Il pittore si allontana dallo storicismo di tradizione letteraria scegliendo «di tutti i possibili momenti del destino di Luisa, […] quello ricostruibile nel quadro della sua esperienza domestica: Luisa è sua moglie (M. Biancale, 1933), che siede in uno spazio che ha le dimensioni di una modesta stanza d’alloggio […]. Toma trasportava così Luisa su di un piano che evocava mondi di esperienze quotidiane […]. La figura storica divenne una donna che appariva nota e familiare agli osservatori dell’epoca»[3]. Ma soprattutto Toma si rende contemporaneo, a noi s’intende, affrontando la tematica femminile in una chiave di lettura lontana dal suo tempo, anticipando la centralità del ruolo femminile nella società di oggi: «Al pittoresco ambiente napoletano contrasta la severa, taciturna ricerca tonale di G. Toma, parimenti sdegnoso del sermone e della barzelletta (morellismo, ndr); ed assorto in un suo pensiero della storia che s’intreccia alla vicenda umana e non la trascende (Luisa Sanfelice in carcere), non è gesta di grandi, ma vita di popolo, dolorosa realtà sociale (La ruota dell’Annunziata)»[4].
È necessario osservare come l’autore realizzi la Sanfelice a più riprese, due volte in carcere (1874 e 1877) e una volta deportata (1884), più alcuni studi d’interni e di figura noti prevalentemente agli addetti[5]; ma sono numerose le opere con soggetto femminile caratterizzanti la produzione tomiana, probabilmente il vero tratto distintivo, assoluto si potrebbe commentare, che rende il pittore salentino difficilmente collocabile nella pittoresca “scuola napoletana”: «Le donne, la cui condizione sociale era di inferiorità rispetto agli uomini, sono protagoniste nei dipinti di Toma. La sua pittura riusciva a riscattare queste figure dando piena dignità alla narrazione utilizzando composizioni auliche senza mai scadere nel sentimentalismo. È qui la vera grandezza dell’artista e la singolarità della sua arte, nuova in Italia e precoce anche in Europa»[6].
Rilevanti novità sono riscontrabili anche nell’uso del tono di colore prevalente: Gioacchino Toma, il dato ormai dovrebbe essere assunto, è un «pittore della luce»[7], i parametri della sua pittura dialogano alla pari con quelli di altri grandi autori continentali; l’uso che fa del grigio è assolutamente allineato con le allora recenti ricerche di Goethe prima e Rood poi; ricerche già avviate da Isaac Newton con gli studi di ottica, che lo avevano condotto alla scoperta della scomposizione della luce nei sette colori dello spettro solare, dai quali scaturì la teoria dei colori complementari. La pubblicazione del libro di J. W. von Goethe (1820 ca.) «La teoria dei colori» aprì la strada a pubblicazioni successive: «nel 1879 apparve il libro di (Odgen Nicholas) Rood, dal titolo Teoria dei colori e sua applicazione all’arte e all’industria […]. Il libro ebbe enorme successo e se ne stamparono quattro edizioni nel volgere di tre anni»[8].
Toma, c’è da dire, anticipando le più recenti tendenze del secondo Novecento, e con spirito certamente diverso, pose l’immagine della donna al centro della sua figurazione. L’approccio è decisamente in anticipo sui tempi, soprattutto nella lettura proposta della figura di Luisa Sanfelice, atipica e contro ogni fondamento culturale del secolo diciannovesimo: destando, fatto per nulla scontato, l’interesse della critica europea del secondo Novecento. Questo tratto è essenziale, l’autore è riconosciuto a livello continentale come un pittore estraneo al concetto di «scuola napoletana», fatta di altre tematiche, di altro colorismo e di tutt’altra sensibilità. L’idillio a cui allude Susanne von Falkenhausen è quello costruito da Gioacchino Toma intorno al titolo, così facendo l’autore presuppone «si sappia che lo spazio rappresentato è la cella di una prigione, cosa che in fondo è suggerita soltanto dalla scarsità di arredi e della grata della finestra. Il locale ha tuttavia aspetto relativamente accogliente, poiché è chiaro e spazioso. Luisa Sanfelice ha semplici vesti borghesi, cuce ed è evidentemente incinta. L’abbigliamento, descritto in maniera estremamente sobria, non fa alcuna allusione al contesto storico in cui è inserita la persona […]. Una sobria e sdrammatizzante scelta di oggetti e colori, una concezione estremamente semplice dello spazio, una tranquilla regia della luce»[9].
Molto verosimilmente Toma volle narrare quel caratteristico modo di fare “domestico”, quell’essere sempre affaccendate, quell’innata capacità delle donne di rendere «relativamente accogliente» anche l’angusto spazio di una prigione, in netto contrasto con la prigione di Roma o morte (1863): uno spazio popolato da uomini rivoluzionari, seduti su un giaciglio di paglia occupati a far niente, tra il fumo della pipa, una lettura occasionale e uno slogan graffito sul muro scalcinato della cella che funge allo stesso tempo da titolo del quadro.
In fin dei conti, tornando a Luisa Sanfelice in carcere, «il tema ideale di questo idillio è la vita familiare domestica […] che può contrapporsi alla minaccia, alla turbolenza e alle frenetiche passioni del mondo esterno»[10]. Ed è qui che, come conclude l’autrice tedesca, («Der Mann, Maler und Betrachter projiziert die Harmonie in eine Enge, die die Frau leben „darf“ bzw. Muβ») «L’uomo, il pittore e l’osservatore proietta l’armonia dentro uno spazio ristretto in cui la donna “può”, deve vivere»[11].
[“il filo di Aracne”, n. 3,
giugno-settembre 2023]
[1] S. von Falkenhausen, Eine Idylle des nationalen Italien – Luisa Sanfelice in carcere von Gioacchino Toma, in Kritische Berichte, Bd. 9 – n. 4/5, Ed. Anabas, Kromsdorf, DE, 1981 (pp. 38-62);
[2] Ibid.;
[3] Ibid.;
[4] G. C. Argan, L’arte moderna 1770-1970, Sansoni, Firenze, 1970;
[5] M. Biancale, Gioacchino Toma, Società Editrice di Novissima, Roma, 1933 (Tavv. XXIV., XXV., XXVI.);
[6] Il mondo delle donne nella pittura di Toma, Quotidiano di Puglia (Lecce), 21 gennaio 2017;
[7] M. Galiotta, Gioacchino Toma – il pittore della luce, in Puglia&Mare, n. 25/26, Gallipoli, giugno 2019;
[8] G. Argentieri, La pittura italiana dell’Ottocento, A. Mondadori, Verona, 1970;
[9] S. von Falkenhausen, Op. Cit.;
[10] Ibid.;
[11] Ibid.