di Antonio Prete
È l’ultimo verso di una poesia da Hier régnant désert, del 1958. Un verso che, sbalzato come su una stele, epigrafico, e insieme esortativo, conclude una rappresentazione del lavoro artistico, assunto come figura dell’esistenza umana stessa, del suo cercare e interrogare. Ecco il breve testo, in una mia traduzione:
C’era che bisognava distruggere
e distruggere e distruggere,
c’era che solo a questo
prezzo si dà salvezza.
Rovinare il volto nudo
che cresce nel marmo,
martellare ogni forma,
ogni bellezza.
Amare la perfezione
perché essa è la soglia,
ma appena conosciuta
negarla, morta dimenticarla.
L’imperfezione è la
cima.
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