Nelle prime pagine di un libro che s’intitola, semplicemente, Elogio della letteratura, una conversazione fra Zigmunt Bauman e Riccardo Mazzeo, quest’ultimo sostiene che se si vuole rispettare la complessità e l’infinita variegatezza dell’esperienza umana così come viene percepita e vissuta intimamente, è evidente che non si possono ridurre gli individui a “homunculi” identificabili o descrivibili in termini di schemi e statistiche, di dati e fatti oggettivi, e la letteratura è per sua stessa natura ambivalente, metaforica e metonimica, capace di rendere la solidità e la liquidità, l’omogeneità e la pluralità, il liscio della continuità ma anche l’agro, il ruvido, il crocchiante che abitano le nostre esistenze. Non solo siamo carenti delle parole per dire chi siamo e che cosa vogliamo, ma siamo finanche imbeccati, rimpinzati e saturati di parole tanto vuote e inerti quanto luccicanti e attraenti e adescatrici. Sono le parole chiave che ci vengono ripetute dalle sirene dell’ entertainment, dei nuovi sbalorditivi dispositivi tecnologici, dei sempre nuovi irresistibili prodotti di culto che ci consentono di apparire in società come gli altri si aspettano.
Quando il sistema simbolico- culturale propone modelli, espressioni, significati che sono tutti uguali, allora risulta conveniente cercare situazioni che propongono modelli con una loro originalità, che sono unici, irripetibili, inimitabili, o di cui si rivela abbastanza facile riconoscere le imitazioni.
Quando qualcosa è identico a tutto il resto, non si può fare altro che cercare il diverso dal resto. Quando tutto risponde ad una concordanza, ad una conformità, ad una convergenza, non si può fare altro che cercare una discordanza, una difformità, una divergenza. Quando tutti i personaggi e i luoghi e i discorsi si rassomigliano, non si può fare altro che cercare personaggi e luoghi e discorsi caratterizzati dalla dissomiglianza.
I classici mostrano il pensiero diverso, personalità diverse, una molteplicità di situazioni e condizioni, una pluralità di esperienze.
Nel tempo del conformismo consapevole o inconsapevole, dell’impaludamento dei significati, dell’opacità delle espressioni, abbiamo bisogno di una autenticità da contrapporre all’inautentico, di una straordinarietà con cui contrastare l’uggia dell’ordinario. Per tentare di scampare all’assedio della banalità, della grigia superficialità. Forse, mentre tutti dicono di sì, mentre noi stessi diciamo a tutto e a tutti di sì, mentre chiediamo quello che chiedono tutti, mentre rispondiamo come rispondono tutti, potremmo cercare di imparare a domandare ed a rispondere, innanzitutto a noi stessi, sinceramente, confrontandoci a tu per tu con quei personaggi straordinari che vivono nelle pagine di libri che il tempo non invecchia ma rinvigorisce ad ogni circostanza dell’esistenza.
Forse, proprio in questo tempo, i classici rappresentano gli unici strumenti culturali in grado di esprimere l’unicità della condizione umana, di raccontarci non solo come siamo stati e come siamo, ma anche come sarà il mondo domani, domani l’altro, come saranno coloro che lo abiteranno. In modo da poterci regolare sul da farsi.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 24 dicembre 2023]