Inchiostri 90. L’aquilone di Emilio Vedova

di Antonio Devicienti

Pensare il volo, pensarlo come slancio della mente e dello sguardo, identificarlo con il necessitato senso di libertà e con il sogno, lucidissimo, di menti intese a liberarsi dal giogo della gravità.

Una fotografia mostra Emilio Vedova mentre effettua una prova di lancio dell’aquilone dipinto con gli stessi motivi e con i medesimi colori che caratterizzano la serie in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88: il Canale della Giudecca e la Chiesa del Redentore alle sue spalle, l’artista, macchiato di colore e ritto nello sforzo del lancio, dedica serietà e impegno al progetto che chiama un Drachen per Osaka con il quale partecipa all’iniziativa di ampio respiro del Goethe Institut della città giapponese (Bilder für den Himmel. Kunstdrachen) e che implica che molti artisti disegnino o dipingano gli aquiloni che maestri giapponesi avrebbero assemblato e che per almeno tre anni sarebbero stati lanciati e fatti volare in vari luoghi del pianeta.
L’arte energica e materica di Emilio Vedova sa farsi aerea e lieve, seriamente giocosa: senza per nulla scollarsi dal ductus della ricerca artistica e politica vedoviana.
L’aquilone, accogliendo anche un’antichissima tradizione giapponese che ne fa un mezzo di contatto tra terra e cielo, si leverà nel cielo sollevato e sostenuto dal vento e i segni pittorici di Vedova sono i medesimi, pura energia di pensiero, dei dischi e dei plurimi, furibondi atti di pensiero.

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