Per un breve profilo artistico di Antonio Bortone

Una delle sue opere maggiori fu Il Fanfulla (1877), che gli valse l’appellativo di “mago salentino dello scalpello”, come lo definì Brizio De Santis, nel basamento dell’opera. Il Fanfulla gli diede fama anche in Francia, poiché all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 il modello in gesso ottenne la medaglia di 3° grado. Questo monumento venne fuso in bronzo nel 1921 e inaugurato l’anno seguente. Oggetto pochi anni fa di un intervento di restauro, inizialmente allocato nella centrale Piazza Sant’Oronzo di Lecce, dopo essere stato a lungo nella Villa Comunale della stessa città, si trova oggi in Piazza Raimondello Orsini. Scrive Aldo de Bernart: «Antonio Bortone è scolpito sul plinto, che regge la famosa statua, nel testo epigrafico del prof. Brizio De Santis: Sono/ Tito da Lodi /detto il Fanfulla/ un mago di queste contrade /Antonio Bortone/ mi tramutò in bronzo/ Lecce ospitale mi volle qui/ ma qui e dovunque/ Dio e l’Italia nel cuore/ affiliamo la spada/ contro ogni prepotenza/ contro ogni viltà/ MCMXXII. La statua raffigura il Fanfulla, uno dei tredici cavalieri della “Disfida di Barletta”, ritratto ormai avanti negli anni quando orbo di un occhio e col saio domenicano faceva penitenza nel fiorentino convento di S. Marco, mentre affila la misericordia, un acuminato spadino che all’inquieto lodigiano era servito in tante battaglie»[2]. Il personaggio di Fanfulla da Lodi è tratto dal romanzo di Massimo D’Azeglio, Ettore Ferramosca, o la disfida di Barletta del 1833 (incentrato sulla contesa fra tredici cavalieri italiani e tredici francesi, combattuta nelle campagne pugliesi nel 1503), e poi dal successivo Niccolò de’ Lapi ovvero i Palleschi e i Piagnoni del 1841, ambientato durante l’assedio di Firenze del 1530. L’opera diede al suo autore grandissima notorietà e l’apprezzamento della stampa dell’epoca. Si legge infatti: “Capolavoro pressoché sconosciuto in margine ad una piccola piazza di Lecce, è il Fanfulla da Lodi del pugliese Antonio Bortone. […] Nel Fanfulla l’azione eroica è ricostruita con piena compenetrazione nel soggetto; la naturalezza plastica risulta, nell’assieme aspro e grezzo, da un’armonia temperatissima fra forma, attributi e sostanza. Il prode vecchio ormai guercio aveva chiesto ricovero nel convento fiorentino di San Marco, ma al mugghiar delle prime bombe dell’Orange nel cielo della città tradita, scorda di aver addosso il saio di novizio domenicano e sentendosi ancora in petto il bollore guerresco, raccatta la riposta armatura che conobbe le prodezze di Barletta e il Sacco di Roma, si mette a brunire l’elmo e la corazza. Quanta schiettezza d’animo nell’atto che rivela la fremente intolleranza di gioghi e minacce straniere! Non poterono non avvertirla i parigini che, all’Esposizione Universale del 1878 furono tanto presi dalla estrosa statua bronzea da scordare persino che doveva essere stato il Cavaliere di Lodi a disarcionare il primo cavaliere di Francia nella prima disfida di Barletta”[3]. Ancora, si scrisse che il Bortone “compose un monumento antimonumentale per eccellenza e pur impressionante e anche nuovo, per cui merita un posto anche nelle vicende della scultura italiana della seconda metà dell’Ottocento”[4].

Degno di nota è anche il monumento alla Duchessa Francesca Capece di Maglie, realizzato nel 1896-98. Si deve ad Alessandro De Donno, grande amico e protettore di Antonio Bortone, la proposta dell’erezione della statua, per la quale si costituì a Maglie anche un comitato cittadino. L’opera, realizzata in marmo, in stile neoclassico, raffigura la Duchessa ormai anziana ma dall’espressione serena, con un fanciullo accanto, seminudo e con il perizoma alla greca, che regge con la mano sinistra lo scudo civico di Maglie e riceve con la destra il libro della sapienza dalla Duchessa, allegoria della missione educatrice della nobildonna e del suo istituto. Scrive Ilderosa Laudisa: “Il monumento proponeva due figure trattate in modo ben diverso. La donna, scolpita con meticolosa attenzione ad ogni particolare dell’abbigliamento e del viso, sul quale il tempo e le vicissitudini avevano lasciato evidenti tracce, è una figura reale; sembra quasi un’immagine ricavata da fotografia. Il fanciullo, in quanto figura allegorica, è seminudo, di belle fattezze e fortemente idealizzato. I simboli della Conoscenza e della Fede legano i due personaggi.  Alcuni particolari, quali le mani della Capece sulla spalla del ragazzo e la posizione di quest’ultimo, riportano alla mente una delle opere eseguite nel primo periodo fiorentino: la Carità religiosa”[5].

A Maglie Antonio Bortone fu molto amato, se è vero che diverse committenze gli vennero affidate: oltre alla statua in onore del patriota Oronzio De Donno, situata nella centrale Piazza Capece, anche il busto bronzeo del giovane Salvatore Cezzi (1912-1926), che fu voluto dalla famiglia e inaugurato nel 1831 proprio nell’atrio del Ginnasio-Liceo Capece dove il fanciullo era studente[6].  E ancora, il busto all’Avvocato Nicola De Donno, un “Gladiatore morente” ed un “Ippocrate” per il palazzo del Senatore Vincenzo Tamborino, un busto a Achille Tamborino, i busti per Zoraide e Maria Luisa, ovvero moglie e figlia dell’On. Paolo Tamborino[7].

All’inaugurazione della statua della Capece, lo scultore Bortone non era presente, ma la stampa locale e nazionale ne diede ampio risalto. “Credo che sia il più bel monumento alla cultura di tutto il Salento”, scrive Aldo de Bernart, in un articolo dedicato allo studioso Nicola De Donno, che tanto ha scritto proprio sulla Duchessa e sull’Istituto Capece[8]. Sul plinto della statua, l’iscrizione “Lettere e Religione: Luce intellettual piena d’amore” (tratta dal XXX Canto del Paradiso di Dante) e “ego plantavi… sed Deus incrementum dedit” (versetti tratti dalla Lettera di San Paolo ai Corinzi)[9]. “Il seme”, scrive Emilio Panarese, “è quello simbolico della beneficenza, della promozione civile e culturale magliese, della donazione di tutti i beni ducali…”[10]. La statua venne inaugurata il 29 luglio 1900, con una grande cerimonia[11].

Il terzo filone della produzione bortoniana che qui prendiamo in considerazione è quello della monumentalistica bellica. Dei monumenti ai caduti di Parabita, Ruffano, Tuglie e Calimera si è occupata Maria Lucia Chiuri nel dettagliato saggio Antonio Bortone e i Monumenti ai Caduti per la Patria nel Salento[12]. Il monumento di Ruffano è unanimemente ritenuto il più bello. Raffigura la Vittoria Alata (1924), secondo la sua classica iconografia, rappresentata da una donna con leggero chitone, che impugna una tromba in una mano e la corona di alloro nell’altra. Sulla base di marmo, ai quattro lati, sono scolpiti i nomi dei caduti ruffanesi nelle due guerre mondiali. Questa statua, che campeggia al centro di Piazza IV Novembre, è espressione anche dell’amore del Bortone per il suo paese natale, tanto che egli volle farne omaggio[13]. Tuttavia, nonostante l’atto di prodigalità dello scultore, l’iter per la realizzazione della statua fu molto travagliato, come si può evincere dalla cronaca delle vicende amministrative riportata da Ermanno Inguscio e dalla Chiuri sulla base della documentazione archivistica[14]. La statua è stata recentemente interessata da un intervento di restauro poiché danneggiata a seguito di una rovinosa caduta dovuta al forte vento. Molto simile a quella ruffanese è la Vittoria Alata per il monumento di Tuglie, che ricalca dappresso la figura allegorica del monumento a Gino Capponi che si trova in Santa Croce a Firenze (1876) e che a sua volta è molto simile al monumento di Mons. Trama (1932), nella Cattedrale di Lecce. La realizzazione del monumento di Tuglie fu molto travagliata fino alla sua inaugurazione nel 1922, nella centrale Piazza Garibaldi[15]. Luigi Scorrano si occupa della statua nel suo articolo La donna del monumento[16], in cui analizza il particolare della corona che cinge il capo della Vittoria e che raffigura lo stemma civico di Tuglie ed è quindi «allegoria del paese o, meglio, della comunità tugliese che rende un doloroso, benché composto, omaggio ai suoi concittadini caduti sui campi di battaglia». Il monumento di Tuglie è realizzato con un gusto classicheggiante, così come quello di Calimera, realizzato nel 1927, in bronzo e marmo, che all’inizio si trovava su un’ampia esedra che è poi stata rimossa. Questa statua è impreziosita da una palma e da una bandiera. Dopo svariate vicissitudini, legate a motivazioni di carattere economico, il Monumento ai Caduti venne finalmente inaugurato nel 1930, VIII anno dell’era fascista, in una domenica di giugno, alla presenza del gerarca fascista On. Starace, del prefetto comm. Formica e del Segretario federale della Provincia Cav. Palmentola. L’orazione venne tenuta dal Senatore Brizio de Sanctis. La statua venne consegnata alla devozione dei famigliari dei caduti e all’ammirazione generale ma i debiti contratti dal Comune per la sua realizzazione restarono a lungo insoluti. Durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa dell’estremo bisogno di ferro e bronzo dell’industria bellica, la statua calimerese rischiò di essere abbattuta per realizzare cannoni, cosa che sarebbe accaduta se nel frattempo non fosse intervenuto un provvedimento governativo a salvare la statua da un triste destino. Vennero però rimossi la catena, le due lastre in bronzo che ricordano i 90 Caduti in guerra Calimeresi, così come la lapide che era posta al lato dell’ingresso del Municipio. Negli anni Quaranta, la statua venne rimossa dalla collocazione iniziale in Piazza Littorio e negli anni Cinquanta risistemata nella nuova Piazza Del Sole, con notevoli interventi di modifica[17]. Il monumento di Parabita, posto al centro di un grande parco, era costituito da una statua di donna in bronzo, raffigurante Parabita, nell’atto di appoggiare la mano sinistra sull’ara della stele mentre nella destra reggeva lo stemma civico del paese. Nelle lastre in bronzo, i nomi dei caduti in guerra. Purtroppo la statua non è più esistente poiché durante la Seconda Guerra Mondiale venne fusa per realizzare armi e, dopo la guerra, venne sostituita da due fusti di cannone[18]. Ad A. E. Foscarini si deve la pubblicazione del bozzetto in gesso preparatorio del monumento di Parabita il quale, proveniente da collezione privata, è stato poi donato insieme ad altri dello stesso Bortone al Museo di Arte Sacra del leccese Convento di Sant’Antonio a Fulgenzio[19]. Come informa Aldo D’Antico[20], anche a Parabita si verificarono degli intoppi che fecero ritardare l’esecuzione dell’opera, la quale venne consegnata finalmente solo nel 1924[21]. Intorno alla statua, vennero piantumati degli alberi, uno per ogni caduto, come per tutti i parchi delle Rimembranze d’Italia, e inoltre l’aiuola fiorita fu cinta da una pregevole ringhiera realizzata dall’architetto Napoleone Pagliarulo, ideatore del Santuario della Madonna della Coltura[22]. Come detto, il monumento venne rimosso e il suo bronzo fuso per fabbricare armi[23].

Bortone partecipò anche, sia pure indirettamente, con un proprio contributo, all’asta di beneficenza che fu organizzata a Lecce nel giugno del 1916, quindi in piena guerra mondiale, dal Comitato per l’Assistenza civile. Alla Lotteria, organizzata dal Comitato di Assistenza, pervenne una sua opera, il busto in bronzo di Cicerone, insieme a quelle di altri artisti, come Michele Massari, Agesilao Flora, Paolo Emilio Stasi, che donarono loro quadri, così come fecero Giovanni Lazzaretti, Egidio Lanoce, ecc.[24]. Nel 1926, nel Cimitero nuovo di Lecce, si deve sempre al Bortone il monumento al sottotenente Francesco De Simone, morto il 30 giugno 1915 a Podgora di Gorizia, medaglia d’argento al valore militare, come si legge nella lastra in marmo bianco di Carrara che si trova ai piedi della statua[25]. Al 1926 risale anche l’inaugurazione della grande targa in memoria degli alunni dell’Istituto Tecnico Costa di Lecce caduti nel conflitto. La targa in marmo reca tutti i nominativi degli studenti, ben 92, dei quali alcuni vennero decorati con medaglia d’argento e con medaglia di bronzo. Il testo è scritto dal prof. Brizio De Santis, all’epoca Preside dell’Istituto. Nel 1924, in occasione del Cinquantenario del prestigioso Collegio Argento, l’istituto dei Gesuiti leccesi, venne scoperta una lapide dedicata a tutti i caduti in guerra ex alunni del Collegio, come riportato dagli organi di stampa dell’epoca. In quella solenne occasione, la salma di Padre Argento, grazie all’opera infaticabile del Rettore P. Giovanni Barrella, venne traslata dal Cimitero di Lecce alla Cappella dell’Istituto e fu anche inaugurato il busto del fondatore, opera di Antonio Bortone; nel locale d’ingresso venne apposta una targa ricordo con il testo di Brizio De Santis, Preside dell’Istituto Tecnico di Lecce e che già era stato allievo dell’Argento presso il Regio Liceo San Giuseppe[26]. La targa in memoria degli ex allievi venne poi rimossa durante i lavori di trasformazione del Collegio Argento in sede della Biblioteca Provinciale fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del Novecento. Di essa si perse da allora ogni traccia[27].

Bortone venne anche coinvolto, insieme a Eugenio Maccagnani, nella realizzazione del Monumento ai Caduti voluto dall’Amministrazione Comunale di Lecce nell’allora Piazza Libertini (oggi Piazza D’Italia), sostenuto da un Comitato promotore presieduto dal Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas e inaugurato nel 1928. Tuttavia, il ruffanese rinunciò all’incarico, sicché l’imponente opera venne realizzata dal solo Maccagnani, al quale Bortone non mancò di esprimere vive felicitazioni per il brillante risultato ottenuto. Per altro, Bortone era grande amico del Maccagnani con il quale aveva condiviso gli anni del praticantato a Lecce, quand’erano allievi entrambi del maestro cartapestaio Antonio Maccagnani[28]. Bortone ammirava, ricambiato, il talento del collega di diversi anni più giovane, al di là della rivalità fra i due grandi artisti: rivalità, più presunta che vera, attribuita loro per via della mancata assegnazione al Bortone della realizzazione a Lecce del Monumento al Re Vittorio Emanuele II, nel 1880, affidata invece dal Comitato Promotore al Maccagnani, il cui bozzetto venne ritenuto più convincente[29].

Nel 1925 Bortone realizza il busto in bronzo del sottotenente Luigi Falco, morto sul Monte Grappa nel 1918, al quale è dedicato anche un cenotafio nel Cimitero Comunale dove è insieme al cugino, il maggiore Carlo Falco, morto durante la Seconda Guerra Mondiale, in Albania nel 1941[30]. Il busto di Luigi Falco appartiene a collezione privata[31].

Nel 1926, nel Palazzo Comunale di Guagnano, al Nostro si deve il busto in bronzo del sottotenente Benedetto Degli Atti, medaglia d’argento al valore militare, morto il 19 novembre 1917 sul Monte Grappa[32]. Un altro ritratto in gesso del sottotenente è conservato in collezione privata[33].

Bisogna dire che all’indomani della caduta del fascismo un moto di generale riprovazione nel Paese per i misfatti del regime finì con il coinvolgere anche i monumenti ai caduti che, nell’immaginario collettivo, vennero identificati con la propaganda fascista. L’ondata di indiscriminato rifiuto nei confronti della monumentalistica bellica iniziò ben prima, ossia già nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando moltissimi busti e statue in bronzo vennero distrutti, in nome di una equivoca concezione estetica che vedeva in queste opere delle risultanze del pessimo gusto di artisti non accreditati. Come precedentemente scritto, molte opere in bronzo vennero divelte dai loro basamenti e fuse per costruire cannoni, a partire dagli odiati fasci littori che ornavano moltissimi monumenti, per far fronte alla incessante richiesta che proveniva dall’industria bellica. In provincia di Lecce diede molto risalto alla rimozione dei monumenti in bronzo il giornale cattolico «L’Ordine». Venne per esempio distrutto il monumento a Gaetano Brunetti, opera di Eugenio Maccagnani del 1922[34], e stessa sorte toccò alle figure in bronzo del grande Monumento ai Caduti di Lecce dello stesso Maccagnani; per quanto riguarda il nostro Bortone, vennero sottratte le parti in bronzo e l’aquila del Monumento a Quinto Ennio, del 1913, il busto a Cosimo De Giorgi, del 1925, ed altri. E non possiamo non fornire brevi cenni proprio sul monumento a Quinto Ennio[35]. Questo, inaugurato nel 1913 in piazza Sant’Oronzo, sorgeva di fianco all’inferriata che cingeva la porzione dell’Anfiteatro Romano riportata alla luce in quegli anni. Era formato da “«un basamento sul quale si eleva una colonna prismatica ed un’aquila romana poggia sopra fasci littorii»; l’aquila in bronzo si ergeva su una pergamena recante uno scritto del grande poeta romano”[36]. Come ricorda Giovanna Falco, “in occasione dell’ultimo conflitto mondiale l’aquila fu fusa per costruire armi”[37]. De Bernart, in una plaquette del 2012[38], si soffermava sulla figura del grande poeta latino Quinto Ennio, pubblicando una foto d’epoca nella quale compare ancora la statua sormontata dall’aquila.

Fra le opere leccesi del Bortone, infine, il ritratto di Dante Alighieri, in una targa in bronzo che si trova sulla facciata di Palazzo Carafa[39]. La scultura fu occasionata dal VI centenario della morte di Dante Alighieri, nel 1921. L’opera è realizzata in bronzo. Su una lastra di marmo è collocato il labaro del Comune di Firenze e al centro è posta la testa del Sommo Poeta di profilo. Sul nastro in bronzo che delimita il labaro, la scritta “Lecce nel VI centenario”. La targa venne inaugurata il 15 gennaio 1922 con “una cerimonia di tutto rispetto”, scrive Paolo Agostino Vetrugno. “La stampa del tempo ricorda la singolare manifestazione come «un tributo con cui anche Lecce, il capoluogo dell’estremo e remoto Salento, ha voluto e saputo partecipare alle solenni onoranze centenarie rese da tutta la Nazione alla memoria immortale del Divino Poeta» (La festa inaugurale del 15 gennaio, in «Corriere Meridionale», anno 33, n.2, 19 gennaio 1922, p. 2). […] La scultura è segnalata da Amilcare Foscarini nella sua Guida storico-artistica di Lecce (p.78) del 1929 come un’opera degna di attenzione, e al tempo stesso appariva allo studioso collocata sulla facciata municipale tra il Busto di Felice Cavallotti (inaugurato il 4 giugno 1904) ed il Busto di Giovanni Bovio (inaugurato il 4 luglio 1907), sculture in bronzo realizzate dallo stesso Bortone”[40]. Nell’opera, Dante non reca sulla testa la corona di lauro come nella più collaudata iconografia ma dietro la figura si scorgono appena le Alpi ed il confine della Patria. Lasciamo parlare Vetrugno: “La cerimonia dell’inaugurazione fu descritta dalla stampa dell’epoca con ricchezza di particolari. L’inizio della manifestazione era stato fissato alle ore 10,30 e già dalle prime ore del giorno, che cadeva di domenica, l’intera via Rubichi appariva completamente affollata. Presenziarono molte rappresentanze della autorità civili e militari, funzionari, istituti, associazioni, che intervennero con le proprie bandiere, docenti e studenti, cittadini comuni. La Banda dell’Ospizio Garibaldi diede una singolare interpretazione dell’Inno Reale e, alla fine dell’esecuzione, fu scoperta la targa dantesca. Tenne la prolusione l’avvocato Nicola De Simone Paladini, al tempo assessore comunale e presidente del Comitato cittadino costituito per le Celebrazioni dantesche. L’intervento era stato concepito articolandolo su due linee distinte ma complementari: la prima tendeva a presentare il poeta-esule fiorentino come «cantore dell’umanità, assertore dei sacri diritti d’Italia»; la seconda parte puntava a chiarire il significato ed il valore del ricordo con cui Lecce partecipava doverosamente al tributo nazionale delle celebrazioni nel sesto centenario della morte del poeta. Dopo l’inaugurazione della Targa dantesca, la manifestazione si spostò nelle immediate vicinanze, dove fu inaugurato il Monumento in bronzo di Fanfulla da Lodi, opera realizzata in bozzetto in gesso dallo stesso Bortone nel 1876, ma che solo allora vedeva la luce con la fusione in bronzo presso la ditta di Firenze F.A.F. G. Vignoli, scultura degnamente recuperata nel 2012 e restituita al suo splendore con un buon intervento di restauro (Cfr. Città di Lecce, Settore Lavori Pubblici, Interventi di Restauro Recupero funzionale, Fanfulla da Lodi. I Monumenti Cittadini, Editrice Salentina, Galatina, 2012). C’è da pensare che la stessa ditta avesse fuso la targa dantesca”[41]. La scultura purtroppo non è facilmente leggibile a causa dell’usura del tempo e a tal proposito lo storico dell’arte lamenta la mancanza di attenzione da parte dell’Amministrazione leccese nei confronti di questo monumento, ancor più grave se si pensi che è stata lasciata passare infruttuosamente la data del 2021, ovvero del VII centenario della morte del poeta. Un altro busto di Dante Alighieri del 1920 si deve al Bortone ma purtroppo quest’opera è perduta. Ne riporta una foto, dovuta ad A. E. Foscarini, il Catalogo delle opere ma di più non sappiamo[42]. In mancanza di riscontri, possiamo verosimilmente congetturare che si trattasse di una committenza del Comune di Firenze alla quale Bortone rispose da par suo, come si può intuire dalla scolorita foto.

Moltissime sono le sue opere sparse per il Salento e l’Italia, come tantissimi sono ancora gli amanti della sua arte e notevole la sua fortuna critica[43]. Antonio Bortone muore a Lecce il 2 aprile 1938.

NOTE


[1] Per una bibliografia sul Bortone, fra i contributi più recenti, si segnalano: I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, in Aa.Vv., Antonio Bortone, Pro Loco Ruffano, Lecce, Conte Editore, 1988, pp.15-34; A. de Bernart, Antonio Bortone nella stampa periodica salentina, Ivi, pp. 37-45; A. Laporta, Rarità bibliografiche: un sonetto dedicato ad Antonio Bortone, Ivi, pp.49-51; A. E. Foscarini, Lettere edite ed inedite di Antonio Bortone, Ivi, pp.53-67; A. de Bernart, Antonio Bortone e le figure dei suoi monumenti. Nel 150° di sua nascita (1844-1994), in «Bollettino storico di Terra d’Otranto», 4, 1994, pp. 72-78; O. Casto, Bortone a Firenze, in Aa.Vv., Colloqui 150° Anniversario della nascita di Antonio Bortone. 1844-1994, Pro Loco Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis, 1994, pp. 3-8; A. E. Foscarini, Bozzetti in gesso di Antonio Bortone, Ivi, pp.27-28; E. Inguscio, Della “vittoria alata” di Antonio Bortone in Ruffano, in «Il Bardo», Copertino, a. VII, n.2, dicembre 1997, p.13; Idem, La civica amministrazione di Ruffano, 1861-1999, Galatina, Congedo, 1999, p.71; A. de Bernart, Antonio Bortone e la sua casa natale in Ruffano, Amministrazione Comunale Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis, 2004; Idem, La statua della Duchessa Capece nella piazza di Maglie, in «Note di Storia e Cultura salentina», Società Storia Patria Puglia, Sezione di Maglie, n. XVI, Lecce, Argo Editore, 2004, pp.55-56; Idem, I grandi salentini. Antonio Bortone, in «Anxa News», Gallipoli, settembre-ottobre 2008, p.14; Idem, Nel primo centenario del Monumento di Antonio Bortone a Quinto Ennio (Memorabilia 33), Ruffano, Tipografia Inguscio e De Vitis, maggio 2012; P. Vincenti, Dal Fanfulla a Quinto Ennio nel segno di Antonio Bortone, in «Il Filo di Aracne», Galatina, n.3, luglio-settembre 2019, pp.42-43; Idem, Una statua per Francesca Capece, in «Nova Liberars», Novoli, n.1, 2019, pp.22-26; Idem, L’arte commemorativa postbellica. Antonio Bortone da Ruffano e una sua opera inedita, in «L’Idomeneo», Società di Storia Patria per la Puglia, sez. Lecce- Università del Salento, n.26 -2018, Castiglione, Grafiche Giorgiani, 2019, pp.247-282; Idem, “L’ombra sua torna ch’era dipartita”. Il culto dei caduti in Terra d’Otranto nelle opere di Antonio Bortone, in Storia e storie della Grande Guerra Istituzioni, società, immaginario dalla Nazione alla Terra d’Otranto, a cura di Mario Spedicato e Paolo Vincenti, Società Storia Patria Puglia, sez. Lecce, Novoli, Argomenti Edizioni, 2020; Idem,L’iconografia Vaniniana nel tempo: da Antonio Bortone a Donato Minonni, in www.fondazioneterradotranto.it, maggio 2021.

[2] A. de Bernart, Antonio Bortone e la sua casa natale in Ruffano, cit., pp.5-10. Continua de Bernart: “Modellata a Firenze nel 1877, l’opera è figlia della tensione tra i circoli artistici fiorentini e il Bortone, che si era prodotto, e bene, nel nudo, con il Gladiatore morente, ma non aveva ancora dato prova di sé nel drappeggio. Tale prova il Bortone la darà appunto con la statua del Fanfulla, inviata alla Mostra Internazionale di Parigi, dove però giungerà ammaccata in più parti. Invitato a ripararla, il Bortone non andò mai nella capitale francese, forse per il suo carattere che a volte lo rendeva spigoloso e quasi intrattabile […]. Comunque la statua fu esposta ugualmente a Parigi e vinse il terzo premio, previo il restauro praticato dal grande scultore napoletano Vincenzo Gemito, che si trovava nella capitale francese a motivo della stessa Esposizione”.

[3] F. Sapori, Scultura italiana moderna, Roma, 1949, p. 31, cit. in Antonio Bortone, cit., p.20.

[4] F. Lavagnin, L’arte moderna, Vol. II, Torino, 1956, p.154, cit. in Ivi, pp. 20-21.

[5] I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, in Antonio Bortone, cit., p.24.

[6] E. Panarese, Le iscrizioni latine di Maglie, in «Note di storia e cultura salentina», Società Storia Patria per la Puglia, sez. Maglie, N. VII, Lecce, Argo Editore, 1995, p.190.

[7] E. Panarese, Francesca Capece e il suo monumento, Lecce, Argo Editore, 2000, p.13

[8] A. de Bernart, La statua della Duchessa Capece nella piazza di Maglie, cit.

[9] L. Leone, Francesca Capece: da “Stabilimento di carità cristiana” a “Fondazione”, in «L’Idomeneo», Miserere nobis: aspetti della pietà religiosa nel Salento moderno e contemporaneo. Atti del convegno di studi, Società Storia Patria per la Puglia, sez. Lecce -Università del Salento, n. 22, Lecce, 2016, pp.  9-16.Inoltre, Eadem, Francesca Capece, un sogno divenuto realtà, in «Ego Plantavi», Fondazione Francesca Capece, Liceo Capece, 2013, p.3.

[10] E. Panarese, Le iscrizioni latine di Maglie, in «Note di Storia e Cultura salentina», Società Storia Patria Puglia, sez. Maglie, N. VII, 1995, Lecce, Argo Editore, p.192.

[11] Si rinvia ancora a P. Vincenti, Una statua per Francesca Capece, in «Nova Liberars», cit.

[12] M. Chiuri, Antonio Bortone e i Monumenti ai Caduti per la Patria nel Salento, in «Leucadia», Miscellanea storica salentina “Giovanni Cingolani”, III, n.1, 2011, pp.181-213.

[13] E. Inguscio, Della “vittoria alata” di Antonio Bortone in Ruffano, cit., p.13; Idem, La civica amministrazione di Ruffano, 1861-1999, cit, p.71; A. de Bernart, Antonio Bortone e le figure dei suoi monumenti. Nel 150° di sua nascita (1844-1994), cit., pp.72-78.  

[14] Si veda M. Chiuri, Antonio Bortone e i Monumenti ai Caduti, cit., pp.208-211. 

[15] Ivi, p.192.

[16] L. Scorrano, La donna del monumento in «Nuovalba», Parabita, n.3, dicembre 2008, pp.6-7.

[17] M. Chiuri, Antonio Bortone e i Monumenti ai Caduti, cit., pp.207-208.

[18] A. de Bernart, Note a margine di alcune foto, in   Aa.Vv.,  Noi il tempo le immagini. Album di vita parabitana, Centro di Solidarietà Madonna della Coltura-Italia Nostra sezione di Parabita, Galatina, Editrice Salentina, 1993, p.18.

[19] A. E. Foscarini, Bozzetti in gesso di Antonio Bortone, in Colloqui 150° Anniversario della nascita di Antonio Bortone. 1844-1994, cit., pp.27-28.

[20] A. D’Antico, Il monumento ai caduti e la bella statua di Parabita, in «NuovAlba», Parabita, n.2, luglio 2004, pp.9-11.

[21] Ibidem.

[22] La statua di Parabita che regge in mano lo scudo civico campeggia sulla copertina di un numero della rivista «NuovAlba» all’interno della quale si ritorna sul non più esistente monumento: A. de Bernart, Lo stemma civico di Parabita in un’aiuola fiorita, in «NuovAlba», Parabita, n.3, dicembre 2005, p.2.

[23]  Si rinvia a A. de Bernart, Note a margine di alcune foto, in Noi, il tempo, le immagini, cit., p.17.

[24] V. De Luca, Lecce negli anni della Grande Guerra, Galatina, Editrice Salentina, 2019, pp.179-180.

[25] Ivi, p.72.

[26] V. De Luca, “Stringiamoci a coorte siamo pronti alla morte l’Italia chiamò” La Prima guerra mondiale nei monumenti e nelle epigrafi di Lecce, Galatina, Editrice Salentina, 2015, pp.61-64. Si veda: G. Barrella, P. Nicodemo Argento S.I. e il suo “Istituto”, nel primo cinquantenario della fondazione dell’“Istituto Argento” 1874-1924, Lecce, Tip. Masciullo, 1924.

[27] Ivi, p.64.

[28] I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, in Antonio Bortone, cit., p.15. 

[29] Ivi, pp.20-21. 

[30] V. De Luca “Stringiamoci a coorte, cit., pp.50.51.

[31] Catalogo, in Antonio Bortone, cit., p.170.

[32] V. De Luca, Lecce, cit., p.72.

[33] Catalogo, in Antonio Bortone, cit., pp.170-171.

[34] Bortone era grande amico dell’On. Brunetti. La statua del politico salentino venne spedita a Milano nel 1942 per essere fusa:V. De Luca, Lecce, cit., p 239.

[35] P. Vincenti, Dal Fanfulla a Quinto Ennio nel segno di Antonio Bortone, in «Il Filo di Aracne», cit.

[36] G. Falco, Fanfulla da Lodi e altre opere leccesi di Antonio Bortone, in  http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2010/12/30/antonio-bortone-da-ruffano-1844-1938-il-mago-salentino-dello-scalpello/ 

[37] Ibidem. 

[38] A.de Bernart, Nel primo centenario del Monumento di Antonio Bortone a Quinto Ennio, cit.

[39] Catalogo delle opere, in Antonio Bortone, cit., p.166.

[40] P. A. Vetrugno, Palazzo di Città, la targa dantesca di Antonio Bortone dimenticata,  in https://www.spazioapertosalento.it/news/palazzo-di-citta-la-targa-dantesca-di-antonio-bortone-dimenticata, 15 gennaio 2022.  

[41] Ibidem.

[42] Catalogo delle opere, in Antonio Bortone, cit., p. 156.

[43] L’estensore di questo articolo ha recentemente pubblicato un saggio in cui attribuisce ad Antonio Bortone una statua inedita, in marmo bianco di Carrara, intitolata The Girl Knitting For the Front, che si trova nella cittadina di Christchurch, in Nuova Zelanda, e che viene censita per la prima volta. Attraverso la stampa neozelandese dell’epoca e un’indagine ad ampio raggio della produzione bortoniana, dello stile e dei rapporti personali e professionali dello scultore, ricostruisce la genesi ed il lungo percorso fatto dalla statua. P. Vincenti, L’arte commemorativa postbellica. Antonio Bortone da Ruffano e una sua opera inedita, in «L’Idomeneo», cit.

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