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Franco Cudazzo, “Solitudine”, 1991granito e pietra calcarea. Artista galatinese purtroppo scomparso da poco tempo e che vogliamo ricordare in quest’occasione espositiva. Pittore ma soprattutto scultore, con una ricca produzione riguardante il marmo, soprattutto quello bianco, di Carrara, ma anche la pietra calcarea, con tematiche che interessano la natura, il sacro, come il ciclo di opere sulla vita di San Francesco d’Assisi, ma anche i sentimenti umani ed ecco che accanto ad opere ridenti, ottimistiche, con la presenza del sole tinteggiato di giallo che sorge dal bianco della pietra, non è infrequente rinvenire opere con colombe morte per richiamare l’attenzione sulla natura o l’ecologia ovvero, come in questo caso, opere che rispecchiano la tristezza di alcuni momenti di solitudine, dove vi è anche un contrasto di colori tra il bianco arancio della pietra ed il grigio scuro del granito levigato, perché il colore della pietra ha avuto non poca importanza nella scelta dei materiali da parte di questo sensibile artista.
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Giovanni Valentini “De natura organica cyborg 4000 d.C.” 1960-90. Si tratta di un baccalà in teca di plexiglas e come si evince dalla datazione, nasce da una ricerca di neo-avanguardia sul rapporto tra scienza e arte, iniziata dall’artista già nei primi anni sessanta, quando da Galatina si trasferì a Milano, un anno prima del suo amico Armando Marrocco che lo seguì subito dopo. L’artista è il primo ad utilizzare il termine “cyborg” nell’arte (termine tratto dagli scienziati Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline) e oggi, che purtroppo non c’è più, noi vogliamo ricordarlo nella sua città di origine. Quella che può apparire un’operazione di decontestualizzazione dell’oggetto, quasi un ready-made, in realtà a mio avviso si tratta di uno studio sulla conservazione e all’opposto sul deterioramento della materia organica, in quanto già nei primi anni settanta nel progetto IBER, l’artista in galleria si era sottoposto lui stesso alla prima fase dell’ibernazione, quella anestesiologica, disteso in un contenitore di plexiglas, e assistito da medici, biologi, ingegneri e tecnici della refrigerazione “Ignis”. In sostanza, come suggerisce il titolo, è una riflessione sullo stupore che la paleontologia del futuro potrebbe suscitare, come del resto avviene in noi al ritrovamento ad esempio dei fossili di dinosauro.
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Armando Marrocco, “Senza titolo”, 1979-80, bronzo. Le sculture qui esposte fanno parte di una serie di opere dedicate allo stesso tema, il motivo floreale, di cui alcune in bronzo, altre in marmo bianco di Carrara. Risalgono ad un periodo particolare dell’artista, quello dell’attenzione verso l’arte sacra, anche se non è questo il soggetto dell’opera in questione, che ha fatto sì che egli si avvicinasse al figurativo e riprendesse la manualità nella scultura, affinata soprattutto nel periodo giovanile dopo un apprendistato addirittura antecedente ma prezioso svolto durante l’adolescenza presso un maestro scalpellino di Galatina. È singolare il fatto che quest’interesse verso il figurativo vada ad inscriversi all’apice della ricerca concettuale dell’artista condotta a Milano dove si era trasferito nel 1962 (performances comportamentali videofilmate proprio dall’amico Antonio Paradiso e quelle con le tele combuste colorate da fumogeni) e della sperimentazione delle “fasciature”, opere di fatto aniconiche. Ma per Marrocco i due interessi viaggiano da sempre su due binari paralleli, perché anche la figura di tanto in tanto ritornava ad affacciarsi nelle opere di “nuova scrittura” e “scrittura attiva”, coltivata rispondendo agli inviti ripetuti di Ugo Carrega.
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Antonio Paradiso, “Senza titolo” anni novanta, acciaio.È un classico “volo” dell’artista con la sagoma di un uccello intagliato con il laser e che appare ” in minus”, mentre la corrispettiva sagoma “in plus” è traslata al suo fianco. Di queste sculture l’artista ne ha realizzate molte, spesso con sagome molteplici intagliate in colonne cilindriche di varia altezza, altre volte scolpite in blocchi monolitici di pietra di Trani, come nel caso degli arredi urbani entrati temporaneamente nel percorso della scultura di Corso Vittorio Emanuele a Milano, dove l’artista pugliese vive e lavora sin dagli anni sessanta. Artista internazionale con vari settori d’interesse dalla scultura alla pittura, alle performances, all’esplorazione del mezzo fotografico e filmico, ai viaggi nel Sahara, all’arte “antropologica”. Le sue opere sono essenziali e minimaliste, tuttavia capaci di comunicare aspetti fondamentali del mondo naturale, rurale e contadino, nonché primordiale archeo-paleontologico.
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Giovanni Gravante, “Deformazioni plastiche 2” , 2010, tecnica mista e tubi in pvc. Oltre all’uso dei materiali classici della scultura, pietra e marmo, nonché l’utilizzo del metallo, più recentemente la sua attenzione si è spostata sull’uso dei materiali di recupero, primi tra tutti la plastica proveniente dell’edilizia o da altro utilizzo. L’artista la deforma a caldo, applicando poi il colore, smalto o acrilici, dando vita a nuovi oggetti che si inseriscono nell’ambiente con una nuova valenza estetica. Un messaggio anche di natura ecologico-ambientale, per queste strutture leggere dall’accostamento cromatico efficace, che con slancio si protendono nelle atmosfere auliche del Chiostro.
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Rizzello Salvatore, “Colloquio romanico”, 2011, legno di eucalipto. Due steli di oltre 200 cm di altezza che sembrano confrontarsi tra di loro e con l’architettura dello storico luogo.La bellezza intrinseca del legno utilizzato è ulteriormente impreziosita dal taglio e dalla presenza di incisioni parallele longitudinali su una delle facce delle steli, che creano una certa movimentazione della luce incidente. L’artista è reduce, da relativamente poco tempo, dall’installazione in Martano di un’opera monumentale in ferro in memoria delle vittime della tragedia di Marcinelle (Belgio) dove l’8 agosto 1956 perirono nel rogo della miniera oltre 300 persone, la maggior parte italiani e molti martanesi.