“Autobiologografia” di Marina Giovannelli

Si dice che la lingua sia materna (o paterna). Sono proprio la severità e l’intransigenza di una madre – attenta affinché l’italiano della figlia abbia a rasentare la perfezione della lingua parlata e scritta senza influenze dialettali, priva di accenti e di errori – a lasciare la forma, il calco e forse le cicatrici. “… così che restavo avvinta al mio sterile italiano ripulito e asettico, da prima della classe e ultima del suo cuore.”

Accostarsi a campioni della parola come Elias Canetti e George Steiner, incontrare nella scrittura Natalia Ginzburg, in particolare il suo Lessico famigliare “… che già dalla ‘gl’ al posto della classica ‘l’, osava sconfinamenti nel palato”, sarà questo il “passepartout” che aprirà alla curiosità nei confronti della lingua e all’universo delle espressioni dialettali dentro al discorso in italiano.

Se una lingua è sempre in relazione a un’esistenza, se una lingua segue le persone, i luoghi, i paesaggi, non sorprende il generale attaccamento alla lingua originaria. Marina Giovannelli si dimostra, ancora una volta, attenta conoscitrice della letteratura ribadendo il legame profondo tra quest’ultima e la vita.

Esistono lingue amiche e lingue nemiche? Si interroga Giovannelli, e risposte possibili le vengono offerte ancora una volta dalla letteratura. Eva Hoffman nel suo Lost in translation (si preferisce lasciare il titolo in lingua inglese perché più significativo ed efficace dell’italiano Come si dice), parla della sua lingua primaria, il polacco, in termini di Eden. Non può che essere così quando le parole corrispondono alle cose, agli uomini, alle donne, alle canzoni, alle esperienze che in quelle parole si riconoscono e si raccontano.

Uomini e donne in fuga: Nabokov, esule dalla Russia rivoluzionaria, dimostra – almeno apparentemente – di sentirsi a proprio agio nello sconfinamento e nell’incrocio di culture. Più complessa la storia biografica di Agota Kristof che rivela come, nonostante le possibilità di vita migliori, lasciare l’Ungheria abbia significato per lei perdere definitivamente, con la lingua di quel paese, l’appartenenza a un popolo.

Ma è nella poesia che per Marina Giovannelli la parola si dimostra in tutta la sua preziosità. Innamorata di Leopardi – predilige L’Infinito a I Sepolcri e Il 5 maggio imparati a memoria per dovere scolastico – nella vivezza degli anni liceali significativo si rivelerà l’incontro con la poesia di Garcìa Lorca, ma sarà Pedro Salinas a svelarle il sommerso vertiginoso della parola. Parola poetica che, anche quando non sempre capìta, viene sentita e accolta in tutta la sua grandezza e intensità.​

Attraverso la cura per ogni sfumatura di significato, lo scandaglio preciso e coraggioso del sé, la parola libera ma determinata, la potenza del “linguaggio segreto delle donne”, della scrittura sui corpi, Marina Giovannelli con “ Autobiologografia”, titolo che sembra coniare un genere letterario, si conferma ancora una volta essere una raffinata e attenta adoratrice della parola.

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