Tutto quello che si poteva dire lo ha detto Robert M. Pirsig in quello straordinario romanzo filosofico, esperienza di formazione, viaggio fino al fondo dell’esistenza, che s’intitola Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta.
Sulla qualità ha già detto tutto Pirsig, dunque. Dopo di lui si può solo appuntare qualche pensiero a margine in modo disordinato, oppure si può seguire il sentiero di un ragionamento partendo da lui per poi tornare, inevitabilmente, ancora a lui.
A
p. 183 dell’edizione Adelphi, Pirsig scrive: “La qualità… sappiamo cos’è
eppure non lo sappiamo. Questo è contraddittorio.
Alcune cose sono meglio di altre cioè hanno più qualità. Ma quando provi a dire
in che cosa consiste la qualità astraendo dalle cose che la posseggono, paff,
le parole ti sfuggono di mano.
Ma se nessuno sa cos’è, ai fini pratici non esiste per niente. Invece esiste
eccome.
Su cos’altro sono basati i voti, se no? Perché mai la gente pagherebbe una
fortuna per certe cose, e ne getterebbe altre nella spazzatura?
Ovviamente alcune sono meglio di altre… ma in cosa consiste il “meglio”?…”
Per cui rimane la domanda che riguarda i criteri da applicare nell’individuazione o nel riconoscimento di quello che ha qualità, che è qualità.
Forse si potrebbe dire che ha qualità, che è qualità, quello che è meglio per una sola persona o per tutti rispetto alla condizione in cui quella sola persona o tutti si trovano.
E’ qualità tutto quello che consente lo sviluppo di qualcuno, che consente il suo benessere o lenisce il suo malessere. E’ qualità il passo in avanti che si può fare, la parola in più che si può dire, la possibilità in più che si ha per essere, per esprimere se stessi. La realizzazione di un desiderio è qualità: di un desiderio sostanziale, un desiderio di quelli che cambiano la vita.
Qualità è la propria presenza al verificarsi di un bisogno dell’altro, ma è anche l’assenza, o comunque la distanza, al verificarsi di un capriccio. Perché la qualità presuppone, implica, pretende sempre una valutazione e conseguentemente una scelta.
Probabilmente la qualità ha sempre una relazione intrinseca con l’ essenziale, con il profondo. L’eccessivo, il sovrabbondante, il superfluo, l’effimero, il superficiale, rappresentano il contrario della qualità, la sua negazione. Il meglio è sempre quello che rappresenta l’essenziale, quello al quale non si può rinunciare se non a condizione di una privazione, di un rammarico, di una mancanza.
Allora, quando ci si confronta con il nuovo che avanza, bisogna valutare la qualità che porta e che produce, la consistenza degli elementi e delle condizioni che introduce, la profondità dei suoi significati, lo spessore delle sue proposte, le prospettive che implica, gli orizzonti verso cui procede. Se poi si propagandano orizzonti nuovi non vuol dire che i nuovi orizzonti siano anche luminosi. Però, accogliere il nuovo non comporta un rifiuto di quello che nuovo non è più, se il non più nuovo ha possibilità di integrarsi e interagire con la novità. In fondo il progresso non è altro che questo: un’integrazione e un’interazione di vecchio e di nuovo. Questo è il progresso. Il resto è moda: che arriva e che passa. A volte lascia un ricordo. Spesso neanche quello. Poi, non si può fare a meno di un riferimento alla prossimità delle figure della Moda e della Morte nel famoso dialogo leopardiano. Prima di adorare i vitelli d’oro del nuovo che avanza forse dovremmo andare a rileggerlo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 14 gennaio 2024]