Umiltà e altruismo trasformano gli uomini in grandi campioni

D’altra parte, a rifletterci un attimo soltanto, il desiderio di primeggiare ad ogni costo, senza considerare che è la qualità dell’essere e del fare la condizione che conta, può anche costituire l’espressione della mancanza di un dialogo sereno con se stessi. Forse non riescono a trovare la risposta alla domanda sul perché si fa qualcosa, soprattutto per chi si fa qualcosa. Fin quando quello che si fa rimane o si riduce soltanto ad una promozione personale, ad una vacua esposizione nella vetrina lungo la strada delle vanità, si può essere certi che gli altri nemmeno se ne accorgono o se anche se ne accorgono rimangono indifferenti. Gli altri se ne accorgono e ne sono riconoscenti, quando in quello che qualcuno fa possono vedere che si tratta di un dono per loro.

Il pubblico si accorge immediatamente se l’attore sul palcoscenico sta recitando soltanto per se stesso o se gli sta facendo il dono di una bellezza.   

Se in quello che si fa in qualche modo sono coinvolti gli altri, c’è bisogno di avere consapevolezza che saranno gli altri ad attribuire un senso.

Per cui sfrenarsi nella corsa, bruciare tappe e bruciare sentimenti, alzare cattedrali, scolpire statue non servirà a niente; nemmeno ricreare l’universo servirebbe a niente se anche la formica non avesse la certezza che l’universo è stato ricreato perché essa possa sentirsi al centro.

Per esempio: non poteva essere in competizione con nessuno, Edson Arantes do Nascimento, per tutto il mondo Pelè. Anche quando camminava lento con il deambulatore, mantenendosi  in piedi con equilibrio precario, barcollante, vacillante, era sempre lui: campione del mondo per tre volte, 1281 gol in 1363 partite; Pérola Negra, la perla nera. ‘O Rei. Il Re. Alla fine di Italia- Brasile, ai Mondiali del Settanta, Tarcisio Burgnich, il mastino che lo aveva marcato, disse così: prima della partita mi ripetevo che era di carne e ossa come chiunque, ma mi sbagliavo.   Forse poteva sentirsi in competizione soltanto con João Ramos do Nascimento:  Dondinho. Suo padre. Perché lui, Pelè, a segnare cinque volte di testa in una sola partita non c’è mai riuscito. Però, forse di questo era contento. A volte si pretende di lasciare alla propria origine qualcosa di insuperato. Forse Pelè ha voluto lasciare a Dondinho quei cinque gol di testa insuperati. Come una riconoscenza, un omaggio, una gratitudine verso il padre, i padri.

Per esempio:non poteva essere in competizione con nessuno Muhammad Alì, nato Cassius Marcellus Clay. Neanche quando sperduto, incerto, esitante, fragile, insicuro, tremava di Parkinson. Lui, sfrontato, spaccone, sbruffone, che provocava e insultava gli avversari, che prima del match disse a Foreman di aver fatto a botte con un coccodrillo, lottato contro una balena, ammanettato i lampi, sbattuto in galera i tuoni, di aver ammazzato una roccia, ferito una pietra, non poteva essere in competizione con nessuno. A lui, Elvis Presley, Fidel Castro, Frank Sinatra, Nelson Mandela, Sylvester Stallone, avevano chiesto l’autografo.  Non poteva essere in competizione con nessuno.

Poi ci sono uomini normali: che però durante il cammino che hanno fatto e che continuano a fare  hanno avuto la fortuna di incontrare maestri e  compagni   di strada  straordinari, campioni di piccole, piccolissime cose, dai quali hanno contagiato la passione di orientare la propria arte e  il proprio mestiere verso una qualche utilità per qualcuno. Da costoro hanno imparato la teoria e la prassi dell’umiltà e dell’altruismo. Non possono essere in competizione con nessuno. Magari, di tanto in tanto, gli ritorna alla mente quella frase dei “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese, che dice così: l’uomo mortale non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.

“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 10 dicembre 2023

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