In larga misura, è quanto sta succedendo, come dimostra il caso (quantitativamente crescente) dei Neet – ovvero di individui, soprattutto giovani, che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione – e di coloro che si dimettono. La riduzione del numero di individui in cerca di occupazione è anche dovuto al saldo demografico negativo e alle emigrazioni. Viene stimato che, a ottobre 2023, gli occupati sono aumentati di 27 mila unità e i disoccupati sono aumentati di 45 mila unità. Non vi è, dunque, molto da vantarsi e risulta confermato l’effetto illusorio del calcolo del tasso di disoccupazione. Per comprendere ulteriormente la questione, è sufficiente soffermarsi sul nesso fra occupazione e crescita. Con un aumento significativo dell’occupazione, la crescita economica sarebbe ben superiore all’attuale modesto 0.7% (previsione della Commissione europea per il 2024). Vi è poi anche da considerare che l’accentuata deindustrializzazione del Paese sta comportando cali significativi di produttività e, dunque, incrementi di occupazione tali da compensare questo problema. Non è poi possibile stabilire nessun nesso fra il superamento del reddito di cittadinanza e l’aumento del tasso di disoccupazione. Quello che è noto, al momento, è semmai che coloro che percepivano il RdC – e che, per la nuova normativa, hanno dovuto seguire corsi di formazione – sono in larghissima parte non ancora occupati e, peraltro, spesso senza nessuna forma di sussidio. E’ inoltre importante notare che la quasi totalità dei nuovi occupati ha un contratto precario. Se anche cresce (poco) l’occupazione (ma, come si è visto, cresce anche la disoccupazione), non migliora la qualità dell’occupazione. La deindustrializzazione accentuata dell’economia italiana comporta infatti che la domanda di lavoro delle imprese si collochi in segmenti del mercato del lavoro con bassa specializzazione. Nel Mezzogiorno, il fenomeno è più accentuato: sia sufficiente considerare che la ristorazione è il comparto che esprime molta e crescente domanda di lavoro. Il problema è poi amplificato dal correlato dell’eccesso di istruzione e delle migrazioni (soprattutto giovanili e intellettuali): molti giovani istruiti non trovano un impiego coerente con la qualificazione acquisita e trasferiscono il loro potenziale produttivo da Sud a Nord o dall’Italia all’estero. Sul fronte dell’occupazione, inoltre, due recenti scelte del Governo non depongono bene. Innanzitutto, la revisione del PNRR, con il lascito di opere forse incompiute da parte dei piccoli Comuni, frena molti investimenti privati. In secondo luogo, come attestato dall’ultimo rapporto Cresme (dicembre 2023), il superamento del superbonus 110% ha già prodotto un crollo degli investimenti nel cruciale settore delle costruzioni di circa il 65% nell’ultimo anno. Ma la principale fonte di preoccupazione riguarda l’effetto, nel mercato del lavoro italiano, delle dinamiche globali, a partire dalla recessione tedesca. L’economia italiana – soprattutto al Nord – è fortemente sincronizzata con il ciclo economico della Germania e vi sono fondate ragioni per temere un consistente calo di ordinativi per le nostre produzioni intermedie e, dunque, a seguire dell’occupazione interna.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 9 dicembre 2023]