In più, rialloca forza-lavoro da settori a più alta intensità tecnologica (dunque, con maggiori potenzialità per la crescita di lungo periodo) a settori con minore intensità di conoscenza. Costituisce, dunque, una “droga” stagionale che tiene temporaneamente alti i consumi, con effetti positivi quasi esclusivamente sulle rendite immobiliari. L’evidenza empirica legittima questa interpretazione: l’incidenza delle rendite immobiliari sul Pil è in aumento (come del resto accade in tutta Italia) e la ristorazione è uno degli ambiti nei quali è maggiore l’incremento dell’occupazione giovanile: evidentemente con bassi salari e scarsa o nulla formazione. Modelli alternativi ovviamente esistono e sarebbe auspicabile che fossero adeguatamente presi in considerazione e pubblicamente discussi per implementare le misure di politica economica necessarie ad attivarli. In linea generale, occorre premettere che la specializzazione produttiva di un territorio non è un dato di natura: la bellezza di un luogo, di per sé, non autorizza a ritenerlo vocato per sempre esclusivamente ad attrarre visitatori. La specializzazione va in qualche modo indotta, forzata, preservando, nella misura del possibile e nel caso del Salento, la capacità attrattiva derivante dal suo capitale naturale. Il circolo vizioso dell’economia locale è così sintetizzabile: prevalgono piccole dimensioni aziendali e scarsi investimenti in ricerca e sviluppo, con una forte specializzazione produttiva nei servizi a basso valore aggiunto; caratteri strutturali che determinano basse retribuzioni ed elevata incidenza di contratti precari (o del lavoro irregolare), con conseguente bassa domanda interna – e bassa dinamica della produttività del lavoro – non compensata da più che proporzionali flussi di esportazione.
Il Salento può diventare economia della conoscenza, con una crescita sostenibile nel lungo periodo basata su incrementi di produttività, utilizzando altre due dotazioni delle quali dispone, ovvero: cultura diffusa (e la presenza di una importante sede universitaria e di centri di ricerca) e ampia disponibilità di energia (si tratta di una delle aree con maggiore esposizione al sole e al vento del continente europeo). Si tratterebbe di costruire un’economia nella quale siano i flussi di innovazione interni – e non più soltanto la dipendenza dal reddito e dalle mutevoli preferenze di attori esterni, come nel caso del turismo – ad attivare sviluppo, con effetti prevedibili sulla qualità dell’occupazione e sulla capacità produttiva. Si tratterebbe, in definitiva, di puntare su due comparti: energie rinnovabili e filiera del turismo-cultura-benessere. Il comparto cultura-turismo-benessere ha già un’incidenza stimata nell’ordine del 5% sul Pil locale: se collegato all’industria culturale e al comparto del “benessere”, il turismo può essere di buona qualità, sostenibile e destagionalizzato. Le precondizioni per attivare questo percorso sono sostanzialmente due: il potenziamento delle infrastrutture e della pubblica amministrazione (fortemente sottodimensionata rispetto alla media europea). Le stime disponibili (Banca d’Italia, 2022; SVIMEZ, 2022) indicano i seguenti valori dei moltiplicatori: 1,5 per il primo asse di intervento e 1,7 per il secondo, ovvero 1 euro di investimento pubblico genera un incremento di Pil più che proporzionale. È importante aprire una discussione pubblica sul tema per evitare di commettere errori già fatti, dandosi obiettivi fattibili e ragionevoli in termini di aumento dell’intensità tecnologica delle produzioni locali.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 5 gennaio 2024]
Convincere ristoratori, dentro e fuori i locali, gestori di spiagge di smetterla di assordare turisti e compaesani. Il rumore è indifferente peraltro a quei giovani stessi che si cerca di attrarre. Se fai notare il fastidio questi gestori non si arrabbiano… si offendono. Urge campagna educativa.
Sono completamente d’accordo con la lucida analisi di Forges Davanzati che andrebbe estesa a gran parte del settore del turismo ialiano. Temo, tra l’altro, che noi Salentini siamo vittime di un enorme, devastante equivoco (e che molti di noi contribuiscono a perpetuare): la cosiddetta “vocazione” turistica della Terra d’Otranto.