Asinerie. L’asinello lemme lemme lungo la via di Betlemme…

Avremo così modo ancora una volta di visitare queste magiche realizzazioni nei giorni delle imminenti festività. Si avrà solo l’imbarazzo della scelta, fra il centro storico di Copertino, dove si tiene uno dei più imponenti e suggestivi presepi viventi del Salento, ed il presepe poliscenico di Acquarica del Capo, il presepe rupestre di Alliste, realizzato in collina, e i ben quattro presepi allestiti a Castro, il presepe che si tiene nel complesso di Leuca Piccola, a Barbarano di Morciano, o gli innumerevoli presepi di Gallipoli, il presepe sottomarino di Otranto, proposto dal Centro Sommozzatori della Lega Navale, nella profondità degli abissi, o la natività che viene dal mare a Santa Caterina (Nardò) dove, dopo la messa di mezzanotte, i fedeli assistono all’arrivo del Bambin Gesù trasportato su una barca fin sulla spiaggetta, l’antichissimo presepe allestito presso il Santuario di Montevergine, a Palmariggi, il presepe vivente di Vaste, frazione di Poggiardo, per non parlare poi di quello di Tricase che si tiene sul Monte Orco, il più grande presepe vivente pugliese, in quella che è stata ribattezzata la “Betlemme d’Italia”. Visitando i presepi, avremo modo di ammirare la splendida scena della Natività, con la Madonna e San Giuseppe, il bambino deposto nella mangiatoia e il bue e l’asino a scaldarlo col loro fiato. Ma perché ci occupiamo di presepi? In realtà, la nostra attenzione va ad uno dei protagonisti della grotta di Betlemme, ossia all’asino.

Molti anni fa scrissi un simpatico pezzo su questo quadrupede così utile agli uomini specie in passato, ma anche così bistrattato. (Paolo Vincenti, Asinerie, in L’osceno del villaggio, Novoli, Argomenti edizioni, 2016, pp. 45-48).

“A e i o u: l’asino che sei tu”: da piccoli ripetevamo spesso questa tiritera. Era indirizzata, a scuola, ai compagni più negligenti e sfaticati, o meno versati per lo studio, i quali venivano fatti oggetto di scherno dai più bravi e volenterosi. “Chi non sa leggere la sua scrittura, è un asino di natura”: questa veniva riservata a chi, come me, era un po’ disordinato ed aveva una pessima calligrafia. Per fortuna, almeno ai miei tempi, il peggiore della classe non era costretto ad indossare il cappello da asino o ad essere additato all’attenzione generale quale esempio negativo, come mi riferivano i miei genitori accadesse invece una volta; altrimenti sai che danni sulla psiche dei miei compagni già minata da una spaventosa sottocultura e dalle misere condizioni di vita delle loro famiglie? Cioè questi miei coetanei, piuttosto che tossicodipendenti, come quasi tutti sono diventati, sarebbero stati dei potenziali serial killer o maniaci. Benedetta la droga, verrebbe da dire, perchè, rinchiudendoli nelle comunità di recupero, li ha sottratti ad un destino di follia omicida. Infatti, alcuni di essi oggi sono cittadini esemplari, ottimi genitori ed addirittura educatori e catechisti. Ma torniamo al nostro asinello, inteso non come il simbolo del partito dei “Democratici” di Romano Prodi, che lo presero a prestito da quello più noto del Partito Democratico statunitense, bensì proprio come il famoso mammifero quadrupede della famiglia degli equidi. Chissà, mi chiedevo a volte, se l’asino abbia mai sofferto di essere la brutta copia del cavallo. Il cavallo, altero, di nobile figura, cantato da scrittori e poeti, l’asinello, umile, dimesso, sfruttato e da tutti trascurato. Il cavallo che nitrisce e l’asino che raglia, il cavallo, bizzoso, superbo, compagno di avventure di eroi, re e cavalieri, presente nell’araldica delle nobili famiglie del passato, l’asino, mite, lavoratore, schivo e represso. Nei primi secoli del Cristianesimo, durante le persecuzioni, i cristiani erano accusati dei più infami delitti ed orribili misfatti. Minucio Felice, un autore del III secolo, nella sua opera Octavius, riferisce che fra le accuse vi erano quelle di sacrifici umani al momento dell’iniziazione, di rendere onore ad un uomo punito con la crocifissione e di adorare una testa d’asino. In un graffito inciso sulla parete di una casa sul Palatino a Roma, è raffigurato proprio un uomo crocefisso con la testa d’asino. Alla sinistra è rappresentato un ragazzo con la scritta in greco: “Alexamenos adora il suo dio”. Leggiamo nell’opera di Minucio Felice: “Sento dire che essi consacrano e adorano la testa dell’animale più vile, l’asino, spinti da non so quale credenza…”.  In una favola di Esopo, Il leone e l’asino selvatico, l’asinello si vanta di aver messo in fuga alcune capre e il leone risponde che quelle sono scappate solo perché ingannate dal suo raglio, non sapendo che in realtà il verso provenisse da un mite animale.

A proposito del raglio, tutti conoscerete l’espressione “raglio d’asino non arriva al cielo”. Essa deriva da un più antico detto medioevale: “Caelos non penetrato ratio, quam canis orat”, ossia “La preghiera non entra nei cieli se il cane prega”. Sul significato metaforico del detto, si sono alternate due diverse spiegazioni: la più diffusa è quella secondo cui le dicerie o le cattiverie delle persone malvagie non scalfiscono gli onesti e gli incorrotti, cioè le malevolenze degli ignoranti non sono ascoltate da chi è superiore per cultura; secondo l’altra spiegazione invece, le lamentele della povera gente (sottomessa come l’asino) non sono ascoltate in alto, cioè da chi comanda, nei palazzi del potere. Secondo il Physiologus, il famoso bestiario medievale, di autore ignoto, composto ad Alessandria d’Egitto, tra il II e il III secolo d.C., siccome nella notte del solstizio d’inverno gli asini selvatici mandavano un forte raglio, questo sarebbe metafora del diavolo che si indignava perché di lì a breve, nella notte del 25 dicembre, sarebbe nato Gesù a spezzare con la sua luce le tenebre, notoriamente regno del male. (Una delle edizioni più citate dell’opera è Il Fisiologo, a cura di Francesco Zambon, Milano, Adelphi, 1975). Ciò rimanda proprio all’asinello della natività: secondo una malevola leggenda popolare, nella grotta, mentre il bue badava solo a svolgere bene il proprio compito, ossia scaldare il divin bambino, l’asino si metteva a ragliare, disturbando il riposo di Gesù ed indispettendo Maria e Giuseppe e per questo sarebbe stato condannato ad un destino subalterno a causa della sua cronica stupidità. La presenza dell’asino nella grotta di Betlemme è quindi al tempo stesso riscatto e condanna per il nostro ciuchino.

L’asino, infatti, come bestia da soma, è sempre stato utilizzato per i lavori più pesanti, anche se poi dà un latte molto buono e simile a quello della donna.

“Sei proprio un asino”: quante volte abbiamo ricevuto questa offesa da piccoli? Ciò a causa della testardaggine tipica dell’animale, “o ciucciu”, come dicono i napoletani.

Quanto alla distribuzione geografica degli asini, l’animale è molto più presente nel continente asiatico che in quello europeo. Solo in Cina si contano circa 11 milioni di asini e in India 1 milione e mezzo. In Europa, il Portogallo e la Grecia hanno il maggior numero di capi. Ogni razza d’asino ha le sue particolarità. Basta non confonderlo con il mulo o bardotto, che è dato dall’incrocio fra asino e cavallo.

Queste le principali razze italiane. Amiata: razza originaria della Toscana e per l’esattezza del Monte Amiata, provincia di Grosseto, di colore grigio chiaro con riga mulina e croce scapolare (di particolare bellezza). Poi abbiamo l’asino dei Monti Lepini, a cavallo tra la province di Latina e Roma, di colore grigio scuro, con o senza riga mulina. L’asino calabrese, dal colore del mantello grigio marrone. L’Asino Grigio Siciliano; il nostro Asino di Martina Franca, uno dei più pregiati, con mantello morello e con addome, interno delle cosce e muso chiari. In Sardegna c’è un’isola che da loro prende il nome, l’Asinara, dove i bei ciuchi albini dagli occhi azzurri facevano compagnia agli ergastolani della colonia penale. L’asino sardo con riga mulina crociata, ha il bordo scuro delle orecchie. Ancora, l’Asino di Pantelleria, con mantello morello, riga mulina e muso chiaro. L’asino del Ragusano, che a differenza degli altri ha un pelo molto più folto. L’asino romagnolo (in particolare Provincia di Forlì), uno dei più belli e imponenti, dal pelo prevalentemente chiaro. L’Asino Viterbese, anche detto Asino di Allumiere, uno dei più piccoli, bicolore, grigio chiaro e bianco.

O ciucciariello è molto presente anche in letteratura. Nella sua opera Metamorfosi, altresì conosciuta come L’asino d’oro, lo scrittore Apuleio (II Secolo d.C.), che si rifà a Lucio di Patre, di poco precedente, racconta la storia di Lucio, il quale in Tessaglia conosce una signora esperta di arti magiche e, spinto da forte curiosità, cerca di carpirne i segreti. Introdotto dalla servetta Fotide nella camera della maga, egli, sbagliando ad utilizzare un unguento, si trasforma in un perfetto asino che però conserva i sentimenti umani. Dopo una lunga serie di peripezie, Lucio si ritrova in riva al mare, dove prega la Dea Iside che metta fine alla animalesca trasformazione e viene ascoltato dalla dea, che gli chiede in cambio che egli diventi un adepto del suo culto. Lucio, mangiando una corona di rose, ritorna uomo. (Per le opere classiche non si forniscono riferimenti bibliografici per non snaturare questo testo che vuole essere di “leggerissima” divulgazione). Teniamo presente che l’asino, forse quello di Apuleio, è raffigurato anche nello spettacolare mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, realizzato dal pictor imaginarius Pantaleone (Grazio Gianfreda, Il Mosaico di Otranto. Biblioteca Medievale in immagini, Lecce, Grifo Editore, 2005, p. 115). La stessa storia, che attinge molto alla novellistica orientale (pensiamo a Le mille e una notte), viene ripresa dallo scrittore greco Luciano di Samosata, in Lucio o l’asino, e ci ricorda anche quella del collodiano Pinocchio che, insieme all’amico Lucignolo, viene trasformato in ciuco e poi si ritrasforma in burattino, mentre il suo cattivo compagno rimane asino. Insomma, la letteratura non riserva un buon trattamento a questo animale, come è confermato da Verga quando in Rosso malpelo, a proposito del carattere cocciuto dell’asino, scrive: “ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se li pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare modo loro.”; e ancora: “L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi.”

Chi si dedica agli studi ed ha a che fare con correzioni di bozze e pubblicazioni sa cosa bene cosa si intenda per “refusi”, dannazione di ogni editor o scrittore. Spesso capita a chi debba correggere i saggi degli altri studiosi di incappare in errori talmente grossolani da imprecare, non sentito, alla volta degli stessi, i quali meriterebbero lo sgradevole epiteto di “asino”. È capitato spesso anche a me che per ventura o per scelta mi trovo “costretto” all’ingrato compito di correttore di bozze.

Ma non sarei credibile se non cominciassi da me medesimo.  Il mio libro Nero Notte. Romanza di amore e morte, pubblicato tanti anni fa, conteneva un numero imprecisato di “svarioni”, così tanti che tacer non posso. Forse il più grave era “un idiota” scritto con l’apostrofo. A farmi notare i refusi, il solito professore del tempo che fu, di quelli che oggi bisogna cercare col lanternino come faceva Diogene: un professore vecchio stampo, molto rigoroso, a cui portavo i miei libri sempre troppo tardi, ossia quando erano già pubblicati, per paura del suo implacabile giudizio. Il professore, oggi non più fra noi, era Cosimo Corvaglia, al quale a distanza di tanti anni ho dedicato una poesia contenuta nel libro Saturae (Paolo Vincenti, Saturae, Tuglie, Agave edizioni, 2021, pp. 52.53) cioè Subductisupercilicarptores [“subductisupercilicarptor” è la parola latina più lunga che si conosca, attribuita al poeta Levio (inizio I sec. a. C.) e significa “colui che aggrotta le sopracciglia”]. Non provai nemmeno ad attribuire la responsabilità alla tipografia oppure alla casa editrice, dicendo che di vere case editrici non esistono qui nel Salento, essendo esse solo delle stamperie; non provai nemmeno a chiamare in causa il titivillus, cioè il demonietto delle tipografie (Antonio Verri ci intitolò anche una rivista), quel folletto dispettoso che porta i refusi, o ancora a dar la colpa al computer o alla trasmissione elettronica che fa sballare i dati. La firma sul libro era mia e mia la responsabilità di quegli strafalcioni. Asino io, dunque, quanto e più di tutti.  Detto ciò, bisogna ammettere che oggi la scena pubblica è piena di personaggi famosi che, a tutti i livelli, siano giornalisti o conduttori televisivi, economisti, avvocati o politici, financo scrittori e studiosi, bistrattano la lingua italiana e la cui asinità, a loro maggior danno, viene accentuata dalla sovraesposizione mediatica. Tanto più è in alto la posizione che occupano nella scala sociale, tanto più sarà fragorosa la caduta: ma questa è la vita (“O quam cito transit gloria mundi“). A volte, specie i politici, si rinfacciano gli strafalcioni a vicenda: ed è proprio il caso dell’adagio “il bue dice all’asino cornuto”.  La categoria dei politici, si sa, è quella più detestata.

Anche fra i personaggi pubblici però ci sono somari e somari. Ci sono quelli simpatici, che ispirano affetto e tenerezza e ci sono quelli antipatici, pedanti: la carota ai primi, il basto ai secondi. Ma è proprio il nostro asinello, inteso stavolta come quadrupede, che ci fa sbollentare la rabbia e ci riporta il sorriso (cercare, in rete, il filmato dell’asino che ride per credere). Nel film Asini con Claudio Bisio, del 1999, la storia è ambientata in un collegio francescano dove si trovano ragazzi un po’ disagiati, asini a scuola, insieme ad asini veri, e dove il protagonista Bisio viene mandato a fare l’insegnante di ginnastica. L’immagine dell’asinello spesso decora spillette, magliette e gadget vari. Rimane per noi una figura famigliare. Pensiamo ad Ih-Oh, l’asinello di peluche amico di Winnie the Pooh, che chiunque abbia avuto figli piccoli, conosce bene, così come Ciuchino, l’asino parlante dei film di animazione della serie Shrek. Il quadrupede può aiutare l’uomo multiproblematico di oggi con la onoterapia. Insomma, che il ciuchino sia la mascotte non solo di queste festività natalizie ma anche delle nostre giornate più liete.

[2016]

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