Quanto ci costa risparmiare su istruzione e ricerca scientifica

di Guglielmo Forges Davanzati

La spesa per l’istruzione e la ricerca scientifica, in Italia, è in continua riduzione e anche quest’anno questa tendenza continua, in virtù del definanziamento ulteriore per le Università deciso nella Legge di Stabilità del Governo Meloni. È utile ricordare che l’Italia ha una bassissima spesa per le Università e per i centri di ricerca, ha un’incidenza dei laureati sul totale della popolazione inferiore alla media europea e minori sedi universitarie. È forse superfluo, poi, richiamare il fatto che – come rilevato dall’analisi economica e dall’evidenza fattuale – istruzione e ricerca scientifica sono i fattori fondamentali che trainano la crescita economica nelle economie moderne. La ricerca scientifica è, infatti, alla base delle innovazioni tecnologiche e implica elevata produttività del lavoro. La ricerca scientifica finanziata dallo Stato, inoltre, è sempre stata ed è la precondizione essenziale per le innovazioni nel settore privato. Una eccellente recente ricerca di Acemoglou e Johnson (“Potere e progresso”, 2023) mostra inequivocabilmente come, nella storia umana, un’istruzione diffusa sia sempre stata una leva essenziale di progresso materiale.

La fondamentale motivazione che spiega questo dato (per quanto riguarda il disinvestimento pubblico in questo settore) è da rinvenirsi nel fatto che i Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio hanno scommesso su una crescita trainata dalle esportazioni in regime di moderazione salariale. La competitività di un Paese, infatti, si può giocare essenzialmente su due variabili, il cui rapporto definisce il costo del lavoro per unità di prodotto: bassi salari o elevata produttività. I dati (OCSE, 2023) mostrano che il Paese ha registrato una bassissima dinamica dei salari reali, che, su fonte Istat (unico Paese dell’eurozona), si sono ridotti dal 1990 a oggi.

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