Scirocco

Le campagne tollerano tutto questo, nutrendosi d’acqua e di sabbia, immagazzinando la pioggia per i tempi più duri, e, ahimè, anche i veleni, che restituiranno agli uomini coi loro raccolti. Col cielo scuro, non è tempo d’andare in campagna, se non col pensiero: le canne sbattute dal vento, i canali pieni, i prati piegati, gli olivi ammalati e nessuna presenza animale.

Dal mare, poi, è meglio tenersi lontano. Nessuno oserebbe sfidarlo mentre è cavalcato dal vento. La spuma delle onde che imbiancano qua e là la distesa grigia non prevedono l’esistenza dell’uomo e l’orizzonte diventa indistinto come prima della creazione. Nuvole alte, tetre, non dicono nulla dell’attesa di quanti vorrebbero raggiungere la costa occidentale, e sono fermi sulle spiagge del Mar d’Africa e guardano verso nord; né dei temerari che sono partiti e non sono mai arrivati, vesciche d’acqua marina; non dicono nulla a chi è già da questa parte e fa previsioni puramente tecniche.

Poi, all’improvviso, il vento cessa di soffiare e l’acqua, non più trattenuta, si riversa in terra e in mare, indifferentemente. Le nuvole sfigurano la città e la campagna, lasciandosi dietro un paesaggio devastato, e tante chiacchiere per nascondere l’impotenza dell’uomo.

[Quel che posso dire, Edit Santoro, Galatina 2016, pp. 36-38]

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